Hamas e Hezbollah, i "nemici" di Al Qaeda
la disinformazione di chi vuole sacrificare Israele alla nuova Monaco con il terrorismo islamico
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Data: 11/07/2007
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Autore: Umberto De Giovannangeli - Filippo Landi
Titolo: Libano un anno dopo, il Paese trincea di Al Qaeda - Intervista ad Ismail Haniyeh

Hezbollah si indebolisce e Al Qaeda s'insedia in Libano. Trai due  fatti (supposti, specialmente il primo)  secondo Umberto De Giovannangeli, c'è una relazione causale.
Ecco delineata, dunque, una strategia "antiterrorista":appoggiare il terrorismo contro Israele.
Dimenticando i fili rossi che legano sia Hezbollah sia i gruppi qaedisti libanesi alla Siria e attraverso di essa all'Iran.
Hezbollah e Al Qaeda, al di là delle differenze di tattica e degli odi settari interni all'islam, stanno sullo stesso fronte.
E così, inevitabilmente, dall'altra parte, Israele e l'Occidente. Che lo si voglia ammettere o meno.

Ecco l'articolo, dall'UNITA' dell'11 luglio, a pagina 11: 


UN ANNO dopo, l’incubo si chiama Al Qaeda. Un anno dopo la guerra di Hezbollah contro Israele e l’inizio di quella crisi politica che paralizza ormai da mesi il
Paese, il Libano rischia di trasformarsi ogni giorno di più in un nuovo rifugio per i militanti islamici. Un rifugio che attrae, secondo i rapporti dell’intelligence occidentali, combattenti reduci della guerra in Iraq provenienti da Arabia Saudita, Siria, Yemen e Algeria. Il Paese dei Cedri come nuova «trincea» jihadista: a rilanciare l’allarme è il «New York Times» che analizza le conseguenze della lunga crisi politica e istituzionale a Beirut, sottolineando come l’unico elemento unificante in un Paese spaccato sia diventata la consapevolezza che entrambe le leadership, quella della maggioranza antisiriana e dell’opposizione a guida sciita, hanno fallito nel cercare di ottenere il consenso della popolazione, paralizzando la società e l’economia, oltre che la politica. «Se sei in una fossa, almeno smetti di scavare - è il modo di dire citato da Ali Hamdan, consigliere di politica estera del presidente del Parlamento Nabih Berri, esponente di Amal e alleato di Hezbollah- . Sfortunatamente il libanesi continuano a scavare».
È in questa situazione di caos che i miliziani jihadisti hanno trovato terreno fertile: in modo direttamente proporzionale alla perdita di peso degli sciiti del «Partito di Dio» - che, dopo aver inferto un duro colpo militare a Israele l’estate scorsa, non sono riusciti nell’intento di mandare a casa il governo di Fuad Siniora - hanno preso potere i sunniti di Fatah al Islam, legati ad Al Qaeda. La minaccia qaidista si proietta sinistramente soprattutto nel Sud Libano dove sono schierati i caschi blu di Unifil. Il difficile compito dell’equilibrio: sembra lo slogan più appropriato per definire il ruolo che i 13mila caschi blu dell’Unifil, la Forza Interinale Onu in Libano - moltiplicata quasi sette volte rispetto ai 2mila schierati nell’area fin dal 1978 - stanno esercitando dall’agosto del 2006. Un anno fa, di corsa i primi di loro vennero a schierarsi lungo l’incerta traccia della Linea Blu, l’irregolare confine virtuale tra Libano sud e Israele, in un clima molto teso che la risoluzione Onu 1701 tentava di mitigare, facendo tacere i cannoni - ma nessuno sapeva per quanto tempo - dopo 34 giorni di combattimenti intensi tra i guerriglieri di Hezbollah e l’esercito di Israele. Con i soldati italiani in testa, (2450, il contingente più consistente dell’Unifil), schierato nel settore ovest con francesi, ghanesi, qatarioti e sloveni, le forze di pace internazionali assolvono all’incarico di monitorare il territorio.
