Gaza, analisi e commenti il giorno dopo
Le analisi di Molinari,Olimpio, Pezzana
Testata:
Data: 16/06/2007
Pagina: 21
Autore: Maurizio Molinari Guido Olimpio-Angelo Pezzana
Titolo: Nell'Anp non ci sono i buoni e i cattivi, solo i terroristi- Bush cambia linea, accordi solo con Ramallah- Dall'Iran armi e addestramento per la conquista della Striscia -

Dai quotidiani di oggi, 16/06/2007, riportiamo alcuni commenti sulla situazione a Gaza e sull'ANP in generale. Cominciamo da LIBERO con un'analisi di Angelo Pezzana, a pag.21, da titolo " Nell'Anp non ci sono i buoni e i cattivi, solo i terroristi ":

Non è soltanto di Hamas la responsabilità di quanto sta accadendo nella società palestinese, l’abbiamo scritto su queste colonne per anni e non ci consola per niente il fatto di aver avuto ragione. Mentre l’Europa si affannava a criticare Israele attraverso tutte le forme possibili, compresi i boicottaggi economici e culturali, Yasser Arafat riceveva soldi e consensi da un occidente pressochè unito nel magnificarne le gesta. Mentre è stato lui ad aver creato le basi di questo tragico finale. Tra il defunto rais ed i capi di Hamas la differenza qualitativa, se così possiamo chiamarla, è minima. La politica come bassa macelleria è la stessa, i crimini commessi contro gli avversari di Fatah non hanno nulla da invidiare agli attentati che i "moderati" di oggi compivano contro discoteche, bar, autobus in Israele. Ma allora, trattandosi di ebrei, i media occidentali si inorridivano meno, erano più portati a cercarne le cause, naturalmente subito trovate nell’ "occupazione", come se quella fosse la causa. Non avevano capito che la società palestinese, grazie all’ideologia terrorista distribuita a piene mani da Arafat in quattro decenni, aveva trasformato una popolazione locale, che mai aveva, nemmeno lontanamente, immaginato di diventare Stato, in un serbatoio di violenza. Dopo l’11 settembre, con l’arrivo sulla scena dell’islamismo fondamentalista, la situazione è diventata, se possibile, ancora più esplosiva. Che dietro ai focolai di guerra mediorientali ci fosse l’Iran non era un fatto rilevante, come ha sempre sostenuto il nostro ministro degli esteri Massimo D’Alema. E che accanto all’Iran ci fosse la Siria a soffiare sul fuoco è un altro aspetto che non ha mai impensierito quelle forze politiche, non solo italiane, che, accecate dall’odio per Israele, non sono mai riuscite a capire da che parte si deve stare per difendere democrazia e libertà. Oggi Gaza è nelle mani insanguinate di Hamas, ma la situazione della Cisgiordania non è meno critica. Che Abu Mazen fosse debole e privo di potere lo si sapeva ancora prima che Hamas vincesse le elezioni. Come riuscirà a tenere lontano dalla guerra civile quello che viene già definito il " secondo stato" palestinese è tutto da vedere. Una cosa è certa, né Stati Uniti né Israele devono rifornirlo di armi. In caso di sconfitta, previsione possibile, passerebbero in dotazione ad Hamas. Israele deve poi fare attenzione alle sirene, in genere collocate a sinistra, che, forti della loro stupidità, stanno già intonando canti per la rioccupazione di Gaza. Non certo per bieco colonialismo, ma per arrivare, attraverso questa scorciatoia, alla realizzazione del sogno di quelli che si sentirebbero finalmente appagati dalla scomparsa dello Stato ebraico,con la realizzazione del cosiddetto " Stato binazionale", come si augurava ieri sul quotidiano della Margherita " Europa" Janiki Cingoli, militante di " sinistra per Israele", un gruppetto che riunisce alcune figure dell’ebraismo italiano dalle menti non si sa fino a che punto pensanti. Israele deve invece fare l’opposto, starsene alla larga da un problema che, semmai, può coinvolgerlo per quanto riguarda al difesa, rappresentando la Cisgiordania un problema ancora maggiore di Gaza, vista la maggiore contiguità territoriale. Ma ciò che deve essere chiaro e comprensibile a tutti, Unione europea compresa, è il diritto di Israele a difendersi, qualunque sia il nome del nemico. La guerra civile palestinese è solo l’inizio di un possibile coinvolgimento in tutta l’area mediorientale del terrorismo islamista, e prima si capirà che il problema non è solo israeliano meglio sarà.

