Eric Salerno - Roberto Bongiorni - Vittorio Dell'Uva
Acqua, luce, confini Così Tel Aviv controlla la striscia - L'obiettivo di Israele apartheid nei territori - La pace promessa - Olmert i sola Gaza - Israele Gaza entità nemica - Il cappio della strategia della tensione
La sospensione delle forniture elettriche e di carburante a Gaza non saranno "immediate", ma graduali e determinate dal proseguire dei lanci di razzi kassam, i " razzi fatti in casa dai militanti di Hamas" non hanno solo effetti "psicologici", ma uccidono e feriscono, non esiste nessuna "deomonizzazione di Hamas", ma solo la constatazione che un gruppo terroristico che persegue la distruzione di Israele non è un interlocutore per la pace in Medio Oriente, Hamas è una sezione dei Fratelli musulmani, gruppo panislamico nato in Egitto, non un' "invenzione, nella metà degli 80, della leadership israeliana".
Sono alcuni dei contrasti tra i fatti e le falsità raccontate da Igor Man nel suo editoriale pubblicato dalla STAMPA del 20 settembre 2007, a pagina 35:
Hamas, entità nemica» e, come tale, sottoposta a immediate sanzioni economiche. Così ha deciso ieri il Consiglio di Difesa di Israele. Le sanzioni saranno dure non fosse altro perché sono gli israeliani ad avere i rubinetti dell’energia e dell’acqua, e non da oggi. Castighi severi ha subito una disgraziata popolazione, un milione e mezzo di palestinesi, sin dai tempi in cui la Striscia di Gaza era sotto tutela egiziana. Sharon, che personalmente curava il dossier-Gaza, non è mai riuscito a spegnere questo vero e proprio accesso di fissazione ch’è la Striscia: negli anni il mitico generale è sempre andato avanti e indietro, a mezzadria ora con la forza, ora con audaci colpi di scena: lo smantellamento delle colonie, per citare la decisione più clamorosa (rivelatasi tuttavia sterile).
Paradossalmente la decisione del Consiglio di Difesa israeliano, definita dal portavoce di Hamas una «dichiarazione di guerra», anziché una manifestazione di forza è la spia della fragilità del governo presieduto dal controverso Olmert.
Non è un mistero che i razzi fatti in casa dai militanti di Hamas ancorché rozzi ottengano in Medio Oriente, non soltanto in Palestina, un congruo successo psicologico e mediatico. Mai nella sua Storia Israele si è preoccupata di dichiarar guerra al nemico di turno.
A torto o a ragione, Israele s’è mosso sempre in anticipo, senza scrupoli diremo diplomatici. Svanito Sharon, i suoi anemici successori non sono riusciti a partorire una decisione magari discutibile secondo i nostri parametri ma davvero efficace, sotto il profilo della sicurezza e della politica internazionale. Come scrive R. A. Segre (israeliano doc), i razzi di Hamas, quelli appunto fatti in casa, «rivelano una volta di più la vulnerabilità del fronte interno israeliano». Miscia Lidenstrauss, «controllore dello Stato», ha avuto «parole al vetriolo» per la condotta di Olmert (sul fronte interno, sul fronte internazionale). Le frequenti caritatevoli visite a Gerusalemme del segretario di Stato, Signora Condy, persona di feroce intelligenza, il suo «placet» all’odierna demonizzazione di Hamas (invenzione, nella metà degli 80, della leadership israeliana tesa a svirilizzare la laica Olp di Arafat) non risolvono certo un lungo contenzioso le cui conseguenze sono innanzitutto l’inedito sconforto dell’uomo della strada israeliano. Costui non sa capacitarsi di quella che crede essere «pavidità». Da qui le pressioni sul governo perché metta fine ai bombardamenti dei razzi Qassam sugli inermi villaggi israeliani. Fonti bene informate vogliono che Olmert abbia nel cassetto un piano per «far pulizia a Gaza». Esso, in fatto, tradisce una grande tentazione: «Dare una mazzata alla forza militare di Hamas - eliminare i capi della “entità nemica” e questo per ridurre il pericolo d’un secondo fronte nel caso (non improbabile) d’una guerra con la Siria». Tutto ciò per far riguadagnare il prestigio perduto da Tsaal nell’ultima guerra del Libano. Di più: il piano Olmert contemplerebbe addirittura la cattura dei personaggi più di spicco di Hamas. Vivi o morti. Nel retropensiero di Olmert tutto questo ambaradan dovrebbe irrobustire il periclitante Abu Mazen aprendo finalmente la strada alla grande madre di tutte le soluzioni: la confederazione dell’Alta autorità (?) palestinese col Regno di Giordania. Fra gli obiettivi di codesto piano, infine, la liberazione del caporale Shalit rapito da Hezbollah.
