Chi sarà mai ad uccidere i politici libanesi antisiriani ?
nessuno lo sa, sostiene Paola Caridi
Testata:
Data: 21/09/2007
Pagina: 9
Autore: Paola Caridi
Titolo: Libano verso il voto. O verso la guerra civile

Quasi tutti i commentatori hanno notato che  la morte in un attentato del politico libanese  Antoine Ghanem rende più probabile l'elezione alla presidenza del paese dei cedri del filosiriano Michel Aoun.
E il fronte antisiriano libanese è compatto nell'indicare le responsabilità di Damasco.

Per Paola Caridi, però, la vicenda è oscura: "a chi sia convenuto rimescolare per l’ennesima volta le carte del delicato puzzle libanese, proprio quando un compromesso sembrava a portata di mano, nessuno lo sa ancora."

Noi ci limitiamo a ricordare che nonostante la catena di omicidi di politici antisiriani che sta insanguinando il Libano, la Siria non ha finora pagato un prezzo.  La schiera di coloro che considerano Damasco un indispensabile interlocutore non è certo diminuita, anzi, è probabilmente aumentata. il ragionamento per il quale Damasco non avrebbe interesse a commettere gli omcidi perché ne ricaverebbe svantaggi maggiori dei vantaggi, è confutato dai fatti.

L'eliminazione dei "nemici" del dominio siriano in Libano sta proseguendo indisturbata senza che la comunità internazionale metta in campo nessuna contromisura efficace

Ecco il testo:


Gerusalemme. Ora, ancor più di prima, gli occhi dei libanesi sono puntati su un palazzo basso, di pietra chiara. La sede del patriarcato maronita a Bkerke, un pugno di chilometri a nord di Beirut. Lì doveva svolgersi l’incontro cruciale, quello tra lo speaker del parlamento, lo sciita Nabih Berri, capo del partito Amal, e il patriarca maronita Nasrallah Sfeir. Da quel colloquio, si sarebbe capito qualcosa di più della carta d’identità del prossimo presidente libanese. Che, per tradizione politica ed equilibri confessionali, dovrà essere un cristiano. Poi c’è stata l’autobomba, l’ennesima autobomba in questi ultimi sanguinosi tre anni, che ha squarciato l’aria di Beirut, mercoledì pomeriggio, e si è portata via la vita di nove persone. Tra cui quella di un deputato cristiano maronita, appartenente al fronte antisiriano, appena rientrato da una sorta di autoesilio a Dubai dettato da ragioni di sicurezza. Vittima collaterale dell’attentato in cui è morto Antoine Ghanem, è stato proprio quell’incontro a Bkerke. Che comunque, se non oggi com’era in calendario, si dovrà fare prima del 25 settembre, data della convocazione del parlamento libanese per decidere il successore di Emile Lahoud. Il faccia a faccia tra Berri e Sfeir è l’unica chance di costruire l’identikit del cosiddetto «presidente consensuale», un capo di stato che riunisca il Libano diviso in un compromesso indispensabile. Per non cadere in un’altra guerra civile. L’iniziativa era partita dallo stesso Berri, che aveva ottenuto dal fronte guidato da Hezbollah la caduta delle pregiudiziali che sinora avevano impedito le trattative sul nuovo presidente. Il “partito di Dio” sciita non avrebbe più chiesto un governo di unità nazionale come pregiudiziale per arrivare a un’intesa sul capo dello stato, alla cui nomina - però - si sarebbe dovuti arrivare attraverso un consenso nazionale. All’offerta di Hezbollah, appena una settimana fa, Saad Hariri, uno dei protagonisti del fronte filoccidentale del 14 marzo, aveva risposto di sì, spianando la strada a un negoziato faticoso.Ma aperto. L’imprimatur, quello più importante, era però arrivato proprio da Bkerke appena poche ore prima dell’attentato a Ghanem. Con un appello dei vescovi maroniti, sotto la presidenza di Sfeir, che chiedeva a tutti i deputati di non boicottare la seduta parlamentare del 25 settembre e affermava di «sperare che l’iniziativa di Berri sia coronata da successo». Berri, a questo imprimatur, non vuole rinunciare. E ieri ha confermato che la seduta del 25 settembre si farà. Nonostante tutto. Perché, ha detto, l’attentato a Ghanem è il segno che è in atto una «grande cospirazione» contro il Libano. Senza specificare da parte di chi. Avanti, dunque, con le presidenziali. Una scelta, questa, che accontenta tutti quelli che stanno cercando di non far precipitare il Libano dentro la totale instabilità. Perché proprio questo, l’instabilità del Libano, è stato il vero bersaglio di quei 50 chili di tnt piazzati in una Mercedes nel quartiere cristiano di Sin el Fil. A sostenere l’ipotesi di un “presidente consensuale”, insomma, sono formalmente tutti. Compresi i tanti “burattinai” che danzano attorno a Beirut: non soltanto la Siria, non soltanto l’Arabia Saudita, ma anche la Francia e gli Stati Uniti. Ognuno di loro, ognuno di questi attori esterni che influenzano pesantemente le decisioni a Beirut, ha il suo candidato preferito. I sauditi vorrebbero Nessib Lahoud (solamente una lontana parentela con il presidente Emile). Gli americani preferirebbero Boutros Harb. I siriani avrebbero il vecchio generale Michel Aoun, alleato con gli Hezbollah, ma qualche analista sostiene che guarderebbero con favore anche a un presidente di transizione come il capo delle forze armate Michel Suleiman, che potrebbe essere eletto per due anni nel caso fallisse l’iniziativa Berri. I francesi sembrano più aperti alle diverse candidature in gioco, compresa quella del governatore della banca centrale, Riad Salameh. E gli altri europei stanno a guardare, mentre sperano di non trovarsi in mezzo a una instabilità talmente tanto forte da mettere in gioco la presenza delle truppe raggruppate dentro Unifil. La domanda di fondo, su chi ha ammazzato Ghanem, e assieme a lui gli altri sette esponenti politici del fronte del 14 marzo, rimane lì. Senza risposte. Molti leader del fronte filoccidentale, hanno accusato la Siria. Hariri ha detto che l’autobomba è stata la risposta di Damasco al raid israeliano del 6 settembre sulla Siria. Il regime di Bashar el Assad, dal canto suo, respinge le accuse dicendo esattamente l’opposto, che il bersaglio dell’attentato erano «gli sforzi da parte della Siria e di altri di raggiungere un accordo nazionale libanese ». Compresa, tra gli sforzi per ammorbidire le relazioni tra Siria e Libano, la riapertura di due posti di frontiera appena alla vigilia del nuovo omicidio politico che ha scosso Beirut. Di certo, nel Levante, c’è spesso soltanto la confusione della polvere sollevata dal vento, che impedisce di guardar bene il panorama: a chi sia convenuto rimescolare per l’ennesima volta le carte del delicato puzzle libanese, proprio quando un compromesso sembrava a portata di mano, nessuno lo sa ancora.

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