che destabilizza il Libano per dimostrare la necessità della sua egemonia
Testata: Data: 07/06/2007 Pagina: 7 Autore: Emanuele Ottolenghi Titolo: Il ricatto di Damasco al Paese dei cedri
Dal RIFORMISTA del 7 giugno 2007:
Il ministro degli Esteri Massimo D'Alema è appena tornato da una visita a Beirut e Damasco, durante la quale ha lanciato l'allarme per la presenza di al-Qaeda in Libano e ha auspicato una collaborazione con la Siria, spendendo parole positive per il ruolo stabilizzante di Hezbollah in Libano, e per la presa di posizione di Hamas contro i miliziani di Fath al Islam nel campo profughi di Nahr el Bared, dove sono ancora in corso scontri con l'esercito libanese. Aggiunge D'Alema parlando di Hezbollah, «Hezbollah non è interessato a destabilizzare l'area di responsabilità dell'Unifil... A muovere Hezbollah, che è un movimento sciita, c'è la consapevolezza che così come in Iraq, i gruppi salafiti intendano innescare una guerra di religione tra sunniti e sciiti». Per fortuna, ci dice D'Alema, la presenza Unifil viene vista in maniera amichevole. Nulla da temere per le nostre truppe insomma, almeno non dalle varie forze libanesi. L'unico pericolo è al-Qaeda, contro il quale occorre cooperare con la Siria. D'Alema è caduto nella trappola siriana e come altri suoi compagni di percorso ideologico e intellettuale non è in grado di riconoscere come la presenza salafita in Libano fa il gioco della Siria e che la vera minaccia di cui questi gruppuscoli sono il sintomo e la manifestazione più evidente è la Siria stessa. A contraddire il ministro ci sono i fatti. Ieri l'esercito libanese ha fermato un camion carico d'armi con sei miliziani di Hezbollah a bordo, a un posto di blocco a Ba'albek. Non si sa se le armi fossero provenienti dalla Siria o meno, né quale fosse la loro ultima destinazione. Ma erano armi di Hezbollah. Altrove, in una spiaggia mediterranea del Sud del Libano, frequentatissima da truppe Unifil, l'esercito ha trovato un ordigno e l'ha disinnescato prima che potesse fare vittime. Del resto, la settimana scorsa erano emerse altre inquietanti notizie a riguardo della fornitura d'armi per Hezbollah. Un treno proveniente dall'Iran e diretto in Siria, in transito attraverso la Turchia, era stato colpito da un attentato dei separatisti curdi. Sul treno le forze dell'ordine turche hanno trovato un carico d'armi iraniane. Anche qui, difficile stabilire con certezza la destinazione, ma difficile rimanere dello stesso ottimismo del ministro. I due gruppi coinvolti negli scontri nei campi profughi palestinesi in Libano sono legati alla Siria e non agiscono indipendentemente da Damasco. A Ein-el Hilweh, vicino a Sidone, opera Jund-al Sham, che significa “L'armata della Siria”; a Nahr el-Bared opera Fath al Islam, guidato da due palestinesi fuoriusciti da al-Fatah negli anni Ottanta, su istigazione siriana, nel tentativo di rigettare a mare l'allora leader dell'Olp Yasser Arafat, dopo il suo ritorno a Tripoli nel 1983. I combattenti di Fath al Islam arrivano dall'Iraq via Siria (che li ha lasciati passare, quanto meno). E gli scontri, a nord come a sud, sono avvenuti in curiosa coincidenza con il passaggio della risoluzione Onu 1757 che istituisce il Tribunale Internazionale sull'omicidio Hariri, una svolta che mette in pericolo la sopravvivenza del regime siriano. Gli scontri servono a dimostrare l'ingovernabilità del Libano e l'incapacità del governo libanese di porre fine alla violenza. Implicito a questo ragionamento, come avvenne a metà degli anni Settanta e nel 1991 nella cornice del caos libanese della guerra civile, è che solo la Siria può riportare la tranquillità. Del resto, la paralisi politica e costituzionale libanese è essa stessa un prodotto damasceno. I ministri dimessi sono filosiriani e filosiriane le forze che denunciano la legittimità del governo Siniora. Filosiriano è il presidente del parlamento libanese che rifiuta di convocarne la sessione per impedire che esso voti, forte della sua maggioranza democraticamente eletta antisiriana, l'approvazione del tribunale oltre che un candidato antisiriano a sostituire il presidente filosiriano Emil Lahoud, il cui mandato scadrà a settembre. Se la Siria non sblocca la situazione, o la comunità internazionale non costringe la Siria a sbloccarla, il Libano si troverà in settembre in una situazione di paralisi costituzionale e a rischio di guerra civile. Il gioco di Damasco, come il gioco della mafia che ricatta i commercianti minacciandoli in cambio del pizzo per la protezione, è di creare scompiglio offrendosi poi come l'unico in grado di riportare la calma. D'Alema, andando in Siria a conciliabolo con un dittatore il cui record interno di diritti umani e regionale di forza destabilizzante è sconcertante, e abbracciando la lettura dei fatti offertagli a Damasco, non ha fatto altro che dar man forte ai nemici della stabilità e dell'indipendenza e sovranità libanese.
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