I paragoni storici sono sempre forzati, ma il parallelo tra il patto Molotov e Ribbentrop del 1939 e il patto che garantisce piena libertà d’azione sul nucleare, stretto ieri da Putin con Ahmadinejad, sono inevitabili. Oggi, la stampa iraniana commenta con toni trionfalistici “la grande vittoria contro l’occidente” ottenuta dall’Iran ed ha ragione. Il presidente sovietico ha infatti garantito tutto l’enorme peso della Russia a copertura dei disegni oltranzisti ed aggressivi del gruppo di potere militarista di Teheran. Non solo protezione in sede Onu contro il pacchetto di sanzioni proposte da Usa e Francia, non solo continuità negli aiuti in tecnologia nucleare (Putin ha persino voluto chiarire che la attuale sospensione è dovuta a motivi tecnici- di natura economico-contrattuale- e non politici), non solo costruzione di un cartello, di una Opec del metano in funzioni antioccidentale, ma addirittura costruzione di un cuscinetto protettivo di tutte le ex repubbliche sovietiche –in primis l’Azerbajan- a nord di Teheran per ostacolare eventuali iniziative militari americane.
Il dividendo politico che Ahmadinejad e il blocco pasdaran-ayatollah ricavano da questa strategia di Putin è straordinario, sia sul piano internazionale, che su quello interno.
Da oggi, l’Iran che vuole distruggere Israele ha un partner che si chiama Russia.
Da oggi, l’Iran che nega l’Olocausto, ha un protettore, che si chiama Russia.
Da oggi, l’Iran che vuole dotarsi di bomba atomica, ha un garante, che si chiama Russia.
Il vero disastro, la vera ragione della piena liceità del paragone col patto tra nazismo e comunismo del 1939, non è ovviamente meccanico, la semplice coazione a ripetere di Mosca nell’appoggio a regimi totalitari, antisemiti e nazistoidi. Il dramma è che questa mossa di Putin –a scorno di tutti gli ottimismi americani ed europei- prefigura un posizionamento russo in Asia di tipo assolutamente aggressivo, alla lunga potenzialmente esplosivo in funzione anticinese e antindiana.
La plurisecolare ambizione di Mosca di trovare un suo sbocco sull’Oceano indiano ispira questa mossa cinica e tragica di Putin, questa volta senza la grettezza sovietica che ragionava con i carri armati mandati a Kabul, ma con la concreta forza di un monopolio energetico da usare come “armata” decisiva per fare riconquistare alla Russia il ruolo perduto di superpotenza.
Un fallimento pieno per la cremlinologa Condoleeza Rice –bisogna riconoscerlo- ma ancora più per Hillary Clinton e per i democratici.
L’errore strategico di valutazione sullo sviluppo della crisi mortale dell’Urss si è infatti consolidato nel pianeta soprattutto durante i due mandati di Clinton, le cui amministrazioni (e Madeleine Albright è stata la più colpevole in questo senso) hanno sempre agito nella convinzione di un graduale e indiscutibile integrazione della Russia nel mercato, nella cultura politica, nell’integrazione in tutti i campi con l’occidente.
Persi 18 anni in questa illusione, oggi l’occidente è costretto da questa visita apparentemente marginale di Putin a Teheran a svegliarsi e a costruire una strategia non solo di contenimento, ma anche di attacco.
Strategia problematica per l’Europa che –succube di una egemonia culturale gollista- ha invece giocato con l’asse Chirac-Schoreder, proprio al più cinico e incosciente rafforzamento della partnership commerciale e politica con Mosca.
Se Putin oggi ha la libertà di giocare la sua partita nucleare con Ahmadinejad, lo deve in buona parte al suo attuale dipendente Schroeder e al decaduto Chirac (e anche all’incoscienza di Prodi e D’Alema che da un anno in qua spalleggiano, con cinico e demenziale dilettantismo, questo cammino, senza neanche capire, peraltro, che l’asse franco tedesco ha cambiato segno e che l’Italia ormai è isolata)