Riportiamo alcuni passaggi della lunga intervista rilasciata il 5 maggio 2007 da Massimo D'Alema all'UNITA':
La crisi israelo-palestinese rischia di avere una ricaduta devastante anche nel vicino Libano, dove imperversa la battaglia nei campi profughi palestinesi. Lei inizia oggi (ieri, ndr.) una delicata missione in Libano e Siria. Con quali prospettive?
«Avevamo avvertito da tempo il rischio di una penetrazione di gruppi legati ad Al Qaeda nella realtà palestinese in Libano. C’era da attendersi, ed io l’ho detto più volte, che la mancata soluzione della questione palestinese - che avrebbe dovuto comportare anche un sostegno al governo di unità nazionale palestinese, pur con i suoi limiti - avrebbe favorito un processo di radicalizzazione perversa fino a creare spazi per Al Qaeda. Ed è ciò che sta avvenendo. Va peraltro rilevato che dentro la tragedia che investe i campi profughi palestinesi in Libano, emergono anche segnali per certi aspetti positivi...».
Quali sarebbero?
«La grande maggioranza delle organizzazioni palestinesi, compresa Hamas, si è schierata contro questi gruppi jihadisti, e l’altro aspetto è che questa minaccia è considerata tale dall’insieme del campo politico libanese...».
Anche Hezbollah?
«In particolare Hezbollah. Non c’è dubbio che Hezbollah non è interessato a destabilizzare l’area di responsabilità dell’Unifil (il contingente Onu schierato ai confini tra Libano e Israele, del quale fanno parte quasi tremila soldati italiani, ndr.). A muovere Hezbollah, che è un movimento sciita, c’è la consapevolezza che così come in Iraq, i gruppi salafiti intendano innescare una guerra di religione tra sunniti e sciiti. Ora bisogna anche vedere come il campo politico libanese reagirà alla decisione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu di istituire il Tribunale per l’assasinio di Hariri, che era la questione su cui si era determinato un blocco politico-istituzionale in Libano...».
In questo contesto, cosa chiederà nella sua tappa a Damasco alle autorità siriane?
«Chiederò loro di collaborare alla applicazione della risoluzione 1701, ribadendo, come peraltro ha affermato il premier libanese Fuad Siniora, che il Tribunale internazionale non è un’arma puntata contro la Siria, non rappresenta un atto di ostilità verso il Governo siriano, e che l’Italia vuole che la Siria sia parte attiva in un processo di pace. Chiederò loro di cooperare alla stabilizzazione della regione".
Il 6 giugno Umberto De Giovannangeli si incarica di dare il massimo rilievo alle tesi di D'Alema, chiamando a suffragarle alcuni "esperti".
Ecco il testo:
NON C’È DUBBIO che Hezbollah non è interessato a destabilizzare l’area di responsabilità dell’Unifil». Il passaggio dell’intervista dell’altro ieri di Massimo D’Alema a l’Unità fa discutere. E realizza consensi tra i più autorevoli analisti e conoscitore della com-
plessa realtà mediorientale. Una riflessione che il titolare della Farnesina estende anche ad un’altra area caldissima del Medio Oriente: i Territori palestinesi. «Quella di D'Alema è un'analisi realistica - osserva Renzo Guolo, studioso dell’Islam radicale - perché sappiamo che il campo islamista è molto frammentato e si divide tra movimenti neotradizionalisti e radicali-jihadisti. Al Qaeda appartiene a questo ultimo campo e contesta decisamente la strategia elettorale di movimenti come Hamas e Hezbollah. Nel caso di Hezbollah vi è inoltre il risaputo e praticato anti-sciismo di Al Qaeda, che è ispirato da una versione ideologica del waabismo radicale, storicamente anti-sciita, come è evidente anche dalla situazione in Iraq. L’eventuale radicamento di Al Qaeda in Palestina o nei campi profughi palestinesi in Libano, segnerebbe inevitabilmente la fine di ogni prospettiva politica realistica per l'Autorità nazionale palestinese. È interesse di tutti che ciò non avvenga, constatazione evidente persino ad Hamas». Una linea condivisa e articolata da Lucio Caracciolo, direttore della rivista italiana di geopolitica «Limes». «Condivido - afferma Caracciolo - l’analisi di D’Alema . Obiettivamente c'è un conflitto di interessi fra Hamas. Hezbollah, ma anche i Fratelli Musulmani egiziani ed altri, da una parte, e i cosiddetti qaedisti o jihadisti ultrà dall'altra. È nostro fondamentale interesse che questo spartiacque resti, anzi venga approfondito. Hezbollah, è una organizzazione che lavora su diverse scale e con diversi metodi, dalla partecipazione democratica al Welfare islamico, al terrorismo. I suoi interessi fondamentali sono in Libano ma i referenti strategici, e finanziari, sono altrove, in particolare in Iran e Siria. Sotto questo profilo, i rapporti tra l'Italia e Hezbollah, evidentemente sotterranei, sono funzione soprattutto dei nostri rapporti con l'Iran, non solo sotterranei. Per quanto riguarda Hamas, è una organizzazione sicuramente più debole e più frammentata di Hezbollah, comunque