La politica estera dello struzzo
è quella della sinistra occidentale di fronte alle dittature
Testata:
Data: 11/06/2007
Pagina: 1
Autore: Giuliano Da Empoli
Titolo: I progressisti d’Occidente e la politica estera dello struzzo
Dal RIFORMISTA dell'11 giugno 2007:

Ok: Bush è arrivato e ripartito senza che la scossa determinata dal suo passaggio travolgesse il fragile governo in carica. Nel frattempo, Blair sta lasciando Downing Street e Wolfowitz è stato costretto a dimettersi dalla Banca Mondiale. Dappertutto, i neo-con, di destra e di sinistra, perdono terreno e appaiono in ritirata. Eppure, oggi più che mai, la profonda crisi di identità della sinistra occidentale si misura sul terreno della politica estera. Wolfowitz sarà anche un guerrafondaio senza scrupoli. E però, negli ultimi anni ha sostenuto i democratici filippini contro Marcos, il movimento degli studenti indonesiani contro Suharto e le femministe in Iran. In Iraq, ha sempre pensato che gli Stati Uniti avessero tradito i democratici abbandonandoli alla loro sorte nel 1991, dopo avergli fatto sperare che Saddam sarebbe stato rovesciato. Più in generale, la dottrina dei neo-con si fonda sull’idea che l’interesse di lungo periodo degli Stati Uniti risieda nella promozione della democrazia. Per quale motivo? Semplicemente perché non risulta che due democrazie si siano mai fatte la guerra tra di loro. Può darsi che sia una teoria ingenua, come sostengono i realisti alla Kissinger.E può darsi anche (anzi, è sicuro) che tra i neo-con si nascondano degli astuti manipolatori che usano questi ideali per portare avanti i loro interessi personali. Ma è davvero una buona ragione per condannare in blocco questa linea di pensiero? In fondo, Norberto Bobbio non diceva la stessa identica cosa? E poi, quali sono le alternative? La realpolitik che ci fa chiudere gli occhi di fronte alle peggiori efferatezze? L’inerzia programmatica che spinge i paesi ricchi a chiudersi nelle loro serre dorate isolandosi dal resto del mondo? Dalla fine della guerra fredda, la linea di politica estera della sinistra occidentale è stata quella dello struzzo. Cacciare la testa sotto la sabbia e aspettare che passi la nottata. Con la conseguenza che, da anni, tutti i democratici, le femministe e coloro che si battono per i loro diritti nei paesi in via di sviluppo si rivolgono con speranza alla sinistra europea e americana, solo per vedersene respinti con imbarazzo. Le uniche battaglie che interessano la sinistra sono quelle contro l’Occidente: la Palestina, la pena di morte negli Usa. Le atrocità compiute in Sudan, nello Zimbabwe, in Cecenia, in Corea del Nord non la interessano. Così come la lasciano sovranamente indifferente la condizione delle donne nel mondo islamico, quella degli omosessuali a Cuba e la pena di morte in Cina. Per Michael Hardt e Toni Negri, tutto ciò che si oppone all’Impero va bene. Il fondamentalismo islamico ha, così, preso il posto del comunismo nel tenere alta la bandiera dell’anti-capitalismo.Anche senza spingersi tanto in là, comunque, i moderati e i riformisti sono anch’esso del tutto impotenti, schiacciati tra l’anti-americanismo della sinistra radicale e l’interventismo dei neo-con. Quando Nick Cohen scrive che il 15 febbraio del 2003 milioni di persone sono scese in piazza, in tutto il mondo, per opporsi alla caduta di un regime fascista (quello di Saddam), è difficile dargli torto. Dopo la caduta del Raìs, non c’è praticamente nessuno, a sinistra, che si sia preso la briga di sostenere i democratici iracheni. Nessuno che abbia dato peso alla scelta di milioni di iracheni di recarsi alle urne per dare vita a un primo embrione di democrazia rappresentativa. Continuiamo a essere neutrali, rispetto alla guerra civile in corso, come se non ci fossero, da una parte, i fascisti del partito Baath, Al Qaeda e le milizie iraniane e, dall’altra, i democratici che sognano un futuro normale per il loro paese e che, ingenuamente, contavano sul sostegno dei progressisti occidentali. Oggi, è possibile che qualcosa cambi con l’arrivo di Bernard Kouchner al Quay d’Orsay. Da sempre, infatti, il nuovo ministro degli esteri francese si batte per il rispetto dei diritti umani e per l’interventismo democratico. Guarda caso, però, quest’uomo di sinistra è, oggi, il capo della diplomazia di un governo di destra.

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