Nella zona est l’Unifil schiera spagnoli, insieme con nepalesi, indiani e indonesiani. «Nel nostro settore ogni giorno operano, a rotazione, 159 pattuglie - spiega il capitano Matteo Tuzi, del servizio stampa del contingente italiano - con un totale di 31.736 pattuglie finora». Ma insieme a questi servizi, e ai check point, in azione nei villaggi, sui tornanti di strade montane o collinari, o lungo le rive del Litani, vanno aggiunti lo sminamento della campagne - sono state distrutte circa 3mila cluster bomb - e l’azione per far imparare ai bambini che quelle sono armi devastanti e non giocattoli colorati, come sembrano. La risoluzione 1701 ha consentito all’Unifil di agire finora con successo perché - rileva il responsabile stampa del comando in capo della forza Onu, maggiore Diego Fulco - ha obiettivi raggiungibili, concreti. Il documento ordina di: monitorare la cessazione delle ostilità; aiutare e sostenere l’esercito libanese nel controllo del territorio, d’accordo con il governo; contribuire a garantire gli aiuti umanitari alle popolazioni ed il ritorno a casa degli sfollati. Più controverso l’ultimo, ma il più delicato, degli obiettivi: assistere le forze armate libanesi nel liberare il sud del Libano da armi non autorizzati. Come quelle usate nell’attacco mortale del 24 giugno. Usate da una cellula jihadista: una terza forza, annota con preoccupazione il comandante in capo dell’Unifil, il generale Claudio Graziano, che ha interesse a colpire i caschi blu e l’esercito libanese. Il leader del gruppo al quale è stata attribuita la responsabilità dell’attentato contro il contingente spagnolo dell’Unifil, costato la vita a sei caschi blu, è Shakir al-Abssi, compagno d’armi di al Zarqawi, condannato a morte in Giordania per l’assassinio di un diplomatico Usa nel novembre del 2002. È lui che con il suo gruppo da un mese e mezzo tiene sotto scacco l’esercito libanese, che attacca dalle postazioni del campo profughi palestinese di Nahr el Bared. Ed è lì che, secondo il generale Achrad Rifi, capo della sicurezza interna libanese, si nasconderebbero ancora 50-60 miliziani stranieri addestrati in Iraq, dove hanno combattuto a fianco degli insorti. «Una delle ragioni per cui abbiamo attaccato Abssi - spiega Rifi, sottolineando i rischi che il Paese dei Cedri si trasformi in un nuovo santuario per i jihadisti - è di far avere il messaggio a queste persone di non venire in Libano dopo la loro missione in Iraq». A conferma di quanto la situazione sia esplosiva, una fonte dell’esercito libanese lancia l’allarme: «Non ci sono cellule (qaidiste) dormienti in Libano, si stanno svegliando tutte».
Un risveglio reso ancor più inquietante dal caos politico che regna nel Paese. Quella in Libano, «è una missione difficile per tutti e non esente da rischi, potrà tanto più consolidarsi quanto più si svilupperà la necessaria azione politica per la stabilizzazione nella regione e per aprire una prospettiva di pace in Medio Oriente»: le considerazioni del capo dello Stato italiano Giorgio Napolitano sintetizzano con efficacia il bivio a cui è il Libano, un anno dopo l’inizio della «guerra dei 34 giorni»: da quale strada sarà imboccata, dipenderà il futuro - pace o guerra - dell’intero Medio Oriente.

Analoga disinformazione sul TG 3, che  trasmette l'intervista a Ismail Haniyeh, esponente  di Hamas. Il quale smentisce ogni legame con Al Qaeda
Su youtube un video raccoglie parte dell'intervista e un altro video che lo smentisce

http://it.youtube.com/watch?v=j2-Dq5E1kn8

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