Dal CORRIERE della SERA del 5 luglio 2007:
Perché mai è un musulmano a promuovere una manifestazione che ha come parola d'ordine «Salviamo i cristiani »? Perché mai in tanti qui in Italia, nella culla del cattolicesimo e in una terra di libertà, si sono sentiti come affrancati dalle catene interiori che impedivano loro di scandire ad alta voce in una piazza pubblica l'orgoglio di essere cristiani?
È con questi interrogativi che verso le 22 di ieri ho preso la parola di fronte a migliaia di persone, formalmente desiderose di salvare gli altri, i cristiani perseguitati nel mondo, di fatto per riscattare se stessi, i propri valori e la propria identità, violati e traditi dal dilagare del relativismo culturale e religioso.
Il senso dell'impegno comune l'ho così riassunto: «Siamo qui riuniti in questa straordinaria manifestazione quali persone di buona volontà che, al di là della propria religione e nazionalità, si sentono unite dall'imperativo di affermare e difendere il diritto alla libertà religiosa di tutti e ovunque nel mondo. E proprio perché siamo persone di buona volontà genuinamente credenti e impegnate a favore della verità, del bene e del legittimo interesse proprio e altrui, noi eleviamo coralmente la nostra voce per denunciare la discriminazione, la violenza, la persecuzione e l'esodo forzato dei cristiani in Medio Oriente». Ed è a questo punto che mi sono trovato quasi costretto a giustificare una scelta criticata, anche in ambito cattolico e cristiano, da coloro che sostengono che sarebbe sbagliato limitarsi a denunciare la persecuzione dei cristiani, trascurando tutte le altre minoranze oppresse o estendendo la casistica anche a tutte le violazioni dei diritti fondamentali dell'uomo. «Tutto ciò va bene — ho voluto puntualizzare — ma a condizione che la relativizzazione del male comune non ci porti a negare la specificità della persecuzione dei cristiani e non ci induca a restare inerti». Che cosa significa? Significa, a mio avviso, «che è giunta l'ora della chiarezza della realtà, del coraggio della verità, della scelta del bene e della determinazione a realizzare l'interesse comune tra tutti coloro che condividono una civiltà umana dove non venga messa in alcun modo in discussione la libertà religiosa. Oggi dobbiamo riappropriarci della verità che si radica nella realtà che riesca, ad esempio, a infrangere la cappa di mistificazione della realtà che ci ha voluto far credere che la liberazione di Rahmatullah Hanefi, un cittadino afghano amico dei Taliban, fosse una priorità nazionale mentre gravano un vergognoso, ignobile e inaccettabile silenzio ed indifferenza sulla sorte di padre Giancarlo Bossi, un sacerdote italiano cattolico che ha offerto la sua vita per testimoniare tramite la bontà dei suoi atti la sua fede religiosa». Ho aggiunto al riguardo che «padre Bossi oggi è diventato il parametro della nostra eticità. Voi avete riscattato questa eticità partecipando in massa a questa manifestazione per affermare in modo forte e determinato che la vita di padre Bossi non vale meno di quella degli altri ostaggi italiani, voi avete testimoniato il rifiuto assoluto della relativizzazione del bene supremo della vita, chiarendo che la vita di tutti è per noi ugualmente importante».
Il concetto fondamentale che ho voluto trasmettere è stato che «va benissimo preoccuparci per le sorti dei tanti Paesi dove la libertà religiosa è violata e dove i diritti umani sono negati. Ma cominciamo a occuparci della libertà religiosa a casa nostra. Se vogliamo essere credibili quando rivendichiamo la libertà religiosa per i cristiani in Turchia o in Cina, dobbiamo avere la certezza che questo diritto venga rispettato in Italia, in Europa e in Occidente. Ebbene non è così dal momento che molti musulmani in Europa non possono avvicinarsi alle moschee che sono state trasformate nel quartier generale degli estremisti islamici, pena la loro uccisione. Non è così dal momento che i musulmani non praticanti, o ancor di più coloro che liberamente si convertono ad un'altra fede, rischiano la vita».
