Il Senato approva la politica estera di D'Alema, annuncia soddisfatto Umberto De Giovannangeli. "La politica estera. E non solo i suoi aspetti più legati alle missioni internazionali." , precisa, puntiglioso.
I toni della cronaca parlamentare sono epici: "Sorride soddisfatto, Massimo D’Alema: il successo ottenuto non è solo numerico", "Il vice premier affronta di petto tutte le questioni più calde"...
Nella relazione di D'Alema, in realtà, non sono mancate ambiguità. Non ha mai proposto negoziati diretti tra Hamas e la comunità internazionale, ha per esempio sostenuto, ma un riavvicinamento tra Hamas e Fatah promosso da Egitto e Arabia Saudita.
Ma il sostegno di fatto al gruppo islamista e terrorista ( e ora anche golpista), continua ad esserci.
D'altro canto, al nostro ministro degli Esteri non manca la capacità di pronunciare inaudite falsità come se fossero banali verità "Hezbollah non è un movimento terrorista", ha per esempio tranquillamente dichiarato.
E' invece evidente che a fargli difetto è ilsenso del ridicolo: "Non c'è dubbio - insiste - che l'Italia concorra alla difesa della sicurezza di Israele e al diritto alla sua esistenza. e questo non a parole, ma con la forza degli atti" ha dichiarato.
Ogni passaggio del discorso di D'Alema viene accolto da u.d.g. con totale approvazione e quasi con stupita ammirazione.
Ecco il testo dell'articolo:
LA «PIOGGIA» delle mozioni non sommerge il Governo. Il Senato approva la politica estera illustrata in Aula da Massimo D’Alema. La politica estera. E non solo i suoi aspetti più legati alle missioni internazionali. La mozione della maggioranza ottiene 159
voti a favore, 153 i contrari. Sorride soddisfatto, Massimo D’Alema: il successo ottenuto non è solo numerico. Perché le linee di politica estera da lui trattegggiate mettono d’accordo- un consenso convinto - le varie «anime» del centrosinistra. Un dato politico che lo strascico polemico finale, con la mozione «trabocchetto» presentata dal leghista Calderoli, non intacca. Dalla sfida europeista, alla moratoria universale della pena di morte; dal Libano alla Palestina, dall’Afghanistan al Kosovo. Il vice premier affronta di petto tutte le questioni più calde. Lo fa sull’Afghanistan, quando ribadisce che è «inaccettabile sul piano morale continuare a causare vittime civili nell’ambito di operazioni contro il terrorismo, necessarie ai fini della sicurezza ma che rischiano di compromettere l’immagine della presenza internazionale e del governo afghano». «Il nostro scopo non è permanere in Afghanistan a tempo indefinito, ma per quel tanto necessario ad aiutare quel Paese a camminare sulle sue gambe in un tempo più rapido possibile, anche se non sarà un tempo breve». E sempre sull’Afghanistan D’Alema rilancia sul piano politico: «La Conferenza di pace - dice - rimane un nostro obiettivo strategico».
