La propaganda del sindaco di Betlemme
e del suo intervistatore
Testata:
Data: 26/11/2007
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Autore: Piero Vailati
Titolo: «Il muro di Israele soffoca Betlemme»
Hamas non gode di buona stampa, tanto che  "in Occidente si conosce soprattutto per le sue componenti più estremiste e le sue azioni terroristiche". Volendo rimediare  a questo fatto che evidentemente considera increscioso, Piero Vailati, giornalista de L' ECO di BERGAMO  chiede speranzoso al sindaco cristiano di Betlemme "Come è l'«altro» Hamas, quello che fa politica?".
La risposta è evasiva "Io con Hamas non c'entro nulla", dichiara il sindaco, che però da Hamas è appoggiato.
Il giornalista non è soddisfatto, evidentemente vorrebbe un elogio del gruppo terroristico, assicurazioni sulla sua ragionevolezza e disponibilità alla trattativa, così torna a domandare all'interlocutore
"Ma lei cosa pensa di Hamas, della sua politica e delle sue frange estreme?". Segue una risposta probabilmente più soddisfacente per l'intervistatore, fondata però su un clamoroso falso: che Hamas abbia accettato una qualsiasi   "soluzione pacifica" del conflitto".

Ricalcano pienamente gli stereotipi antisraeliani correnti le risposte del sindaco di Betlemme sulle difficoltà dei crsitiani della città, attribuite a Israele.
La credibilità di questa denuncia si misura sul silenzio riguardo alle discriminazioni e intimidazioni subite dai cristiani palestinesi ad opera dei fondamentalisti islamici.

Non solo il politico cristiano non ne parla, dichiara anche:
"Da noi non esiste distinzione tra cristiani e musulmani. Viviamo insieme da centinaia di anni, e insieme formiamo il popolo palestinese. Purtroppo però dopo il 1948, e soprattutto dopo il 1967 e dopo la recente costruzione del muro di Israele, abbiamo dovuto fare i conti con una forte emigrazione cristiana. Nel 1948 eravamo il 15% della popolazione, oggi siamo il 2%. A Betlemme siamo passati dal 92% al 35%"

Ecco l'articolo completo, da L' ECO di BERGAMO del 22 novembre 2007 :



«Il vertice di Annapolis sul Medio Oriente? Ogni occasione di dialogo accende tante speranze. Ma il passato ci insegna che Usa e Ue finora non hanno fatto un grammo di pressione su Israele, e io di speranze ormai ne ho poche. Me n'è rimasta una: che prima di lasciare la Casa Bianca, il presidente Bush faccia qualcosa di buono». Victor Baratseh – 71 anni, medico, cattolico – è sindaco di Betlemme. Una città sull'orlo del collasso, come Baratseh – a Bergamo ospite dell'Udc – spiega in questa intervista.
I cristiani in Terrasanta sono tra l'incudine e il martello nel conflitto che vede da un lato il mondo ebraico, dall'altro quello musulmano palestinese. Come vivete questa situazione?
«Da noi non esiste distinzione tra cristiani e musulmani. Viviamo insieme da centinaia di anni, e insieme formiamo il popolo palestinese. Purtroppo però dopo il 1948, e soprattutto dopo il 1967 e dopo la recente costruzione del muro di Israele, abbiamo dovuto fare i conti con una forte emigrazione cristiana. Nel 1948 eravamo il 15% della popolazione, oggi siamo il 2%. A Betlemme siamo passati dal 92% al 35%».
Ma qual è oggi la realtà quotidiana dei 32 mila abitanti di Betlemme?
«Viviamo in una grande prigione, con due sole porte. Nessuno, compreso il sottoscritto, può uscire per andare a lavorare, studiare, curarsi o pregare, se non ha il permesso di Israele. Tutto questo crea pesantissime conseguenze economiche. La disoccupazione è al 65%, il 55% vive al di sotto della soglia di povertà. L'agricoltura poi non esiste più: la terra coltivabile è rimasta tutta fuori dal muro».
Una voce economica fondamentale per Betlemme è quella del turismo religioso. Entrare a Betlemme è difficile come uscirne?
«Il nostro grande problema è che i pellegrini non si fermano a Betlemme se non per il minimo indispensabile. Poi vengono fatti tornare in Israele, e si sconsiglia loro di dormire in città, perché non è sicura. Io invece voglio dire che Betlemme è sicura. Al 100%».
Per quanto riguarda la sanità, la situazione è addirittura tragica. Sabato scorso è morto un palestinese di 22 anni, malato di cancro, che si era rivolto alla Corte suprema israeliana (senza successo) per ottenere il permesso di entrare in Israele per le cure mediche.
«Vi faccio un solo esempio, che spiega tutto: al passaggio del confine il malato, qualsiasi sia la sua gravità, deve essere trasportato da un'ambulanza palestinese a una israeliana. Ora, io sono medico, ma non credo ci sia bisogno di esserlo per sapere che se uno è infartuato, oppure ha subìto un grave trauma, spostandolo rischio di ucciderlo...».
Passiamo alla questione politica: lei è stato eletto con l'appoggio di Hamas, che in Occidente si conosce soprattutto per le sue componenti più estremiste e le sue azioni terroristiche. Come è l'«altro» Hamas, quello che fa politica?
«Io con Hamas non c'entro nulla. La mia è una lista indipendente, che comprende anche musulmani, ma nessuno di Hamas. E Hamas non è mio alleato, né lo è stato alle elezioni. È successo che noi e Hamas abbiamo ottenuto il maggior numero di seggi nei 15 che formano il Consiglio comunale, all'interno del quale viene eletto il sindaco. E quando si è appunto trattato di eleggere il sindaco siamo rimasti in lizza io e l'esponente di al Fatah. A quel punto i consiglieri di Hamas (i cui cinque voti erano decisivi), pur di non dare il voto ad al Fatah, l'hanno dato a me. Probabilmente a quel punto al Fatah l'ha presa male, e ha sparso la voce che io sono alleato con Hamas. Tutto qui».
Ma lei cosa pensa di Hamas, della sua politica e delle sue frange estreme?
«Io posso parlare di me, non degli altri. E io sono per la soluzione politica, e contro l'uccisione di qualunque persona, israeliana o palestinese. Sono per il rispetto delle risoluzioni Onu: due popoli, due Stati, secondo i confini antecedenti al 1967. E sono per uno Stato palestinese senza coloni israeliani e con Gerusalemme capitale. E comunque questa soluzione pacifica è stata accettata anche da Hamas, con una dichiarazione ufficiale. Quanto al terrorismo, mettiamoci d'accordo sul termine. Io condanno senza riserve gli attentati suicidi, ma l'Occidente vede il kamikaze arabo e non gli F16, i carri armati e i missili israeliani. Solo rendendoci conto che esiste anche un terrorismo di Stato potremo andare verso la pace».

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