La conclusione non poteva che essere un appello all'auto-emancipazione: «Affranchiamoci dai nostri pregiudizi, liberiamoci dalle ideologie malsane, vinciamo la nostra paura che ci fanno immaginare che pur di aver salva la pelle, pur di poter sopravvivere non importa come, pur di scamparla dai taglia-gola, ci si debba sottomettere ai taglia- lingua, accettando lo stato giuridico di dhimmi e lo stato umano di zombie, individui privati della loro dignità e della loro libertà. Ecco perché la battaglia per la libertà dei cristiani in Medio Oriente e per la libertà religiosa ovunque nel mondo coincide con la battaglia per riconquistare la nostra dignità e la nostra libertà che sono venute meno con il dilagare del relativismo cognitivo, valoriale, culturale, religioso e politico». E nel finale un appello che è anche un impegno forte: «Di fronte alla persecuzione sistematica e all'esodo di massa indotto o imposto dei cristiani dal Medio Oriente, noi non possiamo non dire "Siamo tutti cristiani"».
Dal FOGLIO, il discorso di Allam
Cari amici nella condivisione dei valori universali del diritto alla vita, della dignità e libertà della persona, Cari fratelli nella fede nell’unico Dio che ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, che ci ha donato la vita e radicato la certezza della sacralità della vita, che ci ha insegnato ad attenerci alla verità e a sconfessare la menzogna, che ci ha ammonito a perseguire il bene e a rifuggire dal male, che ci ha responsabilizzato con il libero arbitrio per poter essere protagonisti della nostra azione volta a realizzare il legittimo interesse proprio e a contribuire a quello altrui. Siamo riuniti quali persone di buona volontà che, al di là della propria religione e nazionalità, si sentono uniti dall’imperativo di affermare e difendere il diritto alla libertà religiosa di tutti e ovunque nel mondo. E proprio perché siamo persone di buona volontà genuinamente credenti e impegnati a favore della verità, del bene e del legittimo interesse proprio e altrui, noi eleviamo coralmente la nostra voce per denunciare la discriminazione, la violenza, la persecuzione e l’esodo forzato dei cristiani in medio oriente. Siamo qui per dire “Basta!” ai profanatori della libertà religiosa e ai dissacratori di un Dio trasformato in un’ideologia dell’odio, della violenza e della morte. Siamo qui per sostenere il diritto alla libertà religiosa ovunque nel mondo, sulla base del principio del rispetto della fede altrui e della reciprocità del riconoscimento di tale diritto. Rispetto e reciprocità più volte invocati da Benedetto XVI nel dialogo con le altre fedi, che dovrebbe essere il fondamento delle relazioni bilaterali e comunitarie della nostra Europa con il resto del mondo, così come si dovrebbe esigerne l’applicazione all’interno stesso dell’Europa. Invece quest’Europa ammalata di relativismo e accecata dall’ideologismo del multiculturalismo, che rinnega i propri valori e tradisce la propria identità che affondano le proprie radici nella fede e nella cultura giudaico-cristiana, è un’Europa lassista nei confronti della violazione della libertà religiosa sia al di fuori dei propri confini sia all’interno del proprio territorio. L’Europa nel momento in cui viola i propri valori e rinnega la propria identità, cessa di essere un modello credibile di civiltà non solo per gli altri ma soprattutto per se stessa. Il coraggio della verità Hanno anche ragione coloro che dicono che non bisogna limitarsi a denunciare la persecuzione dei cristiani e ci invitano a ricordare anche la persecuzione delle confessioni o delle sette minoritarie in seno ai paesi musulmani, quali gli ebrei, quei pochissimi che sono rimasti, gli sciiti nei paesi a maggioranza sunnita o i sunniti nei paesi a maggioranza sciita, o i sufi, o i drusi, o gli alauiti, o gli ahmadi, o i bahai, o gli zoroastriani, o più semplicemente la persecuzione dei musulmani laici e liberali. E sono tutti casi che attestano come l’intolleranza che si produce nei confronti dei cristiani e nei confronti degli ebrei, ha la sua radice nell’intolleranza che sussiste sin dai suoi primordi all’interno stesso