L'Iran ci salverà in Afghanistan ?
illusioni della conferenza di Roma
Testata:
Data: 04/07/2007
Pagina: 2
Autore: la redazione
Titolo: Roma, Islamabad e il jihad
Coinvolgere, dialogare, trattare. Anche gli Stati canaglia. Per garantire la stabilità dell'Afghanistan apriamo all'iran che lo destabilizza (o potrebbe farlo). E' la strategia proposta in un editoriale del RIFORMISTA del 4 luglio 2007 ( e presentata come strategia del governo italiano).
Nessuno si chiede quale prezzo si dovrà pagare a Teheran ? E se si otterrà davvero collaborazione dal regime degli ayatollah? Quando per esso l'aperta sfida si sarà rivelata così vantaggiosa ?

Ecco l'articolo:

La due giorni romana sullo stato di diritto in Afghanistan voluta dalla Farnesina è stato un innegabile successo. Un coro unanime di elogi per l'operato e l'impegno non solamente pratico, ma soprattutto politico è stato rivolto al governo italiano che è riuscito a sintetizzare e dare uno sguardo ampio e d'insieme ai tanti nodi cruciali alle volte soltanto apparentemente slegati dalla riforma della giustizia. Come le vittime dei bombardamenti Nato tra i civili, tanto per dirne una. Insomma, l'obiettivo della conferenza è stato spingere in direzione del passaggio dal diritto della forza alla forza del diritto, per dirla con le parole del padrone di casa Massimo D'Alema. La condivisione degli obiettivi, ribadita in primis dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, appare però condizione necessaria ma non sufficiente per raggiungerli, come dimostra l'ultima minaccia video trasmessa da Al Jazeera e in cui i talebani afghani minacciano attentati con armi non convenzionali contro grandi edifici occidentali. Immagini che testimoniano il divario esistente tra l'Afghanistan reale e quello che vorrebbe il presidente Hamid Karzai con il supporto della comunità internazionale. L'Italia ha già fatto la sua parte, con un impegno straordinario di 10 milioni di euro per la ricostruzione del sistema giudiziario.
Ma per quanto necessario, tutto ciò non è sufficiente, si diceva. Di sicuro, servirà coinvolgere paesi come Iran, India, Russia e Cina, che «possono giocare nell'assistere e facilitare i nostri sforzi», ha detto il premier italiano Romano Prodi, rilanciando i rapporti tra Afghanistan e Pakistan nella speranza che «trovino maggiori occasioni di intesa e collaborazione rispetto al passato». Ma tra il dire e il fare c'è di mezzo, prima di tutto, la realtà. Che in Pakistan ieri parlava la lingua dei morti negli scontri a fuoco fra studenti filotalebani e polizia, alla Moschea Rossa di Islamabad. Sullo sfondo le voci degli imam, diffuse dagli altoparlanti, che chiamavano al jihad e incitavano al martirio. È questo il primo nemico da sconfiggere, dunque: l'ideologia, strumentale o in buona (quanto ottusa) fede che sia. Finora ci si è provato con le armi, e quel nemico sembra esserne stato addirittura rafforzato. Ora ci si prova con la forza della civiltà che può anche non essere necessariamente aggettivata come “occidentale”, ma che potrebbe dare finalmente un senso alle bombe e ai morti civili.


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