Il piano può incantare l’uomo della strada frustrato dalla supposta inerzia del governo Olmert, non certo un personaggio come il segretario di Stato Condy. Il presidente Bush resta una tormentata incognita. Malraux definiva il mondo islamico «un minestrone ribollente». La bomba omicida di Beirut con la sua connotazione simile agli attentati «di stampo siriano», preludio della funesta guerra con Hezbollah soltanto pareggiata da Israele, tradisce la mano assassina del partito di Dio.
E dire Hezbollah e lo stesso che dire Iran.
Le sanzioni israeliane a Gaza avranno per Bernardo Valli disastrosi effetti politici in Medio Oriente.
L'editorialiasta della REPUBBLICA non si chiede se la vera minaccia alla pace non sia il controllo di Hamas sulla striscia
Altro sangue di esponenti anti siriani a Beirut, in un quartiere cristiano, e tensione tra Israele e Gaza, considerata un (supposto, probabile) caposaldo iraniano in Palestina, mentre l´inviata della Casa Bianca, Condoleezza Rice, arriva a Gerusalemme armata di propositi ragionevoli, purtroppo inflazionati dalla (a lungo) inconcludente politica imperiale. A questi avvenimenti si deve aggiungere il nuovo annuncio di Teheran, stando al quale la Repubblica islamica, fondata da Khomeini più di quarto di secolo fa, disporrebbe di armi sufficienti per rispondere e distruggere Israele, nel caso di un suo eventuale attacco aereo.
La segretaria di Stato americana sperava probabilmente di trovare un clima più accogliente. La sua missione è di preparare, o meglio ancora di rendere possibile, la conferenza della pace voluta da George W. Bush. Conferenza che dovrebbe tenersi a Washington in novembre, ma della quale non si conosce ancora la data esatta, né il numero dei partecipanti. Né se potrà essere inaugurata. Il sangue di Beirut e ancor più il nuovo drammatico capitolo di Gaza non sono certo segnali positivi. Un fallimento, prima ancora dell´inizio, sarebbe il definitivo insuccesso mediorientale per il presidente americano giunto al suo ultimo anno alla Casa Bianca. E un disastro, non solo per i paesi della regione, tenendo conto del dilemma («bombardamento dell´Iran o bomba atomica iraniana») che ci accompagnerà, come un incubo nel Uno sguardo ai vari calendari non ha certo, comunque, indotto Condoleezza Rice a pensare, iniziando il viaggio, che le ricorrenze religiose, il Ramadan in corso e lo Yom Kippur imminente, siano propizi alla pace. Là, in quelle regioni, invece di portare la quiete negli animi esse spingono piuttosto alla violenza o all´intransigenza. La storia ci ricorda che tra l´estate e l´autunno il Medio Oriente diventa incandescente. Le più intricate, agitate situazioni mediorientali vanno tuttavia analizzate con idee semplici. E laiche. Comincio dunque dall´avvenimento politicamente più rilevante: la decisione israeliana di dichiarare «entità nemica» la striscia di Gaza, popolata da quasi un milione e mezzo di palestinesi, e dal giugno scorso governata dai secessionisti islamici di Hamas. I quali rifiutano (al contrario dell´Autorità Palestinese insediata a Ramallah e controllata dalla laica Al Fatah) di riconoscere lo Stato ebraico.