Lo fa sul LIbano: « «Analizzato un anno dopo, e considerate le ricostruzioni della crisi del 2006, lo spiegamento internazionale» in Libano con la missione Unifil 2 è stato una «decisione utile e giusta», dice il ministro, «tuttavia, sarebbe perfettamente inutile nascondersi che la situazione sul terreno resta quanto mai complessa e a forte rischio». Come a rischio è il rilancio del processo di pace in Medio Oriente. «Non ho mai proposto che la comunità internazionale apra negoziati diretti con Hamas, ma la necessità di evitare l’isolamento di Gaza e la necessità di evitare di spingere Hamas tra le braccia di Al Qaeda», rimarca D’Alema. È un passaggio cruciale, su cui il capo della diplomazia italiana insiste con forza: «Bisogna evitare - spiega D’Alema - la frattura infra-palestinese, che alla lunga non favorisce la pace, né garantisce la sicurezza di Israele». «Era questo lo spirito di un passaggio della lettera aperta dei dieci ministri degli Esteri dell’Ue», che sosteneva come «non bisogna spingere Hamas verso l’escalation estremistica, bensì incoraggiare l’Arabia Saudita e l’Egitto a ristabilire il dialogo tra Fatah e Hamas». «Come vedete - rimarca il vice premier - questa lettera non propone, né io ho mai proposto, che la comunità internazionale apra negoziati diretti con Hamas. Ciò che si sottolinea è la necessità di evitare l’isolamento di Gaza, la necessità di evitare il rafforzamento del radicalismo di Hamas spingendola tra le braccia di Al Qaeda e la necessità di incoraggiare la ripresa di un processo palestinese di riconciliazione nazionale». «Queste - insiste D’Alema - sono le posizioni sostenute dai Paesi dell’area mediterranea e dal Parlamento europeo, a cui si ispira anche la politica del governo italiano». In questa chiave, «è decisivo evitare una crisi umanitaria a Gaza. Chiunque comandi, la comunità internazionale non può consentire un collasso umanitario», avverte il ministro, anche perché «l’esasperazione della gente rischia di raggiungere livelli incontrollabili». Una linea di azione - quella italiana - che punta ad un «forte sostegno» al presidente Abu Mazen: «Sostenere Abu Mazen - osserva - significa intensificare ed accelerare gli aiuti ed anche incoraggiare le riforme fondamentali per quanto riguarda lo stato di diritto e la lotta alla corruzione». «Questi - aggiunge - sono parametri fondamentali per rafforzare l’immagine e la leadership palestinese presso gli stessi palestinesi e, quindi, per allargarne le basi di consenso». D’Alema a questo punto smette di leggere i suoi appunti e parla a braccio, tra politica e testimonianza personale. Dopo aver detto che «si poteva sostenere Abu Mazen con maggiore generosità quando lui era al governo e Hamas non aveva ancora vinto le elezioni», il capo della diplomazia italiana ricorda le polemiche con le quali «si è messo in dubbio il sostegno dell’Italia al presidente palestinese». «Si tratta - osserva - di una polemica che penso che farà sorridere i palestinesi nel senso che tutti sanno quanto sia forte il legame non solo politico ma anche personale con Abu Mazen», uno degli esponenti palestinesi che «senza dubbio ha dato il contributo più coraggioso alla prospettiva della pace». Il Libano. («Hezbollah non è un movimento terrorista, è un movimento presente nel Parlamento libanese e che fino a qualche tempo fa faceva parte del governo», rileva D’Alema). Israele: «Se non ci fossero i nostri soldati al confine libanese la sicurezza di Israele sarebbe infinitamente minore. E con le nostre azioni abbiamo fatto molto di più di cento discorsi retorici», rimarca D’Alema nel corso della sua replica al Senato, a proposito delle critiche sollevate durante il dibattito rispetto alla politica del governo nei confronti di Israele. «Non c'è dubbio - insiste - che l'Italia concorra alla difesa della sicurezza di Israele e al diritto alla sua esistenza. e questo non a parole, ma con la forza degli atti». non a caso, ricorda, «il governo israeliano ci ha espresso gratitudine per aver dislocato le nostre truppe». È l’Italia che sa assumersi sul campo le sue responsabilità, anche militari, quella che prende corpo dall’esposizione di D’Alema. Un Paese che non ha messo in discussione le alleanze tradizionali, che ha rispettato gli impegni senza rinunciare alla propria autonomia di valutazione. E che ha il coraggio di sostenere, da alleato,degli Usa, che «l'idea di fermare il terrorismo con la guerra si è rivelata controproducente» tanto da accrescerne la pericolosità, aprendo fratture nel mondo occidentale». È necessaria «una coalizione internazionale» e non un approccio unilaterale, sottolinea il ministro. Il capo della diplomazia italiana sottolinea a più riprese la scelta multilaterale della politica estera insieme alla «valorizzazione» costante del «coordinamento» con l'Europa e alla affermazione netta che «l'idea di fermare il terrorismo con la guerra si è rivelata controproducente». Quello che emerge dalle considerazioni di D’Alema, e dal bilancio di un anno di politica estera, è un Paese che sa assumersi le proprie responsabilità. Con l’azione a politica. E con i suoi soldati. «I nostri militari impegnati all’estero sono tra quelli più apprezzati in questo tipo di lavoro», sottolinea il titolare della Farnesina, perché «sanno combinare efficienza e grande capacità politiche». «Creare la pace - aggiunge - è anche compito di chi sa disarmare gli animi e preparare le persone alla cultura della pace».
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