Haniyeh non è stato buono come si aspettavano
stupore perché un fondamentalista islamico si comporta come tale
Testata:
Data: 25/06/2007
Pagina: 7
Autore: Sonia Oranges
Titolo: Olmert incontra Abu Mazen, aspettando la scelta di Blair
Davvero "tutti" speravano, come scrive Sonia Oranges sul RIFORMISTA del 25 giugno 2007, ch l’ex primo ministro Ismail Haniyeh " avrebbe chiesto al presidente dell’Anp Abu Mazen di riprendere il dialogo tra Hamas e Fatah nell’interesse superiore del popolo palestinese " ?
Nemmeno si può ipotizzare che qualcuno avesse già capito che Hamas è interessata, a Gaza come in Cisgiordania, solo al potere totale ?
E che qualcuno, comunque,  non veda positivamente la prospettiva di una ritrovata unità palestinese intorno al progetto della distruzione di Israele?

Altri passaggi dell'articolo della Oranges:  "ieri il governo israeliano ha approvato il versamento di parte delle entrate fiscali palestinesi, congelate da tempo dall’esecutivo dello stato ebraico per ritorsione contro gli attacchi di Hamas".
Persino il blocco dei finanziamenti a un governo terrorista diventa una "ritorsione", non autodifesa.

Infine: "gli Stati Uniti starebbero premendo su Tony Blair perché diventi il nuovo inviato in Medio Oriente del Quartetto. L’ultima chance per recuperare il tempo perso. Sempre che il “golden boy” della guerra in Iraq sia davvero la persona giusta per questo incarico".

Ha partecipato all'abbattimento della dittatura di Saddam Hussein, dunque è inadatto a fare da mediatore in Medio Oriente.  Perché per fare da mediatori con dittatori e terroristi bisogna essere loro amici ? L'esperienza dimostra che questa strategia, in realtà, non paga. Ai loro "amici", dittatori e terorristi chiedono sempre di più, senza dare nulla in cambio.

Ecco l'articolo:


Tutti speravano che: avrebbe chiesto al presidente dell’Anp Abu Mazen di riprendere il dialogo tra Hamas e Fatah nell’interesse superiore del popolo palestinese invece, l’ex primo ministro Ismail Haniyeh, parlando da Gaza, che da dieci giorni ormai è sotto il controllo di Hamas, ha puntato il dito contro il vertice a quattro in programma per oggi a Sharm el Sheikh, tra Abu Mazen, il premier israeliano Ehud Olmert, il presidente egiziano Hosni Mubarak e il re di Giordania Abdullah II, ribadendo che soltanto la «resistenza» darà risultati al popolo palestinese: «Gli americani non ci daranno nulla. Israele non ci darà nulla. La nostra terra, la nostra nazione tornerà a noi solamente con la resistenza», ha affermato il leader di Hamas, scegliendo evidentemente di accontentare le aspettative dei duri e puri della Striscia, piuttosto che aprire all’Anp e quindi alla comunità internazionale. E preferendo l’isolamento a una inevitabile resa che potrebbe quantomeno essere negoziata. Invece no. Haniyeh ha rincarato la dose riferendosi ai fondi che Israele ha promesso di scongelare e che «sono un diritto di tutti i palestinesi». In realtà, ieri il governo israeliano ha approvato il versamento di parte delle entrate fiscali palestinesi, congelate da tempo dall’esecutivo dello stato ebraico per ritorsione contro gli attacchi di Hamas, che saranno consegnate ad Abu Mazen. Un segnale di apertura, in linea con quanto concordato da Olmert nella sua recente trasferta a Washington, che però è ancora ben lontano dall’obiettivo della riapertura dei colloqui di pace tra le due parti. Lo ha chiaro Olmert che, nel corso di un vertice di governo, ha detto che in Egitto oggi (il summit di Sharm el Sheikh intende comunque rafforzare la posizione di Abu Mazen nei confronti degli estremisti di Hamas) non potranno essere raggiunti risultati significativi. Sarà però l’occasione per Olmert di discutere con Abu Mazen delle «prospettive politiche», come ha detto ieri David Baker, consigliere del primo ministro israeliano: «Questi colloqui non verteranno sulle questioni relative allo status finale (definizione di confini, Gerusalemme e rifugiati palestinesi, ndr), ma su come il premier israeliano e il presidente palestinese immaginano un futuro stato palestinese». Per rilanciare i colloqui di pace, Israele infatti aspetta che il nuovo governo di emergenza palestinese «si stabilizzi». Prospettiva questa che sembra allontanarsi all’orizzonte, viste le ultime uscite di Haniyeh e la prontezza con cui i gruppuscoli che si rifanno ad Al Qaeda, nell’area tentano di fiancheggiare e utilizzare come grancassa la rivolta di Gaza. Ultimo soltanto in ordine di tempo, il messaggio della branca egiziana della “rete”, guidata da Mohamed Hakaima che ha invitato ad attaccare tutti gli obiettivi «sionisti» e occidentali in Egitto. Molto più serio, invece, sembra essere la minaccia di Hamas, almeno secondo lo Shin Bet che teme attacchi del movimento islamista in Israele finalizzati a indebolire Fatah e prendere anche il controllo del West Bank. Insomma, la pace non sembra essere vicina e Israele sembra favorire lo sforzo diplomatico messo in atto dai paesi arabi, soprattutto visto lo stallo del Quartetto della roadmap (Unione europea, Stati Uniti, Onu e Russia). Secondo il principale inviato russo nella regione Sergei Yakovlev, il Quartetto si riunirà domani a Gerusalemme per discutere dei piani futuri per la situazione in Medio Oriente e dei compiti che attenderanno i mediatori internazionali: «All’incontro verranno discussi l’attuale situazione nella regione, i compiti del Quartetto e i piani di lavoro per il futuro. Si discuterà degli sviluppi nell’area mediorientale e dei compiti che attendono i mediatori internazionali». Di certo il presidente americano George W. Bush attende che mercoledì avvenga il cambio della guardia a Downing Street, per tirare fuori dalla sua manica l’ultimo asso: gli Stati Uniti starebbero premendo su Tony Blair perché diventi il nuovo inviato in Medio Oriente del Quartetto. L’ultima chance per recuperare il tempo perso. Sempre che il “golden boy” della guerra in Iraq sia davvero la persona giusta per questo incarico.

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