Propaganda antisraeliana e aperture ad Hamas
intervista acritica a un dirigente di Fatah
Testata:
Data: 24/09/2007
Pagina: 4
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Se il summit fallisce Fatah riaprirà la porta ad Hamas»
Se a novembre non ci sarà un "accordo", vale a dire se Fatah non otterrà ciò che vuole, riprenderanno i contatti con Hamas.
Intanto, per favorire il buon esito della conferenza, Israele deve porre fine all' "odiosa punizione collettiva" dei palestinesi di Gaza (giustamente, come la barriera salvavite si chiama "muro dell'apartheid", la ventilata riduzione delle forniture di elettricità e carburante ai nemici di Israele è una "odiosa punizione collettiva")
La propaganda Qadura Fares membro dei comitato centrale di Al-Fatah viene riportata da Umberto De Giovannangeli sull'UNITA' del 24 settembre senza accenni a critiche, e senza nessuna inquietudine per i messaggi ricattatori verso Israele e di conciliazione nei confronti degli oltranzisti di Hamas.

Ecco il testo:


È il leader della «nuova guardia» di Al-Fatah. Ex ministro dell’Autorità palestinese, membro dei comitato centrale di Al-Fatah, esponente dei giovani all’interno della dirigenza dell’Anp, Qadura Fares è anche il più stretto collaboratore dell’uomo simbolo della seconda Intifada: Marwan Barghuti. Basta e avanza per prestare grande attenzione alle sue considerazioni e al messaggio che l’astro nascente di Fatah lancia alla comunità internazionale alla vigilia dell’atteso incontro a New York tra George W. Bush e il presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen). Al centro dell’incontro c’è la Conferenza di pace convocata dagli Stati Uniti per metà novembre.«Il fallimento della Conferenza - avverte Fares - potrebbe giustificare un cambiamento della nostra posizione attuale», il che significa che da quel momento in poi Fatah e Hamas potrebbero tornare a collaborare. È la prima volta dopo il colpo di mano militare di Hamas a Gaza del giugno scorso, che un esponente di primo piano di Al Fatah evoca questa possibilità.
Oggi a New York il presidente Bush cercherà di vincere le ultime perplessità di Abu Mazen sulla Conferenza di metà novembre. Qual è in proposito la sua posizione?
«Questa Conferenza non può ridursi ad un evento mediatico privo di contenuti e di prospettive. Se così fosse una tale Conferenza non sarebbe solo inutile ma controproducente. Occorre che tutti abbiano consapevolezza delle conseguenze di un fallimento».
Vale a dire?
«In discussione non rientrerebbe solo il dialogo con Israele ma anche i rapporti all’interno del campo palestinese. Tutto dipende dagli esiti della Conferenza di novembre, perché se l’accordo non ci sarà allora il dialogo con Hamas sarebbe utile che riprendesse. Mentre è chiaro che se in quella occasione riusciremo a fare sostanziali passi in avanti verso la creazione di uno Stato palestinese, allora toccherà ad Hamas riconsiderare il suo atteggiamento».
Abu Mazen discuterà con Bush anche degli inviti alla Conferenza.
«Questa questione è stata anche affrontata da Abu Mazen nel suo recente incontro a Ramallah con Condoleezza Rice. La segretaria di Stato Usa ha accolto la richiesta palestinese di un ampio coinvolgimento di Paesi arabi nella Conferenza. L’incontro di New York sancirà questa apertura».
Apertura verso chi?
«Ciò che chiedevamo è che la Conferenza vedesse presenti oltre a Egitto, Giordania, Arabia Saudita e Qatar, anche Siria e Libano. Questa richiesta è stata accolta dagli Usa».
Questo per ciò che concerne la partecipazione. E sui contenuti?
«La Conferenza deve sostanziare l’affermazione di principio di una pace fondata su due Stati. Ciò significa entrare nel merito di questioni dirimenti come i confini, lo status di Gerusalemme, i rifugiati, il controllo delle risorse idriche. Non basta più parlare di due Stati, occorre chiarire cosa dovrebbe essere lo Stato di Palestina».
Lei è uno dei leader della nuova guardia di Al-Fatah. Per riconquistare il consenso perduto basta un buon esito della Conferenza di pace?
«Questa è una delle due condizioni fondamentali, perché non vi è dubbio che Hamas ha capitalizzato la delusione popolare nei confronti del fallimento di quella strategia negoziale fondata sugli Accordi di Oslo. L’altra condizione riguarda direttamente Fatah: se vogliamo risorgere dalle macerie di Gaza, dobbiamo rifondare radicalmente il partito, fare piazza pulita di corrotti e imbelli. Solo così potremo contrastare Hamas».
Per rafforzare le prospettive del dialogo quale atto dovrebbe a suo avviso compiere Israele?
«La cancellazione delle nuove sanzioni imposte alla Striscia di Gaza. Quelle sanzioni rappresentano una odiosa punizione collettiva inflitta da Israele a 1,4 milioni di palestinesi. Di fronte a queste sanzioni la parola dialogo rischia di perdere ogni significato».

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