La dichiarazione del governo di Ehud Olmert, rinvigorito dalla presenza di Ehud Barak, l´energico ministro della difesa al quale si può attribuire l´iniziativa, mette adesso Gaza sullo stesso piano dei paesi nemici, della Siria e dell´Iran. Nell´immediato questo dovrebbe consentire, sul piano della «legalità internazionale», di adottare sanzioni severe, quali la riduzione dell´energia elettrica (che a Gaza dipende per più del cinquanta per cento da Israele) o dei carburanti indispensabili alla vita della collettività, e di limitare i passaggi di frontiera al solo transito dei generi alimentari o del materiale sanitario. Queste sanzioni non sarebbero «legittime» se Gaza fosse ancora considerata «un territorio occupato» come la vicina Cisgiordania. E comunque non saranno applicate, sempre secondo il governo israeliano, prima di un esame delle conseguenze sul piano umanitario.
La dichiarazione di Gaza «entità nemica» è stata provocata dai continui lanci di razzi Qassam sul territorio israeliano che i ripetuti interventi di Tsahal non sono riusciti né a stroncare né a frenare, e che i dirigenti di Hamas, pur non essendone i diretti responsabili, non sono stati capaci o non hanno voluto impedire. Nonostante abbiano più volte promesso di intervenire a Damasco con gli esponenti della Jihad Islamica, dai quali dipenderebbero quei lanci.
La motivazione formale, accompagnata dalla promessa che prima di applicare le sanzioni saranno valutate le conseguenze umanitarie, non ha attenuato l´impatto della dichiarazione israeliana. Hamas l´ha denunciata come una dichiarazione di guerra, anche se essa non sembra, almeno per ora, il preludio di un´azione militare massiccia. La quale presenterebbe troppe incognite, troppi rischi e implicazioni politiche. Limitandosi agli aspetti umanitari, la stessa Condoleezza Rice ha sentito il bisogno di dire che «i palestinesi innocenti» non devono subire le conseguenze della decisione israeliana.
Quest´ultima, aldilà delle pressioni interne subite dal governo Olmert e degli inquietanti aspetti umanitari, ha in questo particolare momento, mentre si prepara la conferenza di Washington, un peso politico che può rivelarsi decisivo. In senso negativo. L´Autorità Palestinese ha condannato la dichiarazione di Gaza «entità nemica», che rende «legittime» le sanzioni contro un milione e mezzo di palestinesi. Pur essendo in aperta tenzone con gli islamisti secessionisti di Hamas, il presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen), già accusato di essere un collaboratore di Israele, rischia di subire la collera dei palestinesi, di Cisgiordania o d´altrove, solidali con i loro connazionali di Gaza.
Questo accade proprio mentre è in corso un´aspra discussione sulla natura della Conferenza di Washington. Per parteciparvi Mahmud Abbas chiede che ci sia sul tavolo una «dichiarazione di principi», in cui si parli in modo esplicito del futuro Stato di Palestina. E questa sua esigenza è resa ancora più irrinunciabile dalla minaccia delle sanzioni ai danni dei palestinesi di Gaza. Mentre il primo ministro Ehud Olmert vuole o deve limitarsi, vista la sua fragile posizione politica in patria, a «una dichiarazione di intenzioni». La quale è insufficiente anche per l´Arabia Saudita, la cui (non esclusa) presenza a Washington, accanto a Israele, sarebbe un avvenimento eccezionale. Senza precedenti. Uno schieramento di paesi arabi moderati (sunniti), con Israele, in novembre, attorno al presidente degli Stati Uniti, significherebbe la nascita di quella «santa alleanza» contro l´Iran (sciita), che si è profilata sull´orizzonte mediorientale negli ultimi mesi. E che adesso appare ancora più incerta.
Alberto Stabile nella sua cronaca annuncia un disastro umanitario che Israele appare in realtà comunque intenzionata ad evitare:
In risposta ai razzi Kassam piovuti su Israele, il governo Olmert ha dichiarato la Striscia di Gaza «entità nemica». È un primo passo verso la guerra, ma guerra non sarà, almeno per ora. Sarà, invece, per il milione e 400 mila palestinesi immobilizzati nella sabbia di Gaza, un lento precipitare verso condizioni di vita impossibili, se e quando la decisione presa ieri dal Consiglio di Difesa di tagliare elettricità, carburante e beni essenziali destinati alla popolazione della Striscia sarà tradotta in pratica. Una decisione che il movimento islamico, Hamas, ha accolto come «una dichiarazione di guerra».
