La barriera difensiva israeliana creerebbe in Cisgiordania "migliaia di ghetti" chiusi da ogni lato, da cui i palestinesi sarebbero impossibilitati a uscire.
Un'affermazione semplicemente falsa, che serve alla propaganda dell'UNITA' del 1 giugno 2007 per far apparire gli israeliani come carcerieri.
La barriera difensiva invece, serve a salvare vite umane dal terrorismo palestinese.
Certo, le limitazioni alla libertà di movimento dei palestinesi, anche drammatiche, esistono. Ma check point, controlli alle ambulanze e ogni altra misura non esisterebbero se non fossero necessarie. Sono i terroristi ad utilizzare la ambulanze per compiere attentati, a sparare dai villaggi sulle automobili che percorrono le vicine autostrade, a compiere attentati suicidi, a lanciare kassam.
Se Umberto De Giovannangeli, l'autore del pezzo, avesse preso in considerazione questi fatti non avrebbe scritto che la fortificazione delle città israeliane seppellirebbe il sogno della convivenza.
Il sogno della convivenza si incarica di ucciderlo, ogni giorno, il terrorismo palestinese che per u.d.g. è molto meno condannabile della volontà degli israeliani di difendersi e vivere.
Ecco il testo:
AD ABU DIS primo sobborgo arabo «murato» all’uscita di Gerusalemme. Un inferno di cemento e filo spinato. Abu Dis, Ramallah, Tulkarem, Qalqilya, qui vive il popolo dei senza speranza, ostaggio di Israele ma anche delle bande armate palestinesi che dettano legge nei Territori Il ragazzo invalido fa fatica a superare il muro. Si arrampica, annaspa, lancia un grido di dolore. E poi si lascia cadere nelle braccia degli infermieri della Mezzaluna rossa palestinese. Il tutto sotto lo sguardo distratto di un giovane soldato israeliano in assetto di guerra. Scene di vita quotidiana ad Abu Dis, primo sobborgo arabo «murato» all'uscita di Gerusalemme, in direzione della Cisgiordania. Walid - è il nome del ragazzo infermo - ci racconta in lacrime la sua storia: «Due anni fa, una pallottola di gomma sparata da un soldato israeliano durante una manifestazione a Ramallah mi ha colpito alla gamba. Da allora faccio fatica a muovermi. Devo essere trasportato in carrozzella e per avere le cure necessarie oggi devo superare questo maledetto muro per raggiungere l'ospedale. Mi creda, è un inferno». Un inferno di cemento e di filo spinato che si snoda per centinaia di chilometri. Per gli israeliani è una barriera di difesa dagli attacchi dei kamikaze; per i palestinesi è il Muro della sofferenza e dell'umiliazione. «Dietro questo Muro - ci dice l'anziano Mahmud, venditore ambulante di spezie - un popolo sta morendo. «Siamo consapevoli dei patimenti della popolazione palestinese, ma essi vanno imputati ad una dirigenza succube dei gruppi terroristi. Israele ha il diritto e il dovere di difendere i suoi cittadini, a questo e solo a questo serve la barriera di sicurezza», sottolinea Avi Panzer, portavoce del premier Ehud Olmert. «Senza quella barriera - aggiunge - lo stillicidio di attacchi terroristici contro civili inermi non si sarebbe arrestato».
