La prima cosa che viene in mente guardando le immagini di Sadat è che, anche dopo che un popolo intero ha cantato “sgozza sgozza” (questa era la canzone di moda durante la guerra dei Sei Giorni, poi ripresa nel 73), se condotto da un’ispirazione personale giusta, può cambiare, può cercare una strada di moderazione e di pace. Il mondo arabo aspetta una personalità realista e interessata al futuro del proprio popolo più che al suo personale interesse di dittatore, che lo guiderà sempre verso la guerra, verso la repressione del suo popolo e l’abbindolamento attraverso l’odio antisraeliano.
Ma in secondo luogo, vedendo il proseguo della pace Israelo-Egiziana, non resta che considerare con tristezza il gelo di questa pace, la proibizione egiziana ai suoi cittadini di visitare da turisti Tel Avive Gerusalemme, la tacita connivenza con i terroristi che intorducono tonnellate di armi e tritolo e migliaia di terroristi a Gaza tramite le gallerie sotterranee lungo il confine fra Gaza e il Sinai, la complicità ideologica con le organizzazioni e i cosiddetti intellettuali che seguitano a pubblicare Mein Kampf e a riempiono la stampa di edioriali e caricature antisemite, e anche con le libere organizzazioni di artisti che, come massima libertà individuano quella di proibire la partecipazione del film israeliano "La visita dell’Orchestra" (premio della critica a Cannes)che parla del rapporto fra gente semplice da una parte e dell’altra, con amore e identificazione.
Un uomo è fondamentale, ma non basta. Alla vigilia della Conferenza di Annapolis, è bene ricordarlo: Abu Mazen ha i suoi estimatori, è un leader importante, ma la rivoluzione pacifica richiede forze immense e soprattutto una decisa educazione del popolo, che non indulga, come invece fa Abu Mazen e anche il rais egiziano Hosni Mubarak a occhieggiamenti estremisti.
Infine: la vicenda di Sadat è terribilmente espressiva nel suo tragico finale. La sua uccisione ci parla della forza dei Fratelli Mussulmani. Oggi, oltre che con loro, abbiamo a che fare con Al-Qaeda e con l’Iran che finanzia Hamas e gli Hezbollah. E quant’altri.
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