La mossa del governo era, come usa dire da queste parti, scritta sui muri. Dopo l´ennesimo bombardamento contro il territorio israeliano (qualche giorno fa era stato colpito un campo d´addestramento militare e i feriti erano stati decine) Olmert, un premier adesso in risalita nei sondaggi, è stato sottoposto a forti pressioni soprattutto dalla destra, perché rispondesse con decisione alla sfida lanciata dalle milizie palestinesi.
Poiché le consuete rappresaglie e contromisure si sono rivelate impotenti a fermare i Kassam, missili artigianali raramente letali ma capaci di sconvolgere il quieto vivere di una cittadina come Sderot che ne ha subiti a centinaia, quello che la destra chiedeva con insistenza ad Olmert e al nuovo ministro della Difesa, Ehud Barak, era una grande operazione di terra in grado sradicare il fenomeno. In pratica la rioccupazione in tutto o in parte, ma più in tutto che in parte, di Gaza. Il che avrebbe comportato uno scontro ravvicinato con le milizie islamiche, Hamas, innanzitutto, ma anche la Jihad e i Comitati di Resistenza popolare, ed un inevitabile alto numero di perdite, da una parte e dall´altra. Inoltre, l´invasione di Gaza, avrebbe obbligato l´apparato militare, attualmente in stato d´allerta sul Fronte Nord, a causa della forte tensione con la Siria, a distrarre uomini e mezzi dal compito principale.
Olmert, d´accordo con i ministri di forza riuniti nel Consiglio di Difesa, ha optato per una via di mezzo tra l´azione militare a tutto campo e lo status quo. Vale a dire, una serie di misure che il cui peso ricadrà soprattutto sulla popolazione di Gaza, nella speranza che questa si trasformi in una «leva civile» per usare le parole di un ministro, capace di scalzare Hamas dal potere conquistato con la forza. Al movimento islamico, il governo israeliano imputa la responsabilità di aver trasformato la Striscia di Gaza nella in una centrale di «attività ostili» verso lo Stato ebraico.
La stretta decisa dal Governo verrà attuata in diverse fasi, non è stato detto a partire da quando e, comunque, ha precisato il ministro della Sicurezza Pubblica, Avi Dichter, «a condizione che non infliggano un danno umanitario». Su questo punto, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Kimun ha invitato Israele a riconsiderare la sua decisione avvertendo che qualsiasi riduzione dei «servizi vitali» viola la legge internazionale.
È probabile che non tutte le decisioni siano state rese note. Ehud Barak, in effetti, ha lasciato intendere che a parte le cosiddette sanzioni potrebbe esserci dell´altro: «Ogni giorno che passa ci porta più vicini ad un´operazione a Gaza».
Ma come si concilia tutto questo con la visita del Segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, giunta ieri in Israele per sollecitare israeliani e palestinesi ad abbandonare le molte rispettive riserve affiorate negli ultimi giorni e marciare decisi verso la Conferenza di pace proposta da Bush e prevista per novembre a Washington?
Si sa che Olmert è restio ad entrare subito in un negoziato sul futuro Stato palestinese, mentre Mahmud Abbas (Abu Mazen) vuole risultati visibili per dimostrare alla sua gente che il dialogo, e non la violenza di Hamas, paga. Dunque, il premier israeliano s´accontenterebbe di chiudere la conferenza con una dichiarazione congiunta, mentre il presidente palestinese preme per raggiungere almeno un accordo sui principi accompagnato da misure concrete per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi della Cisgiordania.
Una decisione come quella presa ieri dal governo israeliano indebolisce e imbarazza Abu Mazen che, infatti, ha protestato contro quella che ha definito un´oppressiva misura di punizione collettiva, e di riflesso, crea qualche difficoltà alla Rice, la quale, appena messo piede in Israele, ha sì confermato il giudizio di Olmert sull´ostilità di Hamas, ma ha subito aggiunto che comunque gli stati Uniti non avrebbero abbandonato i palestinesi buoni al loro destino. Un colpetto di freno.
Anche Paola Caridi sul RIFORMISTA vede nella mossa israeliana un'ostacolo a un inesistente processo di "moderazione" di Hamas.
Ecco il testo: