Moni Ovadia, nella veste di esegeta biblico, scova nel Levitico citazioni che dovrebbero giustificare il dialogo con Hamas.
L'UNITA' pubblica il suo articolo il 18 agosto 2007. Il 19 agosto, in prima pagina, nella fascetta rossa sotto la testata, ne riprende un passaggio:
«Un versetto memorabile
del Levitico recita: “Se trovi l’asino smarrito del tuo nemico, prendilo per la cavezza e riportaglielo”. E se avessero ragione i sostenitori del dialogo
a oltranza, anche con Hamas? Non per avallarne le opzioni terroriste ma al contrario per farne emergere le componenti politiche e sociali?».
In linea di massima, si può osservare, non è buona cosa che le linee politiche vengano dettate dai testi sacri. Sopratttutto perché questi ultimi possono essere interpretati in modi diversi, per cui, alla fine, a conquistarsi un'autorità indiscutibile sarebbe l'interprete.
Nella Bibbia, per altro ,vi sono nemici irriducibili del popolo d'Israele con i quali non viene consigliato affatto il dialogo. E chi vuole sterminare gli ebrei (Hamas lo ha scritto nello stauto) è piuttosto identificabile con questi ultimi che con il nemico al quale si deve riportare l'asino.
Ma la politica deve avere i suoi spazi: ad Hamas, Israele e la comunità internazionale hanno posto precise e ragionevoli condizioni per il dialogo. Se cambiasse, anche il gruppo islamista potrebbe essere un interlocutore. Non sarebbe certo il caso, in quella circostanza, di tirare in ballo la Bibbia per impedire questo sviluppo.
Non è nemmeno il caso di farlo ora, per spingere a una trattativa con Hamas, mentre questa continua ad indossare la maschera di Amalek, quella cioè, di chi vuole cancellare gli ebrei dalla faccia della terra.
Ecco il testo:
Il Levitico, uno dei libri del Pentateuco, contiene molti versetti memorabili, fra questi ve ne è uno che recita più o meno così: «Se trovi l’asino del tuo nemico smarrito, prendilo per la cavezza e riportaglielo». Strana indicazione quella del biblista. Perché mai dovrei darmi la pena di riportare al mio nemico il suo asino risolvendogli un problema, se i sentimenti che mi animano nei suoi confronti mi portano a distruggerlo o, nel migliore dei casi, a ridurlo all’impotenza? Che cosa dunque vuole indurci a considerare il biblista con questo suggerimento apparentemente contraddittorio? A mio vuole invitarci a non dimenticare mai che il nostro nemico, chiunque egli sia, non cessa di rimanere titolare della condizione universale di essere umano. L’altro memorabile precetto del Levitico, il 18,19 «Amerai il prossimo tuo come te stesso», acutamente non indica quali siano le caratteristiche, né i comportamenti, né i tratti caratteriali del prossimo che siamo tenuti ad amare. Il versetto sottace altresì l’etnia, la religione o il colore della pelle di quel prossimo che abbiamo di fronte. Ora, la Toràh non sceglie mai di specificare o di sottacere a caso. Lo fa per sollecitare la responsabilità dell’uomo a stabilire priorità, ad assumersi il peso di un’interpretazione. Ritengo che i due versetti del Levitico mirino ad affermare un umanesimo radicale che non accetta a nessun titolo, la disumanizzazione dell’essere umano. Di nessun essere umano. Per questa ragione e molteplici altre, noi siamo tenuti a considerare ogni essere umano come un partner. Quel partner può essere ideale o scabroso, disponibile od ostile ma deve rimanere un partner con il quale non possiamo rifiutarci di cercare il dialogo. Se quel partner è il nemico, dobbiamo in ogni modo sforzarci di cercare una chiave per dialogare con lui appena sia possibile per fare la pace che è l’unica condizione in cui i due precetti del Levitico si possono inverare.
E la pace si fa con il nemico!!!
