Un aiuto a Israele o al terrorismo ?
a proposito di un cattivo consiglio
Testata:
Data: 16/10/2007
Pagina: 2
Autore: la redazione
Titolo: Se Israele aiutasse se stesso

Israele aiuti se stesso eliminando i posti di blocco e la barriera difensiva che protegge i suoi cittadini dal terrorismo e salvaguardando così la libertà di movimento dei palestinesi.
E' il consiglio degli "amici" del RIFORMISTA, ispirato alle parole di un altro sostenitore di Israele, l'inviato dell'Onu  
John Dugard casualmente membro  di un'organizzazione che vede in Israele il peggore, se non l'unico, violatore dei diritti umani sulla faccia della terra.
"Amici" che, dunque, considerano la libertà di movimento dei palestinesi più importante del diritto alla vita degli israeliani.

L'ingiustizia del giudizio è quella di moltissimi altri articoli e di moltissime altre dichiarazioni. Non c'è nulla di nuovo. In questo caso, però,  è particolarmente forte l'odore dell'ipocrisia.

Ecco il testo:

Che i diritti umani siano un concetto assai lato in larga parte del pianeta è un dato tristemente oramai acclarato e anche un po' abusato. Ma se a parlare di violazione dei diritti umani è un inviato delle Nazioni Unite, il dato appare un po' più serio. Dato che diventa preoccupante se il dito viene puntato contro Israele, che resta il modello di democrazia in un'area in cui il deficit di libertà è ancora terribilmente alto. A far lampeggiare la spia d'allarme, ieri, è stato l'inviato Onu per i diritti umani nei territori palestinesi, John Dugard, annunciando che nel prossimo rapporto all'assemblea generale del Palazzo di Vetro, previsto per fine mese, chiederà al segretario generale delle Nazioni Unite, di ritirare l'Onu dal Quartetto (Onu, Usa, Ue e Russia) dei mediatori per il Medio Oriente, se non si affronterà (e si risolverà) la questione dei diritti umani in Palestina. «Sono rimasto molto colpito dalla mancanza di speranza del popolo palestinese», ha commentato Dugard, collegando questa percezione «ai disastrosi effetti delle violazioni dei diritti dell'uomo» causati, in primo luogo, dalle restrizioni israeliane alla libertà di movimento dei palestinesi.
Una voce autorevole (e assai solitaria tra le voci autorevoli) che svela l'altra faccia della medaglia della strategia adottata dallo Stato ebraico per garantire il legittimo diritto alla sicurezza, nel proprio territorio, dei cittadini israeliani. Diritto che, per affermarsi, passa attraverso la negazione di altri diritti alla controparte palestinese. E, quel che è peggio, nel suo territorio. Ha dunque ragione Condoleezza Rice quando, sempre ieri, affermava che «francamente, è giunto il momento per la creazione di uno stato palestinese», mordendo il freno affinché Israele accetti l'accordo di principio con l'Anp come precondizione per qualsiasi negoziato da sviluppare nella conferenza di pace di novembre, che appare ancora assai incerta. Se dovesse fallire il tentativo americano, l'unica ipotesi di accordo ancora in piedi resterà la road map del Quartetto. Sempre che il Quartetto sia ancora tale. Vien da dire: suvvia Israele, datti una mano.

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