Apertura di Hamas a Fatah ? Sì, per combattere insieme Israele
Umberto De Giovannangeli intervista Ismail Haniyeh
Testata:
Data: 12/10/2007
Pagina: 14
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Haniyeh ad Abu Mazen:la conferenza Usa è una trappola, non andare

Intervista di Umberto De Giovannangeli ad Ismail Haniyeh, capo del governo golpista di Hamas a Gaza, sull' UNITA' del 12 ottobre 2007.
Haniyeh ci informa il sottotitolo
"riapre al dialogo con Fatah". Peccato che lo invitandoAbu Mazen a non andare ad Annapolis, a non trattare con Israele e a non aiutare gli Stati Uniti con la prospettiva di una soluzione del conflitto israelo-palestinese.

Le menzogne e le ambiguità di Haniyeh vengono protette dalla reticenza dell'intervistatore: la tregua con Israele diventa la "pace" alla quale Hamas sarebbe disponibile, l'adesione al progetto di creare uno Stato entro i confini del 67 diventa l'equivalente del riconoscimento di Israele.

Ma "tregua" in realtà significa intervallo tra due guerre, e accettare uno stato palestinese entro i confini del 67 significa accettare di sitruggere Israele "per fasi" (come già fece Arafat)

Ecco il testo: 

«AL PRESIDENTE ABBAS diciamo: non avallare la Conferenza degli inganni, voluta da Bush per cercare di mascherare il suo fallimento in Medio Oriente. Quella Conferenza è una trappola nella quale i palestinesi non devono cadere». A parlare è Haniyeh,
leader di Hamas, il premier dimissionato da Abu Mazen. In questa intervista a l’Unità, Haniyeh apre al dialogo con Fatah: «Non esiste altra strada che quella di un governo di unità nazionale. Siamo pronti da subito a sederci ad un tavolo con il presidente e Fatah, ma si deve sapere che quella attuata da Hamas a Gaza è stata una reazione ad un tentativo di golpe condotto da bande al servizio di gente che mirava solo a rafforzare il proprio potere: il riferimento è all’ex uomo forte di Fatah a Gaza, Dahlan.
Abu Mazen e il premier israeliano Olmert sono impegnati nella definizione di una Dichiarazione congiunta in vista della Conferenza internazionale promossa dagli Usa. Qual è la sua posizione?
«Quella architettata da Bush è una Conferenza degli inganni. È una trappola nella quale noi palestinesi non dobbiamo cadere. Si tratta di un tentativo americano di mascherare il fallimento della loro politica in Medio Oriente. Al presidente Abbas dico: non prestarti a questo inganno».
Olmert si è impegnato a realizzare una pace fondata su due Stati.
«È un inganno. Olmert parla di continuo di pace ma sono parole. I fatti raccontano un’altra storia: terre confiscate, villaggi spezzati dal Muro in Cisgiordania, una popolazione, quella di Gaza, sotto assedio da oltre un anno. È questa la pace di Israele? Olmert parla di Stato, Bush parla di Stato, intanto la Cisgiordania viene spezzata in mille frammenti e vogliono chiamarli "Stato"».
Israele dice che Hamas ha come obiettivo non la costituzione di uno Stato palestinese ma la distruzione di quello ebraico.
«Hamas ha vinto le elezioni, libere elezioni, su un programma chiaro, al quale non siamo venuti meno: batterci per uno Stato di Palestina sui territori occupati nel 1967, uno Stato con Gerusalemme capitale. È questo il nostro programma di governo».
Ma se così è, perché Hamas ha realizzato il colpo di mano militare a Gaza?
«Siamo pronti ad accettare una commissione d’inchiesta della Lega Araba che faccia luce su ciò che è realmente avvenuto a Gaza».
E cosa sarebbe «realmente» avvenuto?
«Un tentativo di ribaltare le indicazioni che erano venute dalle elezioni. Le chiedo: ma dove mai si è visto che un movimento che ottiene un successo elettorale produca poi un golpe? La realtà è che a Gaza c’era chi voleva realizzare una prova di forza armata per ribaltare l’esito delle elezioni».
Con Fatah la parola è solo alle armi?
«No, non deve esserlo. Non esiste alternativa ad un governo di riconciliazione nazionale, e di questo ne è consapevole anche l’Egitto che si è offerto di mediare. Per quanto mi riguarda sono disposto a fare anche un passo indietro se può essere utile. La nostra amministrazione a Gaza è temporanea».
Hamas è disposto a negoziare con Israele? E se sì su quali basi?
«Non da oggi abbiamo affermato che siamo disposti a negoziare una tregua di lunga durata, 10-15 anni. A patto però che Israele ponga fine all’assedio di Gaza, alla costruzione del Muro in Cisgiordania, liberi i prigionieri palestinesi detenuti nelle sue carceri, ponga fine agli assassini di militanti e dirigenti dell’Intifada. Israele sa bene che Hamas è in grado di rispettare e far rispettare gli accordi presi. La resistenza armata non è il fine di Hamas ma resta uno dei mezzi obbligati per ottenere la liberazione della Palestina. Ma sia ben chiaro: Hamas non è contro la pace, è contro la capitolazione».
Ma se siete per la pace perché non accettate di riconoscere lo Stato d’Israele?
«Perché a un popolo oppresso non si può imporre di riconoscere il proprio oppressore. Il riconoscimento di Israele non può essere la precondizione per un negoziato, semmai ne è parte».
Perché Hamas non accetta di andare a nuove elezioni?
«Non siamo certo noi ad avere paura del voto. Ma perché questo voto sia libero deve essere tolto l’assedio di Gaza e riconosciuto da tutti l’unico organo realmente rappresentativo della volontà popolare: il Consiglio legislativo palestinese (il parlamento dei Territori dove Hamas ha la maggioranza assoluta, ndr). Anche su questo siamo disposti ad avviare un confronto con Fatah senza ricatti».
In una intervista a l’Unità, il ministro degli Esteri D’Alema ha ribadito che a certe condizioni è ipotizzabili aprire un confronto con Hamas. Come risponde?
«Ho apprezzato la posizione italiana e lo sforzo fatto per non appiattirsi sull’ostracismo degli americani. Hamas è amico dell’Italia ed è disposto ad entrare nel merito delle richieste avanzate. L’Italia potrebbe farsi carico di una missione esplorativa: Prodi e D’Alema sono i benvenuti a Gaza. Ma discutere è una cosa, altro è subire diktat.».
C’è chi sostiene che Hamas intenda dar vita a un «suo» Stato a Gaza?
«È falso. Lo ripeto: il nostro obiettivo era e resta quello di costruire uno Stato indipendente su tutti i territori occupati da Israele nel 1967. Non saremo noi a venir meno a questo impegno».
(ha collaborato Osama Hamdan)

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