La Lega araba e il suo segretario Amr Moussa vengono presentati dall'articolo che segue, ripreso dal RIFORMISTA del 29 giugno 2007, come moderati e in cerca di pace con Israele.
In realtà, Amr Moussa ha improntato gran parte della sua direzione della Lega all'odio e all'intransigenza nei confronti di Israele.
Ecco il testo:
Il segretario generale della Lega Araba, l’egiziano Amr Moussa, ha concluso uno dei tour diplomatici più delicati del suo mandato. Con la striscia di Gaza in fiamme, una guerra civile tra fazioni palestinesi, il Libano sull’orlo di un nuovo baratro, l’Iraq sempre più fuori controllo, l’organizzazione pan-araba sta tentando una mediazione non semplice. Quella di Moussa era annunciata e si è rivelata una missione impossibile. La sua organizzazione è attraversata da divisione e differenza marcate tra i governi.Storicamente, la Lega è riuscita a compattarsi soltanto di fronte al nemico comune: la nascita di Israele ha fatto dimenticare le “trame di palazzo” e le tensioni tipiche della Guerra Fredda. Passando dalla crisi di Suez fino alla Guerra dei Sei Giorni, i toni si sono progressivamente inaspriti, fino alla celebre risoluzione con la quale si paragonava il Sionismo al Nazismo. Oggi ovviamente le cose sono cambiate. Nella lacerante transizione che vive l’islam, un’organizzazione come la Lega Araba, che rappresenta 22 Stati e 320 milioni di musulmani, stenta a trovare la propria identità. I tempi della sua azione sono troppo lunghi rispetto alle emergenze del Medio Oriente. Alcuni dei suoi membri più rappresentativi sono usciti dalla “sindrome di Camp David” e hanno riconosciuto il diritto all’esistenza dello stato di Israele.Tra questi paesi c’è innanzitutto l’Egitto, che per questo motivo ha visto cadere anche un suo presidente sotto i colpi dell’intransigenza fondamentalista. E non è un caso che proprio l’Egitto esprima oggi il segretario generale della Lega e che egiziana sia l’unica proposta di riforma dell’organismo, datata ormai 2002, rimasta però lettera morta. Una riforma troppo audace: creare uno spazio di integrazione economica in Medio Oriente, allargato anche a paesi islamici non arabi (Turchia e Iran) e con regole di funzionamento interno più efficaci.A cominciare dal voto a maggioranza qualificata, per superare la bloccante unanimità che consente, per esempio, al governo di Gibuti di stoppare le risoluzioni del Consiglio. In realtà, pur tra mille difficoltà e limiti strutturali, molti attori contano sul potenziale ruolo della Lega Araba e sull’appeal diplomatico di Amr Moussa. Ci contano gli Stati Uniti, che assieme a Israele tentano di favorire l’evoluzione della Lega da organizzazione del panarabismo a forum del “mediorientalismo”, promuovendo un’integrazione regionale - innanzitutto economica e commerciale - che includerebbe anche lo Stato ebraico. Ci contano l’Egitto e la Giordania, campioni di un islam moderato, le cui élites hanno capito che senza una risoluzione del conflitto israelo-palestinese e una maggiore vigilanza contro il radicalismo islamico il loro futuro è a rischio. Ci conta, infine, anche la teocrazia wahabita saudita,che ha ospitato l’ultimo vertice dei leader della Lega a marzo. In quella circostanza l’Arabia Saudita ha rilanciato il piano di pace conosciuto come Arab Peace Initiative,già promosso nel 2002 e che afferma il concetto di «due popoli, due Stati», a patto che Israele si ritiri entro i confini pre-1967 e che faccia la sua parte rispetto al rientro dei profughi palestinesi. Accanto alla questione israelo-palestinese, sono due i nodi principali da sciogliere per la comunità araba. Il primo è evidentemente il futuro dell’Iraq, sul quale la Lega non ha una posizione unitaria. La lotta interna tra sunniti e sciiti determina il timore che a prevalere sia una delle due anime dell’islam, in un paese strategico per gli assetti del Medio Oriente. La Lega ha dichiarato fallito il piano Usa per l’Iraq e starebbe già pensando a un “piano B”. Se ne è fatto carico la Giordania, che condivide con l’Iraq una lunga e porosa frontiera e che ha tutto l’interesse a vedere stabilizzato quel paese, evitando infiltrazioni di ex combattenti. Strettamente connesso a questo primo nodo, c’è quello delle ambizioni strategiche iraniane. Un Iran troppo forte rischia di condizionare eccessivamente gli equilibri nella regione, a scapito ovviamente di Arabia Saudita, Egitto e Giordania. Re Abdallah sa che la chiave è a pochi chilometri da lui, a Damasco. Sa che fino a quando gli Usa occuperanno l’Iraq, allora Siria e Iran avranno molto su cui convergere; quando le truppe americane si saranno ritirate, a Damasco converrà molto di più un asse con la Giordania e l’Arabia Saudita. Per realizzare questo progetto,Abdallah dovrà aiutare il vicino siriano a realizzare il ritorno del Golan, dossier che la leadership giordana starebbe caldeggiando dietro le quinte. Tutto questo in attesa che l’intricata matassa mediorientale cominci a sciogliersi. Aspettando il prossimo vertice della Lega Araba che, nel 2008, sarà proprio Damasco ad ospitare.
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