un fattore imprescindibile per qualsiasi soluzione della questione palestinese, e questo solo fatto basta a spiegare perché la questione palestinese resti oggi senza soluzione». Un altro passaggio-chiave della riflessione «mediorientale» del vice premier italiano riguarda la debolezza dei soggetti che dovrebbero rivitalizzare il processo di pace. « È condivisibile - riflette in proposito Guolo - la sottolineatura del ministro degli Esteri sulla necessità che sia la comunità internazionale, e in particolare il Quartetto (Usa, Onu, Ue, Russia), a farsi carico di una proposta di soluzione politica. Senza un intervento esterno i contendenti non hanno oggi possibilità di individuare un percorso praticabile che porti ad una soluzione stabile. Questa prospettiva implica realisticamente anche il coinvolgimento degli Stati dell'area: la pace si fa tra nemici. Tutti gli Stati confinanti, compresa la Siria, devono essere coinvolti in questo processo purché ne abbiamo la volontà di parteciparvi e riconoscano il diritto all'esistenza dello Stato d'Israele. Anche Gerusalemme deve trovare la via di uscita da una situazione che rischia di radicalizzare il conflitto minandone ancor più la sicurezza». Caracciolo guarda agli Usa: «Alla fine, la parola decisiva la diranno, o non la diranno, gli americani - rileva il direttore di Limes -. Per quel poco che contiamo noi italiani ed europei, dovremmo fare in modo che questa parola sia efficace ed equilibrata. Naturalmente la precondizione è che in campo palestinese cessi la guerra civili e i vari gruppi e bande trovino finalmente un rappresentante che parli per tutti. Potrà anche essere una figura poco "appetibile", ma quel che conta è che rappresenti davvero la grande maggioranza dei palestinesi. Per esempio Marwan Barghuti».
Tra la testimonianza personale e l’analisi puntuale, si sviluppa la riflessione del generale Franco Angioni,già comandante del contingente Nato in Libano. «Le mie esperienze personali con Hezbollah - afferma Angioni - risalgono a oltre 20 anni fa: al 1983, quando i primi elementi giunsero in Libano dall’Iran, quasi come schegge scagliate all’estero dai Pasdaran. Allora, erano estremisti radicali, tutti iraniani e animati dalla volontà di combattere senza tregua l’Occidente. Furono loro - ricorda il generale - che il 23 ottobre del 1983 lanciarono i pesanti attentati contro il contingente americano, contro il contingente francese, dopo aver collaudato la loro capacità operativa con l’attentato all’ambasciata Usa.a Beirut. Da allora sono passati 24 anni: gli Hezbollah sono profondamente cambiati...». Qui l’analisi di Angioni incrocia e s’incontra con quella del titolare della Farnesina. «Questi cambiamenti - spiega il generale Angioni - si devono a molteplici fattori: in primo luogo, all’emergere di un capo, politico-militare, di grande esperienza e, alla luce delle decisioni assunte, di grande equilibrio: lo sheikh Hassan Nasrallah. In secondo luogo, gli Hezbollah sono diventati un partito politico, con 28 rappresentanti in Parlamento e due ministri nel governo. Terzo: sono tutti libanesi , supportati da alcuni addestratori iraniani. Altro punto: hanno dato identità, smalto, potere alla comunità sciita, ma soprattutto hanno hanno valorizzato il Sud del Libano, la parte più povera del Paese, con opere sociali di grande valore». «Pur continuando a considerare l’Iran la nazione-guida - conclude Angioni - sono vicini alla parte moderata della Siria, quella che fa capo a Bashar el Assad e che vorrebbe far uscire il Paese dall’isolamento politico in cui l’ha costretto la vecchia guardia siriana. Ultimo punto: gli Hezbollah hanno preso la distanza da Al Qaeda e dale fazioni palestinesi ad essa legate (alcune delle quali sono presenti in alcuni campi palestinesi), dimostrandosi elemento da non sottovalutare nella lotta al terrorismo». Come per D’Alema, anche per Angioni «attualmente in Libano non si può mettere da parte la componente Hezbollah».
Ricordiamo che Hamas ed Hezbollah vogliono distruggere Israele. Non sono parte della soluzione del conflitto israelo-palestinese, ma, al contrario, del fronte jihadista che la rende impossibile.
Sono organizzazioni altrettanto antiamericane e antioccidentali di Al Qaeda, anche se per il momento, per motivi tattici , colpiscono solo in Israele.
Inoltre, l'alleanza tra sunniti e sciiti contro nemici comuni non è impossibile. L'Iran sciita finanzia la sunnita Hamas.
Che dal canto suo non è così ostile al qaedista Fatah al Islam, se è vero che ha intimato al governo palestinese di fermare le operazioni nei campi palestinesi che ospitano il gruppo.
Nemmeno l'alleanza Hamas- Al Qaeda, dunque, è impossibile. E a spingere verso di essa non sarà certo la fermezza verso il terrorismo, ma le comuni premesse ideologiche delle diverse anime del fondamentalismo islamico.
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