dell’islam. Tutto ciò va bene ma a condizione che la relativizzazione del male comune non ci porti a negare la specificità della persecuzione dei cristiani e non ci induca a restare inerti. Hanno anche ragione coloro che dicono che senza la pace non ci potrà essere sicurezza e quindi non potrà essere garantita la libertà religiosa. Ma se la speranza della pace viene interamente e passivamente riposta nelle mani degli stessi dittatori e sponsor del terrorismo che si fanno beffe della libertà religiosa, che sono arrivati al potere strumentalizzando la democrazia formale per poi imporre un’ideologia dell’odio, della violenza e della morte, se ci rassegniamo a invocare in modo acritico una conferenza di pace che finirebbe per legittimare i nemici della pace, della vita e della libertà, beh allora noi rischiamo di renderci collusi o complici dei nostri stessi carnefici. Dobbiamo smetterla – come disse Churchill – di continuare a nutrire il coccodrillo con la speranza di essere mangiati per ultimi. Dobbiamo smetterla di andare a braccetto con chi predica e pratica il terrorismo in Libano, Territori palestinesi, Afghanistan, Iraq; dobbiamo smetterla di anteporre il denaro ai valori pur di realizzare profitto materiale anche se si accredita e consolida il potere dei nuovi fascisti e nazisti islamici; dobbiamo smetterla di legittimare gli estremisti islamici che in cambio dell’assicurazione che non ci metteranno le bombe a casa nostra hanno già trasformato la nostra casa in una roccaforte dell’estremismo islamico e in una fabbrica di kamikaze islamici con cittadinanza europea. E’ giunta l’ora della chiarezza della realtà, del coraggio della verità, della scelta del bene e della determinazione a realizzare l’interesse comune tra tutti coloro che condividono una civiltà umana dove non venga messa in alcun modo in discussione la libertà religiosa. Oggi dobbiamo riappropriarci della verità che si radica nella realtà che riesca, ad esempio, a infrangere la cappa di mistificazione che ci ha voluto far credere che la liberazione di Rahmatullah Hanefi, un cittadino afghano amico dei talebani, fosse una priorità nazionale. pagina) Mentre gravano un vergognoso, ignobile e inaccettabile silenzio e indifferenza sulla sorte di padre Giancarlo Bossi, un sacerdote italiano cattolico che ha offerto la sua vita per testimoniare tramite la bontà dei suoi atti la sua fede religiosa. Dove sono le manifestazioni di piazza, dove sono le gigantografie degli ostaggi italiani che pendono dai municipi, dove sono gli appelli all’Onu, all’Unione europea, alla Lega araba e alla Conferenza per l’organizzazione islamica per richiedere il rilascio delle due Simone, della Sgrena e di Mastrogiacomo? Ebbene, padre Bossi oggi è diventato il parametro della nostra eticità. Voi avete riscattato questa eticità partecipando a questa manifestazione per affermare in modo forte e determinato che la vita di padre Bossi non vale meno di quella degli altri ostaggi italiani, voi avete testimoniato il rifiuto assoluto della relativizzazione del bene supremo della vita, chiarendo che la vita di tutti è per noi ugualmente importante. […] Va benissimo preoccuparci per le sorti dei tanti paesi dove la libertà religiosa è violata e dove i diritti umani sono negati. Ma cominciamo a occuparci della libertà religiosa a casa nostra. Se vogliamo essere credibili quando rivendichiamo la libertà religiosa per i cristiani in Turchia o in Cina, dobbiamo avere la certezza che questo diritto venga rispettato in Italia, in Europa e in occidente. Ebbene non è così dal momento che molti musulmani in Europa non possono avvicinarsi alle moschee che sono state trasformate nel quartier generale degli estremisti islamici, pena la loro uccisione. Non è così che dal momento che i musulmani non praticanti o ancor di più coloro che liberamente si convertono a un’altra fede, rischiano la vita. Non è così dal momento che i non musulmani che osano criticare l’islam tramite un film di denuncia della condizione della donna, come nel caso di Theo van Gogh, o delle vignette che denunciano la radice ideologica del terrorismo islamico, come nel caso del quotidiano