Ma un viaggio lungo il Muro che divide la Cisgiordania dallo Stato ebraico è innanzitutto un viaggio, angosciante, nella sofferenza dei senza speranza. A un muro già innalzato si accompagnano tratti di un muro in via di edificazione. E laddove non vi sono barriere di cemento e di filo spinato, ci pensano i ceck-point istituiti dall'esercito israeliano a spezzare in mille frammenti territoriali le città e i villaggi della Cisgiordania. Percorrendo il tratto di strada che collega Abu Dis ai ceck-point di Ramallah, Tulkarem, Qalqilya, assistiamo a scene che toccano il cuore: un'anziana donna che cerca, non riuscendoci, di scavalcare il muro. Cade e si rialza più volte, spargendo sul terreno i sacchetti con la frutta e verdura. Accanto a lei, un bambino di non più di quattro-cinque anni piange e prova a sorreggere l'anziana palestinese. I segni di una quotidiana violenza li ritrovi nelle macerie delle case rase al suolo dai bulldozer israeliani, in ciò che resta delle auto sventrate dai carri armati di Tsahal. I segni di un presente che non lascia spazio alla speranza li leggi negli sguardi smarriti, impauriti, dei bambini che affollano i ceck-point chiedendo l'elemosina o vendendo acqua e tè alla menta. I segni del degrado li respiri dalle montagne di rifiuti che affiancano la barriera israeliana. La rabbia si mischia al dolore, l'umiliazione alla dignità della povera gente, ostaggio di Israele ma anche delle bande armate palestinesi che dettano legge nei Territori. Villaggi-fantasma, strade dissestate, fogne a cielo aperto. E ancora: reticolati che circondano intere città, aree un tempo agricole spianate dai bulldozer. E poi le scritte sui lastroni di cemento armato, che raccontano sofferenza e dignità di un popolo. Scritte come: «resistere vuol dire esistere». Sono queste le immagini che rimangono impresse nella mente in un viaggio al di là del Muro. Un viaggio in una terra divisa, espropriata, «insediata». Oggi sono oltre 245mila i coloni in Cisgiordania; nell'ultimo anno il numero delle abitazioni negli insediamenti è cresciuto di oltre 1885 unità-alloggio, e per altre 6mila il governo di Ehud Olmert ha dato il via libera. In aggiunta, sulle terre espropriate si sono costruiti quattrocento chilometri di strade private per i soli coloni. Queste strade - che si sviluppano a vista d'occhio - percorrono la Cisgiordania come una griglia che accerchia e interrompe le enclave palestinesi. Se Gaza è una enorme prigione a cielo aperto, la Cisgiordania è una terra frantumata in mille ghetti. L'angoscia è compagna di viaggio, e cresce di chilometro in chilometro, perché questo Muro sembra davvero non finire mai. Nahalin, Hussan, Batir, Walaja: sono quattro villaggi nel cosiddetto Triangolo Cristiano a sud di Gerusalemme. I quattro villaggi sono circondati dal Muro, intrappolati da tutti i lati. Attraversare ciascuna delle enclavi , da un muro all'altro, richiede 10-20 minuti di cammino. Ogni abitante di questi villaggi non è mai lontano dal muro più di un chilometro. Non solo i terreni agricoli, ma le scuole, gli ospedali, le cliniche, i mercati, i negozi, i luoghi di lavoro, sono tutti fuori. Per uscire bisogna passare un cancello, attraverso un ceck-point dell'esercito israeliano. Il cancello sarà probabilmente chiuso, perché è aperto solo un paio di ore al giorno, o perché qualche autorità ha deciso di dichiarare lo stato di massima allerta, o perché è una festività ebraica, o più banalmente perché il soldato incaricato non si è svegliato in tempo. E se accade che il cancello è aperto, racconta Faisal, 21 anni, il soldato potrà lasciarti passare (se hai il permesso necessario), oppure no (per qualsiasi motivo, o senza alcun motivo). Ci sono dozzine di villaggi accerchiati in questo modo in tutta la Cisgiordania. Villaggi come Faqqua, vicino a Jenin: il Muro non solo separa i contadini dalla maggior parte della propria terra, ma circonda tutto il villaggio.
Suor Marie Dominique Croyal è la direttrice della Casa di Riposo per anziani di N.S.dei Dolori., a Gerusalemme Est. A pochi passi dall'entrata, è stata eretta la «barriera difensiva». Questa è la sua testimonianza: «Questo muro l'hanno già scavalcato migliaia di persone: studenti, mamme con i bimbi in braccio e persone anziane… Numerose sono state le cadute a volte mortali. Alcuni mesi fa abbiamo chiamato l'ambulanza per soccorrere un uomo di circa 65 anni, che era caduto dal muro a capofitto ed aveva perso conoscenza». « L'ambulanza - prosegue Sr Marie Dominique - è arrivata dopo mezz'ora e all'andata, al crocevia di Betania, è stata perquisita dall'esercito, che ha fatto scendere la moglie del ferito, ritardando le cure. Quello che succede ai piedi di questo muro è divenuto intollerabile…». Neanche la più fertile mente diplomatica può immaginare, oggi, di ricomporre questa miriade di puzzle territoriali in uno Stato. Da Qalqilya a Tulkarem, da Ramallah a Nablus: sono decine i racconti che ho ascoltato di nuclei familiari divisi dal Muro, di malati impossibilitati a raggiungere gli ospedali e i luoghi di cura all'interno della Cisgiordania. La barriera di cemento armato che «avvolge» Gerusalemme è alta 8 metri, il doppio del muro di Berlino, sovrastata ogni 300 metri da torri di controllo, potenziata da trincee profonde due metri: costeggiarla dà un senso di asfissia. Laddove attraversa aree urbane - il 10% del percorso, ma con la più alta densità di popolazione - il Muro è composto da blocchi di cemento armato alti dai 6 ai 9 metri. Nelle aree rurali, invece, il Muro assume la forma di una barriera larga dai 50 agli 80 metri e composta da vari elementi: filo spinato, trincea, rete metallica, sensori di movimento, pista di pattugliamento, e striscia di sabbia.