Da New York, Maurizio Molinari sulla STAMPA, a pag.7, riporta alcuni commenti da analisti americani. Titolo " Bush cambia linea, accordi solo con Ramallah".

West Bank First, prima la Cisgiordania. L’espressione coniata dalle feluche del Dipartimento di Stato nelle ore seguenti alla conquista della Striscia di Gaza da parte di Hamas lascia intendere come l’amministrazione Bush si accinge a reagire alla lacerazione politica e territoriale dei palestinesi. «La Casa Bianca si avvia a marciare su un doppio binario, rafforzando il presidente Abu Mazen in Cisgiordania con la riduzione delle sanzioni nei confronti dei territori gestiti da Al Fatah - spiega Patrick Clawson, direttore del programma di ricerche del Washington Institute - e al tempo stesso aumentando l’isolamento internazionale del mini-Stato di Hamas per impedire che si trasformi in una roccaforte terrorista sulle sponde del Mediterraneo».
Il Segretario di Stato, Condoleezza Rice, ha già fatto un passo in questa direzione telefonando al presidente palestinese Abu Mazen per assicurargli che «l’America continuerà ad avere rapporti con chi ha compiuto la scelta della pace». Il summit di martedì a Washington fra George W. Bush e il premier israeliano Ehud Olmert servirà proprio per declinare la strategia del «West Bank First»: Usa, Unione Europea e Gerusalemme potrebbero mandare presto un forte segnale di apertura ad Abu Mazen, tentando di arrivare alla sigla di un trattato di pace entro il 20 gennaio 2009, quando cambierà l’inquilino della Casa Bianca.
Potrebbe essere Bush ad annunciare l’accelerazione diplomatica nel discorso sul Medio Oriente che era già in programma a fine mese ma che ora sta riscrivendo. A sostenere di trattare Cisgiordania e Gaza come entità separate è Jonathan Schanzer, ex analista di intelligence del ministero del Tesoro ora in forza al Jewish Policy Center, secondo il quale «la vittoria di Hamas a Gaza può portare ad accelerare le intese fra Olmert e Abu Mazen» schiudendo le porte alla nascita dello Stato di Palestina auspicata da Bush.
«Esistono due Stati palestinesi - spiega Shanzer - e solo con uno Israele può fare la pace, anche perché ha un’economia più robusta e meno profughi, mentre l’altro è una piattaforma del terrorismo iraniano e siriano». Nei confronti di Gaza Bush e Olmert potrebbero concordare con Hosni Mubarak una stretta: pattuglie navali israeliane per impedire traffici di armi attraverso il Mediterraneo e rigidi controlli di terra egiziani lungo il confine con il Sinai. Senza escludere l’ipotesi dell’invio di una forza Onu sul modello dell’Unifil libanese «ammesso che si trovino Paesi pronti a fornire truppe per una missione ad alto rischio di perdite» sottolinea Clawson.
L’approccio di Washington e Gerusalemme resta dunque incentrato sul sostegno alla leadership di Abu Mazen ma solleva forti perplessità in molti centri studi. Ilan Berman, vicepresidente dell’American Foreign Policy Council, ritiene che «Abu Mazen e Al Fatah siano indeboliti» al punto da non escludere che «Hamas possa conquistare anche la Cisgiordania». Meyrav Wurmser, direttore del Centro studi mediorientali dell’Hudson Institute, è convinta che «si tratta di un grave errore continuare a puntare su un presidente che i palestinesi non amano» e suggerisce di procedere in un’altra direzione: «In Giordania c’è chi ha già iniziato a prendere in considerazione l’ipotesi di una federazione con la Cisgiordania vista l’incapacità dei palestinesi di autogovernarsi».
E questa è anche la convinzione di Benjamin Nethanyahu, il leader del Likud in testa a tutti i sondaggi di popolarità in Israele. Ma Robert Malley, direttore dell’«International Crisis Group» ed ex consigliere di Bill Clinton sul Medio Oriente, non è d’accordo: «L’interesse di Israele è fare la pace con tutti i palestinesi, non con solo alcuni di loro, continuare a giocare sulle divisioni palestinesi sostenendo i buoni contro i cattivi non ha funzionato in passato e non funzionerà adesso». Malley vedrebbe con favore una strategia opposta al «West Bank First»: «Bisogna operare a Gaza sul piano umanitario, aiutare i palestinesi a ritrovare l’unità e quindi arrivare alla pace con Israele».

