C'è chi crede al "significato politico" del plebiscito per Assad
e pensa che sia Bush a impedire la democratizzazione della Siria
Testata:
Data: 31/05/2007
Pagina: 7
Autore: Piero Celi
Titolo: Damasco, plebiscito per il giovane Assad Ma resta la spina della pace con Israele
Il RIFORMISTA del 31 maggio 2007 pubblica un articolo sulla Siria .
Il plebiscito per Bashar Assad , candidato unico alla presidenza, viene presentato come un fatto politico, non come la farsa che è.

Si accenna al  ruolo della polizia segreta e della paura, ma secondo l'autore dell'articolo questo elemento conta quanto
"l'atteggiamento ostile di molti paesi occidentali amministrazione Bush in testa" che "non contribuisce certo a processi di democratizzazione, e compatta la popolazione che si sente sotto mira" . Nessun cenno al ruolo delle propaganda.

Nelle relazioni internazionali, la Siria viene presentata come uno stato preoccupato di fare la pace con Israele. Nessun cenno al sostegno al terrorismo di Hezbollah, di Hamas e di altri gruppi palestinesi.

Ecco il testo:

(Damasco. Il referendum per la riconferma di Bashar al-Assad alla carica di presidente della repubblica siriana è stato prevedibilmente un plebiscito: il 97,62% degli 11.190.000 votanti ha risposto sì alla domanda riportata sulla scheda: «Approvate la candidatura del dottor Bashar al-Assad per la carica di presidente della repubblica?». Non stupisca questa formula. La legge del paese prevede che i candidati a presidente siano scelti dal Parlamento, che il 10 maggio scorso all'unanimità ha votato il solo Bashar. Per questa ragione il dato politicamente più rilevante è quello dell'affluenza alle urne, che ha raggiunto il 96%. Un dato in netta controtendenza rispetto alle elezioni legislative di poco più di un mese fa, quando l'affluenza al voto non raggiunse neppure il 50%. L'opposizione siriana aveva chiesto di disertare entrambe le consultazioni, ma questa volta il suo appello sembra essere rimasto inascoltato. Molte le ragioni del successo di questo voto. Prima tra tutte la presenza capillare e il controllo totale degli apparati dello stato.
Un medico con tranquillità ha raccontato: «Non accade nulla se non voti il presidente, ma qualcuno se lo può ricordare il giorno che hai bisogno di qualcosa». Pesa anche, e molto, il quadro politico internazionale. L'atteggiamento ostile di molti paesi occidentali, amministrazione Bush in testa, non contribuisce certo a processi di democratizzazione, e compatta la popolazione che si sente sotto mira. Il giorno prima del voto, un professore legato all'opposizione ci diceva: «Sette anni fa non ho votato, domenica penso di farlo. Sono cambiate le condizioni. Allora protestavo per chiedere libertà, oggi voto per difendere dalle pressioni esterne e interne due valori senza i quali non può esserci libertà: sicurezza del paese e uno stato mediorientale laico». Infine, non può essere negato il sostegno sincero che una parte della popolazione dà al giovane presidente. Bashar al-Assad non era predestinato a guidare il paese, ma la morte in un incidente stradale del fratello maggiore, Basel, lo ha trasformato nel successore del padre Hafez al-Assad.
Nel 2000, per il suo primo mandato, il parlamento siriano fu costretto a modificare la costituzione. I suoi 34 anni non gli permettevano di essere eletto. Oggi, alla vigilia del suo secondo mandato, si può tentare un bilancio. All'inizio del mandato Bashar sembrava voler avviare un rapido processo di trasformazione politica ed economica della Siria. Contro ogni cambiamento si schierarono sia la vecchia nomenclatura del partito Baath, al governo dal 1963, sia le gerarchie militari. Sotto questa spinta, sommata a quella di chi in Medio Oriente e in Occidente vedeva di buon occhio la destabilizzazione del paese, Bashar al-Assad ha frenato sulla strada delle riforme istituzionali. È andato invece avanti con le riforme economiche, raggiungendo risultati interessanti. Molto si deve alla nomina di Abdallah Dardari a vicepresidente e ministro delle Finanze. Un modernizzatore che ha avviato la lenta, ma costante, trasformazione dall'economia statalista, verso quella di mercato. In politica estera Bashar al-Assad ha mostrato tutta la sua abilità.
Nel 2003, all'indomani dell'invasione dell'Iraq, nessuno avrebbe puntato sulla sopravvivenza del governo di Assad. Gli Stati Unti di George Bush puntavano al suo abbattimento, anche a costo di una nuova guerra. Il presidente siriano ha dovuto anche affrontare la crisi libanese, esplosa con l'assassinio dell'ex premier Rafiq Hariri nel 2005. Il ritiro delle proprie truppe dal Libano ha significato una vittoria personale sui potenti vertici militari, anche se non è stato sufficiente a scongiurare un clima internazionale molto ostile a Damasco. Oggi, però, gli Usa hanno dovuto riconoscere che senza la collaborazione della Siria non è possibile costruire la stabilità dell'Iraq. La visita a Damasco della presidente della Camera dei Rappresentanti Usa, Nancy Pelosi, e i successivi colloqui tra il segretario di stato Condoleezza Rice e il suo omologo siriano, Walid Moallem, hanno rafforzato il ruolo di Bashar al-Assad. Contemporaneamente, l'appoggio più o meno esplicito a Hezbollah in Libano, e a Hamas in Palestina, permette alla Siria di mantenere un ruolo centrale per la costruzione degli equilibri futuri della regione.
Per far sì che vada in porto il progetto ambizioso di fare della Siria un interlocutore indispensabile per la pace in Medio Oriente, Bashar al-Assad deve ora risolvere due problemi: l'apertura democratica all'interno; la questione del Golan e, quindi, la pace con Israele.


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