danese Jyllands- Posten, vengono sgozzati o condannati a morte. Non è così se perfino Benedetto XVI, per aver affermato la verità storica della diffusione dell’islam tramite la spada nel VII secolo e invocato il connubio tra fede e ragione nella sua lectio magistralis di Ratisbona il 12 settembre 2006, si è ritrovato contro l’insieme dei musulmani, dai cosiddetti moderati ai terroristi. Non è così se il Papa ha finito per ritrovarsi pressoché isolato all’interno stesso dell’occidente cristiano, condannato dai laicisti che sono in prima linea nel condannare la chiesa ma sono al tempo stesso in prima linea nel sostenere gli integralisti e gli estremisti islamici, e fatto ancor più grave il Papa si è trovato a essere criticato da taluni esponenti anche di primo piano della sua stessa chiesa che hanno invocato ragioni di opportunità che a loro avviso avrebbero dovuto consigliargli di non esprimere liberamente il suo pensiero, anche se esso coincide con la realtà storica e con la verità oggettiva. I kamikaze non sono una reazione Non ci si è resi conto che immaginando che il boicottaggio e le condanne del Papa fossero una reazione al suo intervento di Ratisbona, si è finito per giustificare e legittimare un’ideologia dell’intolleranza, del pensiero unico, della tirannia, della violenza e del terrore. Dobbiamo affrancarci dal luogo comune secondo cui il terrorismo che nega il diritto alla vita e alla libertà è un fenomeno reattivo, si tratta invece di una strategia di guerra aggressiva. Domandiamoci perché mai i terroristi islamici in Iraq oggi costringano i cristiani a fuggire, a convertirsi all’islam, stuprano e sottomettano le donne cristiane, attacchino le chiese e uccidano i sacerdoti, dal momento che Giovanni Paolo II condannò la guerra di Bush e che anche i cristiani iracheni si schierarono contro l’intervento armato. Domandiamoci come mai i cristiani nei Territori palestinesi affidati all’amministrazione dell’Anp di Yasser Arafat a partire dal 1994 siano fuggiti in massa e come mai ai cristiani a Gaza sia stato ingiunto di comportarsi da dhimmi, cittadini di serie B sottomessi alla legge islamica, nonostante l’Europa cristiana sia stata prevalentemente schierata dalla parte dei palestinesi ed è grazie ai generosi aiuti finanziari ed economici europei che i palestinesi riescono a sopravvivere. Affranchiamoci dai nostri pregiudizi, liberiamoci dalle ideologie malsane, vinciamo la nostra paura che ci fanno immaginare che pur di aver salva la pelle, pur di poter sopravvivere non importa come, pur di scamparla dai tagliagola, ci si debba sottomettere ai taglialingua, accettando la stato giuridico di dhimmi e lo stato umano di zombie, individui privati della loro dignità e della loro libertà. Ecco perché la battaglia per la libertà dei cristiani in medio oriente e per la libertà religiosa ovunque nel mondo coincide con la battaglia per riconquistare la nostra dignità e la nostra libertà che sono venute meno con il dilagare del relativismo cognitivo, valoriale, culturale, religioso e politico. Come di fronte all’orrore dell’Olocausto, o all’esodo di un milione di ebrei sefarditi dai paesi arabi, noi non possiamo non dire: “Siamo tutti ebrei”; come di fronte alla follia omicida del regime nazi-islamico iraniano che persegue l’obiettivo di dotarsi dell’atomica e reitera la volontà di distruggere Israele, noi non possiamo non dire: “Siamo tutti israeliani”; come di fronte alle barbarie del terrorismo islamico che ha massacrato 200 mila algerini, che continua a mietere decine di migliaia di vittime innocenti in Iraq, Egitto, Arabia Saudita, Marocco, Indonesia, Turchia, Afghanistan, Pakistan, che ha colpito nel cuore degli Stati Uniti, della Spagna e della Gran Bretagna, noi non possiamo non dire: “Siamo tutti algerini, iracheni, egiziani, sauditi, marocchini, indonesiani, turchi, afgani, pachistani, americani, spagnoli e britannici”; allo stesso modo ora di fronte alla persecuzione sistematica e all’esodo di massa indotto o imposto dei cristiani dal medio oriente, noi non possiamo non dire: “Siamo tutti cristiani”.
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