Dal CORRIERE della SERA, a pag.15, l'analisi dei rapporti con l'Iran di Guido Olimpio, titolo " Dall'Iran armi e addestramento per la conquista della Striscia"

Hamas ha preparato la spallata con acume tattico e determinazione. Quando i suoi capi hanno compreso che il disimpegno israeliano da Gaza era un fatto reale hanno trasformato un gruppo guerrigliero in un esercito in miniatura. Ed hanno costruito l'armata verde con un modello ben preciso in testa: l'Hezbollah libanese, il nemico più insidioso che Israele abbia mai avuto.
Il primo passo è stata la creazione della «Accademia Salah Shehada», un sistema di piccole basi disseminate in tutta la Striscia, spesso realizzate nei vecchi insediamenti abbandonati dai coloni. L'apparato militare, incarnato dalle Brigate Ezzedine Al Kassam, è cresciuto con un massiccio reclutamento: oggi Hamas può contare su 15 mila uomini divisi in quattro brigate, abituati a rispondere ad un comando centrale e temprati da un severo addestramento. Nel contempo è aumentato in modo esponenziale l'afflusso di armi, garantito dall'inarrestabile contrabbando attraverso i tunnel al confine con l'Egitto. I numeri aiutano a comprendere il fenomeno. Nel 2006 sono entrati clandestinamente: 14 mila fucili, 5 milioni di pallottole, 40 razzi, 150 lanciagranate Rpg, 20 sistemi anti-carro, 10 sistemi anti-aerei portatili, 30 tonnellate di esplosivo. Non rientrano in questa lista i missili Grad che i palestinesi avrebbero ottenuto grazie all'aiuto di regimi estremisti.
I servizi segreti di numerosi paesi — dalla Giordania agli Usa — sono concordi nel denunciare una mano straniera nel traffico di armi. A febbraio, Khaled Meshal, uno dei dirigenti di Hamas in esilio, ha partecipato ad un summit in Sudan dedicato alle forniture. Davanti a lui un esponente dei pasdaran iraniani e un funzionario sudanese. Il vertice si è concluso con un accordo: carichi di armi fornite dall'Iran vengono portati in Sudan, quindi passano in Egitto e infine raggiungono Gaza. Nell'operazione sono coinvolti i trafficanti del deserto — clan beduini che si dedicano da sempre al «commercio» —, piccoli nuclei di estremisti della Jihad egiziana ed elementi palestinesi. Un legame emerso anche in una indagine degli 007 del Cairo che proprio ieri hanno smantellato una cellula che inviava mujaheddin ad addestrarsi in Sudan.
È in questa cornice che va racchiusa la possibile collaborazione di Hamas con Siria e Iran. Accuse forse esagerate dalla propaganda ma giudicate comunque vicine alla realtà. Fonti diverse hanno sostenuto che decine di attivisti si sarebbero addestrati in campi siriani e iraniani mentre un nucleo di consiglieri khomeinisti avrebbe creato nella Striscia di Gaza una efficiente rete di gallerie e bunker in grado di resistere ad una eventuale invasione israeliana.

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