Nemer Hammad non riconosce lo Stato ebraico, e nemmeno il popolo ebraico
brutte premesse per il dialogo di pace
Testata:
Data: 14/11/2007
Pagina: 11
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «La piazza e non le armi sconfiggeranno Hamas»
Sull'UNITA' del 14 novembre 2007 Umberto De Giovannangeli intervista Nemer Hammad sul conflitto tra Fatah e Hamas e sulla conferenza di Annapolis.
A proposito della negazione del riconoscimento di Israele come Stato ebraico, Hammad risponde:
«Se questa è una pregiudiziale, Israele rischia di creare altri problemi ai tanti che già ci sono. Non esiste nel mondo uno Stato che leghi l’identità nazionale all’identità religiosa».
Sebbene al mondo esistano teocrazie di varia natura, dalla versione "repubblicana" iraniana a quella dinastica dell'Arabia Saudita, il vero problema per Hammad è l'esistenza una democrazia "ebraica".
Perchè in essa "l’identità nazionale" è legata "all’identità religiosa".
Ma ad Hammad si dovrebbe ricordare che le cose stanno esattamente così: gli ebrei sono un popolo.
Se ne vorrà finalmente accettare l'esistenza?
Domanda pertinente, perché una cosa è chiara: la questione dello Stato ebraico non ha nulla a che fare con l'eguaglianza dei diritti di chi non è di religione ebraica, che in Israele è pienamente garantita.
Ha a che fare invece con il diritto all'esistenza di Israele, che vuole rimanere lo Stato degli ebrei e non trasformarsi in un altro stato islamico e arabo.
E ha anche a fare, nei termini in cui Hammad ha posto la questione, direttamente con il diritto del popolo ebraico a un'esistenza nazionale, nel più ampio senso del termine, non solo in quello dell'autodeterminazione politica.
Qualcuno all'UNITA', per esempio l'intervistatore De Giovannangeli, o Furio Colombo in un commento, o chiunque altro, avrebbe potuto cortesemente farlo notare all'illustre interlocutore.
Ecco il testo:
«Hamas ha cercato di soffocare nel sangue la grande risposta popolare al colpo di Stato. Ma nonostante restrizioni, arresti e minacce, Hamas non è riuscito a impedire che quasi un milione di persone siano scese in strada in nome dell’unità nazionale palestinese, in nome di Yasser Arafat. Sarà la piazza e non le armi a sconfiggere Hamas». A sostenerlo è Nemer Hammad, consigliere politico del presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen), per anni «ambasciatore» dell’Olp in Italia. Nell’intervista a l’Unità, Hammad fa anche il punto sullo stato di preparazione della Conferenza di Annapolis: «Le discussioni sul documento congiunto israelo-palestinese - riflette il consigliere di Abu Mazen - sono entrate in una fase estremamente delicata. La nostra scelta di pace non è in discussione, ma quella a cui tendiamo è la “pace dei coraggiosi”, quella che era stata indicata da Yasser Arafat e Yitzhak Rabin».
Le commemorazioni a Gaza per il terzo anniversario della scomparsa di Yasser Arafat si sono concluse con morti e feriti.
«Hamas non ha esitato ad ordinare di aprire ai propri miliziani spacciati per agenti di polizia contro una folla che si era riunita per commemorare Yasser Arafat e per protestare contro il golpe attuato nella Striscia di Gaza. Non hanno esitato a sparare contro civili, anche donne e bambini. E il giorno dopo hanno effettuato centinaia di arresti. Ma questa reazione è un segno di debolezza di chi sente venir meno la terra del consenso sotto i suoi piedi. Ma Hamas ha sbagliato i suoi calcoli: sarà la protesta popolare e non le armi a decretare la sua sconfitta».
Nella manifestazione si inneggiava all’unità. È ancora un obiettivo realistico?
«Lo è ma ad una condizione: che Hamas e le sue milizie di porre fine ai loro crimini e riconoscere le istituzioni del popolo palestinese. Solo così è possibile riparlare di dialogo».
Un dialogo che prosegue con Israele. A che punto è la preparazione della Conferenza di Annapolis?
«Siamo entrate in una fase estremamente delicata. La discussione attorno alla Dichiarazione congiunta israelo-palestinese procede con difficoltà...».
Quali sono i punti più controversi?
«A più riprese abbiamo ribadito a tutti i nostri interlocutori, a cominciare dalla segretaria di Stato Usa Condoleezza Rice, che la Conferenza non può ridursi ad una “photo opportunity” ma deve servire a dare un nuovo slancio al negoziato di pace. Per questo è importante che il documento preparatorio non sia reticente sui nodi cruciali di un accordo globale. Sia chiaro: Annapolis non è la sede del negoziato, ma deve essere l’occasione per definire i dossier su cui successivamente si dovrà sviluppare il negoziato tra le parti. Questi nodi sono risaputi: i confini, lo status di Gerusalemme, un compromesso sul diritto al ritorno dei rifugiati, le risorse idriche...Su ognuna di queste questioni occorre indicare una soluzione possibile che andrà poi sviluppata in sede di trattativa...«.
Un problema di contenuti...
«Di contenuti ma anche di tempi. Il fattore-tempo è decisivo. La trattativa non può protrarsi in un tempo indefinito. Il vero punto di svolta rispetto agli accordi di Oslo risiede proprio in questo: dire chiaramente da subito quale sarà lo sbocco della trattativa, il suo approdo finale - quello di due popoli, due Stati - e indicare l’arco temporale entro il quale chiudere il negoziato...».
Per l’Anp quale dovrebbe essere questo tempo massimo?
«Facciamo nostra l’indicazione di Condoleezza Rice: un accordo globale va raggiunto entro la fine del mandato presidenziale di Bush, quindi entro dicembre 2008».
L’imponente manifestazione di Gaza era in ricordo di Yasser Arafat. Era solo un pretesto?
«No, mai come oggi la lezione di Yasser Arafat è di straordinaria attualità. È la lezione di un leader che aveva sempre considerato l’unità dei palestinesi come il valore più prezioso da difendere contro tutto e tutti. Chi attenta all’unità indebolisce la causa palestinese. È ciò che oggi sta avvenendo, e Hamas ne porta la responsabilità».
Qual è il messaggio che dovrebbe essere lanciato da Annapolis?
«Che la pace è l’unica garante della sicurezza per tutti i popoli della regione».
Israele chiede che venga riconosciuto come Stato ebraico
«Se questa è una pregiudiziale, Israele rischia di creare altri problemi ai tanti che già ci sono. Non esiste nel mondo uno Stato che leghi l’identità nazionale all’identità religiosa».
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