Non soltanto il Muro non segue la «Green Line» del 1967, ma esso ripiega su se stesso creando 22 enclavi. La crescita del Muro violenta la memoria: a Tulkarem c'era un mercato fatto di baracche e prefabbricati: era un punto di incontro per noi giornalisti che ci addentravamo nei Territori: quel mercatino era famoso per i suoi deliziosi panini caldi al sesamo. Adesso c'è il Muro: È alto otto metri e da una parte e dall'altra corre il filo spinato e un fossato, e dove c'erano campi coltivati ora i contadini vedono, impotenti, l'erba che cresce selvaggia e le olive che cadono nelle reti. Qalqilya, città a nord-ovest della Cisgiordania, è il maggior comune palestinese. Con una popolazione di più di 42mila abitanti, essa è anche il centro di riferimento per 32 villaggi vicini, cioè altre 90 mila fanno affidamento sulla città per i servizi sanitari e l'istruzione. Un affidamento che si fa sempre più etereo, perché Qalqilya è stata completamente circondata da una barriera lunga 14 km.
Il Muro trasforma decine di villaggi in vere prigioni a cielo aperto: è il caso di Rafat, a sud di Ramallah: le quattro vie che collegano Rafat ai paesi vicini sono state chiuse dal muro, che qui si presenta con una recinzione di filo spinato con elettricità a cui è impossibile avvicinarsi: i soldati israeliani, infatti, ogni mattina e sera controllano che non ci siano impronte sulla sabbia che è stata messa attorno alla recinzione. A pochi chilometri da Rafat c'è il villaggio di Anatan: qui il muro ha tagliato in due la scuola pubblica. Ad Anatan vive Khaled. Ha 23 anni e sei mesi fa ha spostato Layla, una ragazza di un villaggio vicino. Però il muro li ha separati e la ragazza non ha il permesso di venire a casa sua, nella sua famiglia, da suo marito perché Layla abita in quel villaggio che è stato separato da quel muro. All'ombra del Muro quella che prende sempre più corpo, giorno dopo giorno, è la politica dei fatti compiuti, delle scelte irreversibili, unilaterali, che svuotano di ogni significato concreto un (ipotetico) negoziato. La realizzazione del Muro ha significato, tra l'altro, questo: lo sradicamento di 108.474 alberi di ulivo e limoni palestinesi; la demolizione di 324Kmq2 di serre e 43 km. di condutture; almeno 121 città e villaggi palestinesi sono stati, finora, danneggiati dal Muro, che li ha privati della loro terra e delle proprie risorse.
Dei 51 villaggi e città palestinesi che si trovano lungo il percorso della prima fase di costruzione del muro, 29 sono stati separati da più della metà della loro terra. Una volta completato il Muro circonderà circa il 57% della Cisgiordania. E sancirà la fine di ogni speranza (o illusione) di una pace fondata su due Stati. «È il tracciato a svelare la finalità vera del Muro: l'annessione di fatto a Israele di una parte della Cisgiordania», ci dice Mustafa Barghuti, ministro dell'Informazione dell'Anp. E così, nell'impotenza della politica, nella latitanza della diplomazia internazionale, la Cisgiordania è un puzzle di mille ghetti e Israele «cementifica» la sua sicurezza. Cementifica, nel senso, per nulla metaforico, di cemento armato. Quello che dalla Cisgiordania si vorrebbe estendere a Sderot - la cittadina ai confini della Striscia di Gaza bersagliata quotidianamente dai Qassam palestinesi - e magari anche a Netivot e alla vicina Ashqelom (110mila abitanti) che Hamas minaccia di colpire con una pioggia di razzi. «Che fare allora? - si è interrogato il ministro Benjamin Ben Eliezer -. Fortificare tutto? Fortificare magari anche la Galilea, perché è esposta ai razzi Hezbollah? Fortificare con cemento mezzo Israele?». Quel cemento potrà servire per innalzare nuovi Muri, ma di certo affonderà ciò che resta di un sogno chiamato convivenza.
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