Apologia dei terroristi fondamentalisti di Hezbollah sul RIFORMISTA del 29 novembre 2007.
Marco Penna intervista l'economista libanese George Corm, uno che in odio a Israele è anche diaposto a sostenere che il "Partito di Dio" non è così fondamentalista e antioccidentale come si pensa..
Ecco il testo completo:
Beirut. Con il professore George Corm, economista, storico e politologo di fama internazionale, autore di saggi e libri tradotti in molte lingue (tra i quali Il Libano contemporaneo. Storia e società pubblicato in Italia da Jaca Book) di grandissimo interesse per approfondire le problematiche di fondo della questione mediorientale, parliamo della attuale gravissima crisi libanese, i cui possibili sviluppi sono più che mai incerti e preoccupanti. L'incontro avviene quando ancora non è chiaro se il parlamento di questo paese riuscirà all'ultima ora a esprimere un presidente. La conversazione si concentra, come è naturale in questo momento, sulla possibilità di ricomporre, al di là della scadenza dell'elezione presidenziale, il quadro politico interno, più che mai diviso tra il blocco "filo-occidentale" sunnita-cristiano maronita-druso e quello "anti-occidentale" sciita-cristiano maronita.
George Corm non nasconde la sua critica di fondo al governo del sunnita Siniora (erede del miliardario primo ministro Rafiq Hariri ucciso in un attentato nel 2005) e sostenuto fino a oggi dagli Stati Uniti e dai paesi arabi moderati (nonché, a suo parere, anche da molti paesi europei pur con toni meno convinti) ma invece contesta la definizione di "anti occidentale" tout court applicata alla opposizione sciita-cristiana maronita, un giudizio a suo parere «schematico e di comodo, volutamente amplificato da tanti media libanesi e internazionali che cercano in ogni modo di screditare sia Hezbollah, la forza politico-militare che nell'estate del 2006 ha umiliato per la prima volta le truppe israeliane, sia il generale Michel Aoun, leader di una componente politica cristiana maronita che nel 1990, dopo essersi battuto fino alla fine contro l'occupazione militare siriana del Libano, si è rifugiato a Parigi dove è rimasto fino al 2005, quando è rientrato dall'esilio deciso a occupare una posizione centrale nel quadro politico libanese dopo il ritiro delle truppe siriane».
Ma Hezbollah non esprime una visione di fondo non compatibile con una democrazia di tipo parlamentare? Il suo modello non è quello dell'Iran?
«Va detto in primo luogo - sostiene il professor Corm - che Hezbollah non è più il partito integralista ed estremista dei primi anni Ottanta. Oggi è una forza non soltanto determinante della comunità sciita, ormai la più grande del Libano, ma anche un partito meno ideologico e più pragmatico, consapevole della necessità di una larga politica delle alleanze e deciso a partecipare al governo del paese insieme ad altre forze. Il generale Aoun ha capito questo processo e lo ha favorito con un accordo politico che vede i cristiani maroniti non più schierati solo da una parte, il vecchio schema "cristiani contro musulmani", ma divisi da idee diverse sul futuro del Libano, non più soltanto condizionate da schemi di tipo prettamente religioso».
Corm è decisamente contrario alla visione di un paese profondamente lacerato da polemiche confessionali e dallo scontro tra diversi fondamentalismi.
«In Libano - spiega - non stiamo assistendo a un conflitto religioso, ma a uno scontro politico che, fatto per me molto positivo, vede le diverse componenti confessionali divise al loro interno. Questo è soprattutto vero per i cristiano maroniti, ma in parte lo è anche per i sunniti, molti dei quali non condividono lo strapotere politico e finanziario della famiglia Hariri, così come per i drusi e per gli stessi sciiti. Sta qui il valore della alleanza tra Hezbollah e Aoun, un cristiano che ha compreso l'importanza cruciale di evitare un conflitto tra cristiani e musulmani con le inevitabili spinte fondamentaliste dall'una e dall'altra parte. Non sono convinto francamente che l'Europa abbia capito fino in fondo l'importanza di questa scelta».
Ma si tratta di una scelta, quella di Aoun, in grado di reggere alle tante spinte, interne ed esterne, che puntano all'isolamento di Hezbollah, una forza che l'amministrazione Bush classifica come gruppo terrorista? La divisione tra i cristiani non è in definitiva un dato episodico nella storia delle confessioni libanesi?
