"Le speranze di Annapolis naufragano ad Har Homa?"
Haim Ramon risponde di no, a Umberto De Giovannangeli
Testata:
Data: 10/12/2007
Pagina: 10
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Israele deve cedere parti di Gerusalemme ai palestinesi
"Le speranze di Annapolis naufragano ad Har Homa?" chiede Umberto De Giovannageli al vicepremier israeliano Haim Ramon.
Har Homa è un quartiere ebraico di Gerusalemme nel quale si stanno costruendo nuove abitazioni.
"No ma a condizione che da parte nostra venga chiarito in quale contesto strategico questa decisione (la costruzione di 300 unità abitative, ndr.) è stata assunta. Senza questa chiarezza, corriamo il rischio di creare nuovi ostacoli ad un percorso negoziale già irto di difficoltà", risponde Ramon, passando poi a prospettare la cessione al futuro Stato palestinese di quatieri arabi di Gerusalemme.

Per  L'UNITA' , però, l'intervista non deve servire ad esporre la posizione negoziale e politica propugnata da Ramon. Deve servire a far credere, come recita la domanda di u.d.g. che " le speranze di Annapolis naufragano ad Har Homa", che l'ostacolo alla pace sono 300 case in un quartiere ebraico, non i razzi kassam, la propaganda d'odio, il caos della violenza interpalestinese.

La titolazione, conseguentemente, è, con un'accentuazione drammatica assente dalle parole di Ramon:  " «Israele deve cedere
parti di Gerusalemme ai palestinesi» Il vicepremier israeliano Ramon: unica via
se vogliamo salvare il patto di Annapolis
". A illustrare il pezzo è la fotografia di una manifestazione di "giovani coloni a Maleh Adumin".

Ecco il testo completo:


«ERO E RESTO fermamente convinto che tutti i quartieri ebraici di Gerusalemme, compreso Har Homa, debbano essere posti sotto sovranità israeliana. Ma se vogliamo essere coerenti con le affermazioni sostenute ad Annapolis, ciò deve scaturire da un nego-
ziato con i palestinesi. E questo negoziato, se vuol andare a buon fine, deve contemplare il passaggio di quartieri come Walajeh e Jabal Mukaber (villaggi incorporati dopo la Guerra dei sei giorni del 1967, ndr.) sotto amministrazione palestinese. Pretendere tutto è una forzatura che rischia di portarci ad una rotta di collisione non solo con l’Anp di Abu Mazen ma anche con gli Stati Uniti». A parlare è Haim Ramon, vice premier israeliano. Il dopo-Annapolis si concentra sul nodo-Gerusalemme. Il presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) ha denunciato il progetto israeliano di realizzare nuove unità abitative nel quartiere di Har Homa, enclave ebraica a Gerusalemme Est.
Le speranze di Annapolis naufragano ad Har Homa?
«No, ma a condizione che da parte nostra venga chiarito in quale contesto strategico questa decisione (la costruzione di 300 unità abitative, ndr.) è stata assunta. Senza questa chiarezza, corriamo il rischio di creare nuovi ostacoli ad un percorso negoziale già irto di difficoltà».
Quale sarebbe questa chiarezza da esplicitare?
«Israele non deve abbandonare Har Homa, ma dobbiamo dire chiaramente non solo ai palestinesi ma alla stessa nostra opinione pubblica, che questa determinazione deve accompagnarsi ad un’altra, non meno impegnativa: quella di prevedere il passaggio di altre aree di Gerusalemme Est e ad essa limitrofe sotto amministrazione palestinese. Non possiamo volere tutto. Perché il tutto rischia davvero di vanificare gli sforzi negoziali che hanno portato alla Conferenza di Annapolis e alla dichiarazione congiunta che definisce i lineamenti del negoziato diretto tra Israele e l’Anp.. Deve essere chiaro ad ogni israeliano che gli Usa non accetteranno di avallare un disegno che preveda la sovranità assoluta di Israele sull’intera Gerusalemme. Dobbiamo dire, amici, i quartieri ebraici, compreso Har Homa,rimarranno sotto la sovranità israeliana e i quartieri arabi diventeranno la capitale palestinese che chiameranno Gerusalemme o quello che vogliono».
Israele dovrebbe accedere all’idea di Gerusalemme come capitale di due Stati?
«Mi pare che da tempo lo status di Gerusalemme non sia più materia non negoziabile: questo tabù è stato infranto. La questione è sul tavolo e in questo passaggio cruciale per il processo di pace, è fondamentale non dare l’impressione di forzature unilaterali. Ma c’è un’altra ragione, oltre i rapporti con gli Usa, che dovrebbero indurci ad un diverso approccio su Gerusalemme».
Quale sarebbe questa ragione aggiuntiva?
«La stessa che ha portato molti di noi a condividere l’idea di una pace fondata sul principio di due Stati. Israele deve fare i conti non solo con le aspettative palestinesi ma assieme ad esse, anche con la questione demografica. Una pace per due Stati è l’unico modo per preservare il connotato ebraico di Israele. Di questo dobbiamo esserne consapevoli, e bene ha fatto Olmert a spiegare che di fronte ad uno "scenario sudafricano", Israele farebbe fatica a contestare le accuse di discriminazione nei confronti di una popolazione di fatto "inglobata" ma senza diritti civili. E questo discorso vale anche per Gerusalemme. Coloro che pretendono che Gerusalemme inglobi anche quartieri o sobborghi arabi come Walajeh e Jabal Mukaber, in prospettiva contraddicono un punto fondamentale della nostra stessa identità nazionale: quello di Gerusalemme ebraica come capitale eterna dello Stato d’Israele, lo Stato del popolo ebraico. La bramosia di possesso assoluto rischia di minare questo principio. Har Homa deve essere parte della Gerusalemme ebraica, così come Walajeh può divenire parte della capitale di uno Stato palestinese».

Per inviare una e-mail alla redazione dell'Unità cliccare sul link sottostante lettere@unita.it