Veniamo ora alla fattispecie concreta di questi giorni. Il nostro Presidente del Consiglio Romano Prodi, ha invitato a non escludere totalmente la possibilità di aprire il dialogo anche con Hamas in un’eventuale riapertura delle trattative fra israeliani e palestinesi per una pace definitiva e duratura sulla base del contesto “due popoli, due stati”. Questa opinione è stata espressa anche da Yossi Beilin, eponente politico della sinistra israeliana ed ex negoziatore degli accordi di Oslo in un’intervista al nostro giornale. In quell’intervista Beilin ricordava che sull’apertura di un possibile dialogo con Hamas, si è espresso anche l’ex capo del Mossad (il servizio segreto israeliano). Quest’opinione, che personalmente condivido, è solo un’opinione, può essere accettata o respinta, ma è una degnissima opinione che merita di essere vagliata con attenzione e pacatezza, non un’adesione incondizionata alle idee e alla prassi di quella formazione islamista. Cosa accade invece nel nostro Paese dove la vera discussione è stata bandita a favore dell’insulto, dell’aggressione e dello sproloquio? Accade che sussiegosi esponenti del nostro centro destra quali l’onorevole Casini, ma in particolare l’onorevole Ronchi di An, specialista in faccine indignate o disgustate, si presentano in televisione con espressione compunta e addolorata e quasi accusano l’on. Prodi e il ministro degli Esteri D’Alema di voler distruggere Israele. Questi addolorati professionali sono poi gli stessi che hanno trascinato l’Italia nell’ignobile avventura irachena avallando le criminose e spudorate menzogne di Bush. Costoro inoltre si credono i veri amici di Israele solo perché sono proni alla politica del governo Olmert in ogni suo aspetto. E se invece, alla fine, i veri amici di Israele si rivelassero i critici onesti e leali dell’occupazione e degli omicidi “mirati”, i sostenitori di quella pace di Ginevra firmata dalle opposizioni palestinese e israeliana e tanto insultata e sbeffeggiata dai teorici dell’uso delle armi?
E se avessero ragione i sostenitori del dialogo a oltranza, anche con Hamas, non per avallarne le opzioni terroriste, ma al contrario per farne emergere le componenti politico sociali che hanno guadagnato ad essa il consenso maggioritario dell’elettorato palestinese in una delle elezioni più democratiche che si ricordino in tutto il secondo dopoguerra?
Dopo tanto inutile - sì inutile! - spargimento di sangue prodotto dalla logica ipersicuritaria e dal terrorismo, non si potrebbe almeno riprendere in considerazione la via del dialogo con tutti, invece di indossare le faccine del dolore e dell’indignazione che sui volti consumati dall’ipocrisia di certi politici italiani e non, fanno la mostra di un nasino all’insù sulla faccia lignea di Pinocchio?
Un propagandista di Hamas, Ghazi Hamad, intervistato da Umberto De Giovannageli il 19 agosto, può diffondere le sue menzogne senza contraddittorio.
Per esempio può rispondere alla domanda sul riconoscimento di Israele "A Israele abbiamo proposto una tregua di lunga durata, 10-20 anni. La risposta sono i continui raid delle forze di occupazione che mietono vittime anche tra i civili." senza che u.d.g. gli ricordi i lanci di razzi kassam contro Sderot, mai cessati, né il fatto che una "tregua" non è una pace, ma l'intervallo fra due guerre.
Ecco il testo:
«HAMAS È ANDATA AL GOVERNO attraverso libere elezioni. Quando mai si è visto un movimento che vince le elezioni, governa e partorisce un golpe? Non abbiamo abbandonato la via politica. Siamo pronti da subito a riprendere il dialogo con al-Fatah. Non
abbiamo messo in discussione l’autorità del presidente Abbas (Abu Mazen, ndr). Ciò che è avvenuto a Gaza è stata la reazione a una situazione di impunità di cui godevano personaggi che usavano i servizi di sicurezza per rafforzare il proprio potere personale. Hamas non vuole trasformare Gaza in un califfato, il nostro obiettivo resta quello di creare uno Stato, un solo Stato di Palestina con Gerusalemme sua capitale, sui territori occupati nel ’67». A parlare è uno dei dirigenti più autorevoli dell’ala «pragmatica» di Hamas: Ghazi Hamad, portavoce del premier (dimissionato da Abu Mazen) Ismail Haniyeh. Per quanto riguarda l’Italia, Hamad riconosce al «primo ministro Prodi di aver esercitato la ragione prendendo atto che Hamas non è una meteora né un’affiliazione di Al Qaeda, ma parte fondamentale della società palestinese». «All’Italia -aggiunge- diciamo grazie, e lo facciamo non come una «banda di golpisti» ma come un movimento che ha ottenuto nelle elezioni più libere che il mondo arabo ha mai conosciuto, la maggioranza dei consensi». In questa intervista a l’Unità, il portavoce del governo Haniyeh affronta anche il tema della lotta armata. «Il nostro fine -dice- è la costruzione dello Stato di Palestina. Quando questo diritto sarà realizzato, le armi taceranno».