Sostiene Corm: «La divisione della comunità cristiana non è un fenomeno effimero, destinato a rientrare grazie anche alle pressioni che da fuori, specie dai paesi occidentali, sono esercitate per unificare le forze non musulmane del Libano. La storia dei maroniti libanesi insegna che da secoli si sono confrontate due tendenze, una decisamente pro europea, un'altra pro araba. Per quanto riguarda Hezbollah insisto sulla necessità di approfondire questo fenomeno. Si tratta di un movimento, classificato come "terrorista" ma che in realtà è un movimento di resistenza nato da 22 anni di occupazione israeliana del Libano, che va disarmato in ogni modo? Per molti governi e osservatori, specie americani ed europei, sarebbe questo l'unico vero problema in Libano. Il problema invece è un altro: si tratta di fornire a Hezbollah la garanzia che il sud del Libano non sarà più aggredito da Israele come è accaduto durante trent'anni, a partire dal 1968; che i prigionieri libanesi tuttora nelle carceri israeliane saranno liberati; che il territorio della Chébaa, molto ricco d'acqua, sarà evacuato da Israele che dovrà porre fine alle violazioni quotidiane dello spazio aereo e marittimo libanese. Il che non è possibile se l'obiettivo rimane quello di avere a Beirut un governo, come quello attuale del primo ministro Siniora, comunque schierato con gli americani. Purtroppo gli europei non capiscono o non vogliono capire l'importanza di questo fattore».
Nel ragionamento di George Corm ci pare di avvertire una certa sottovalutazione del ruolo importante che gli europei, in particolare l'Italia, la Francia e la Spagna, stanno giocando in Libano, sia con il loro decisivo contributo militare all'operazione Unifil nel Sud, sia con il sostegno, ribadito fino all'ultimo giorno, a una ipotesi di compromesso tra i due blocchi nella scelta e nella elezione del nuovo presidente della Repubblica. Un dato che, a nostro parere, distinguerebbe nettamente il ruolo dell'Europa rispetto a quello dell'attuale amministrazione americana.
«È vero - riconosce il professore - che l'Italia, come d'altronde la Spagna, sta giocando un significativo ruolo di mediazione tra i due blocchi. Ma non dobbiamo dimenticare che la simpatia di entrambi va soprattutto al blocco di Hariri, e che i due paesi hanno boicottato, da ormai circa tre anni e contro tutte le norme diplomatiche, il Presidente della repubblica libanese, Emile Lahoud, perché in realtà egli ha sempre sostenuto Hezbollah nella sua lotta per la liberazione dei territori libanesi occupati da Israele e perché rifiuta il radicamento dei rifugiati palestinesi in Libano. L'Italia, comunque, già nel 1982 ebbe un atteggiamento attento e misurato, diverso da quello francese e americano, che venne molto apprezzato dai libanesi. La stessa Francia di Sarkozy, lo devo riconoscere, si sta comportando diversamente dalla Francia di Chirac, fino alla fine del suo mandato schierato con il Libano di Hariri. Oggi, per quanto riguarda il Libano, Parigi ha indubbiamente un'altra politica. Ma resta da vedere se questi paesi, di fronte ad un eventuale aggravamento del quadro regionale e libanese, riusciranno a giocare comunque un ruolo positivo. Non dimentichiamo che la politica estera di Sarkozy è nel suo complesso, a differenza di quella di Chirac fino al 2004 quando si è allineato alle posizioni di George Bush sul Libano, molto vicina a quella degli Stati Uniti. Gli americani, se non sono in grado di intervenire o bombardare l'Iran, potrebbero decidere di provocare una situazione di caos in Libano. Magari per spingere Hezbollah a prendere decisioni che giustificherebbero l'isolamento dell'unica forza che si è misurata con successo contro la potenza militare israeliana. Cosa farebbe l'Europa in questo caso? Temo che l'influenza degli Stati Uniti spingerebbe paesi come l'Italia, la Francia e la Spagna ad accodarsi nei fatti a Washington. Mentre invece è più che mai necessaria una strategia che si ponga l'obiettivo di integrare le milizie Hezbollah senza perdere la loro esperienza e le loro eccezionali capacità militari».
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