Da portavoce di un governo di unità nazionale a quello di un esecutivo «golpista». Come ci sente a vestire questi panni?
«Semplicemente non mi ci sento. A coloro che parlano di golpe, li invito a visitare Gaza. Che girino per le strade, che parlino con la gente: si renderanno conto che le cose stanno molto diversamente da quello che si vorrebbe far credere. Gaza oggi non è più in balia di taglieggiatori e bande armate, e non è più il regno della corruzione».
Il presidente Abu Mazen ribatterebbe che Gaza è oggi il regno di una unica banda armata: Hamas.
«Avevamo chiesto una gestione unitaria dei nuovi servizi di sicurezza. La risposta è stata che il governo non doveva mettere becco su questo tema. Chi è che ha abusato dei suoi poteri? Il presidente Abbas si è affidato a Gaza ad un uomo corrotto, al servizio di Israele e Usa, (Dahlan, ndr), un individuo che aveva trasformato i servizi di sicurezza in una mafia al suo servizio. Si pretendeva il nostro disarmo, mentre le milizie di Fatah potevano agire indisturbate. Ci siamo ribellati. Ma ora è giunto il momento di voltare pagina e di guardare al futuro».
Il che significa?
«Significa che siamo pronti a riprendere un dialogo con al-Fatah e il presidente Abbas».
In una intervista a l’Unità, il consigliere del presidente Abbas, Nemer Hammad, ha posto tra le condizioni per riprendere il dialogo, che Hamas riconosca lo Stato d’Israele. Qual è la sua risposta?
«A Israele abbiamo proposto una tregua di lunga durata, 10-20 anni. La risposta sono i continui raid delle forze di occupazione che mietono vittime anche tra i civile. A Nemer Hammad rispondo che il riconoscimento di Israele non può essere la premessa di un negoziato, semmai il suo sbocco. E a sostenere questo non è sola Hamas, ma la maggioranza dei Paesi arabi».
Hamas e l’Italia. Qual è il dato politico che più avete apprezzato nelle affermazioni del premier Prodi?
«Il primo ministro italiano ha dimostrato di essere un leader intellettualmente onesto, pragmatico, lungimirante, perché ha riconosciuto che Hamas è parte fondamentale della società palestinese. In questo, l’Italia non è sola. Dicono che siamo isolati. Non è vero. La maggioranza dei Paesi arabi e islamici ha rapporti con noi, la Russia ha più volte sostenuto che è un errore cercare di isolarci. Lo stesso la Cina. Finanche dall’interno di Israele si alzano voci autorevoli che chiedono esplicitamente il dialogo con Hamas. A tutti diciamo: siamo pronti, metteteci alla prova, ma senza imporci diktat inaccettabili».
E al presidente Abbas che con un decreto ha messo fuorilegge la polizia di Hamas a Gaza, quale messaggio intende lanciare?
«Al presidente Abbas diciamo che siamo pronti al confronto politico. Il primo ministro Haniyeh si è detto disponibile a rassegnare le sue dimissioni. Azzeriamo tutto: non c’è alternativa a un governo di riconciliazione nazionale».
Al-Fatah, e con esso Abu Mazen, accusa Hamas di aver commesso crimini efferati nel golpe di giugno.
«Fatah chiede chiarezza? Anche noi. Per questo siamo pronti a riconoscere una commissione d’inchiesta indipendente sotto l’egida della Lega Araba. Non abbiamo timore della verità».
E della Conferenza internazionale voluta dagli Usa, avete timore?
«Questa Conferenza è destinata al fallimento se intende escludere una parte rappresentativa del popolo palestinese. Senza Hamas non potrà mai esserci una pace che regga davvero in Palestina. Prodi l’ha compreso, ed è per questo che è stato attaccato».
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