Il futuro di Israele secondo Zeev Sternhell
storico israeliano schierato a sinistra
Testata:
Data: 31/05/2007
Pagina: 12
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Israele non ha più leader Il Labour deve ritrovarsi»
Intervista di Umberto De Giovannangeli allo storico israeliano Zeev Sternhel, dall'UNITA' del 31 maggio 2007:

DI ISRAELE è uno degli storici più affermati su scala internazionale. Della sinistra, è uno degli studiosi più intelligentemente critici. Parliamo di Zeev Sternhell, storico, docente di Scienze politiche all’Università ebraica di Gerusalemme, autore di numerosi libri
di successo, tra i quali ricordiamo «Nascita di Israele: miti, storia, contraddizioni» (Baldini&Castoldi) e il recente «Contro l’Illuminismo. Dal XVIII secolo alla Guerra fredda» (Baldini, Castoldi, Dalai editore). Con Sternhell proseguiamo la riflessione, avviata con l’intervista ad Avraham Bet Yehoshua, su «dove va Israele» e, in particolare, la sinistra israeliana. «Il fallimento di Amir Peretz - riflette Sternhell - ci riporta indietro di anni. Ma è anche un fatto che la politica israeliana non è più capace di produrre figure di alto livello. Questo deficit di leadership accomuna sinistra, centro e destra».
Dopo il primo turno delle primarie del Labour, in corsa per la successione di Amir Peretz sono rimasti Ehud Barak e Ami Ayalon. Che significato potrebbe assumere la leadership di ognuno dei due per il futuro di Israele?
«Lei giustamente parla del futuro di Israele e non del partito Laburista. Queste primarie vanno infatti lette in questa chiave: la scelta del leader che dovrà confrontarsi innanzi tutto con la necessità di riformare il partito per offrire una reale alternativa per il futuro di Israele. Ci si aspettava che Amir Peretz avviasse questo processo e invece ci ha causato una grandissima delusione. Ognuno dei due personaggi ha i suoi punti di forza e le sue debolezze. Barak porta in dote la sua esperienza politica di primo ministro e di ministro degli Esteri, laddove non è chiaro se questa esperienza - vissuta da gran parte dell’opinione pubblica negativamente - giochi a suo favore o a suo sfavore. In ogni caso, la sua posizione politica più orientata verso il centro potrebbe essere un punto a suo favore nella convivenza che dovrà avvenire con Kadima e con Olmert, con cui Barak non ha problemi di sorta e verso il quale non ha alcuna seria rimostranza. Inoltre, nel futuro testa a testa con Netanyahu (il leader del partito di destra Likud, ndr.) penso che Barak abbia più probabilità di spuntarla di Ayalon. Il valore aggiunto di Ayalon sta nel fatto di non venire dal mondo politico, di essere un volto nuovo, con un passato pulito e tanti buoni propositi. In un periodo in cui la classe politica si trova al minimo della popolarità per il gran numero di inchieste per corruzione, queste qualità potrebbero essere determinanti. Certo, ci sono anche suoi i punti deboli: soprattutto la sua inesperienza politica e la sua posizione politico-ideologica nell’ambito del conflitto israelo-palestinese; sono in molti a considerarlo troppo spostato a sinistra. La grande domanda, proiettata verso le prossime elezioni generali, è se nel tempo che avrà a disposizione prima di andare alle urne, saprà conquistarsi la fiducia degli elettori di centro, oppure questi si rivolgeranno a Netanyahu. Di sicuro, quando sarà il momento, sarà fondamentale anche l’atmosfera che regnerà in quel frangente: Barak è sentito come più affidabile in guerra, mentre Ayalon potrebbe avere i suoi vantaggi in una situazione in cui si è alla ricerca di formule per la pace».
La crisi del Labour viene da lontano. Che strada dovrebbe intraprendere, a suo avviso, il nuovo leader laburista per provare a riportare il partito alla guida di Israele?
«Nel maggio del 1977, con la prima salita al potere del Likud, il Labour ha perso la sua strada e non l’ha mai più trovata e ancora peggio, non l’ha mai seriamente cercata. Innanzi tutto dovrà quindi assicurare un rinnovamento intellettuale, ideologico e morale che arrivi fino alle radici del partito. È un bisogno che esisteva sin dalla nascita dello Stato d’Israele, ma fino al 1977 il partito Laburista aveva vissuto sul credito di meriti che gli venivano da quanto fatto per la costituzione dello Stato e nella lotta per l’indipendenza. Questo credito si è ormai esaurito da tempo e per questo è necessario costituire una nuovo capitale ideologico, intellettuale programmatico e politico. Tutte cose che il partito Laburista in questo momento non ha. Il partito deve ricostruirsi dalle basi per poter rappresentare una vera alternativa al Likud e a Kadima. Deve ridiventare un partito con un’ampia visione d’insieme; il dibattito sul conflitto con i palestinesi, per esempio, non dovrà ridursi a quanti metri a est o a ovest dovrà passare il futuro confine, ma dovrà servire a gettare le basi ideologiche, storiche, filosofiche e morali per una futura convivenza pacifica fra i due Stati. Temo comunque che tutto ciò non sarà possibile con questa leadership la quale nella sua quasi totalità, usando un eufemismo, non è sempre all’altezza. Anche in questo Peretz ha fallito, quando ha preferito riciclare le figure politiche il cui maggiore merito era di avere centri di forza e influenza all’interno del partito, e ha messo da parte personaggi nuovi e "puliti" come Braverman (economista, ex rettore dell’Università Ben Gurion, ndr.) e lo stesso Ayalon. Insomma, servono valori, visione strategica, leadership capace e coraggio. Anche il coraggio di scegliere - se necessario - di sedere sui banchi dell’opposizione».
A contendersi la guida del Labour sono un ammiraglio ed ex capo di Shin Bet (Ayalon) e un generale pluridecorato (Barak). Ciò dimostra che Israele non può fare a meno di militari alla leadership del Paese?
«La mia speranza è proprio che in futuro possa farne a meno, ma evidentemente i tempi non sono ancora maturi. A chi mi chiede spiegazioni sulla mia delusione per Amir Peretz, rispondo che forse questa è la cosa che gli rimprovero più di ogni altra, più ancora degli errori fatti nella Guerra del Libano. Il sogno proibito della sinistra israeliana si è infranto contro scelte errate e circostanze impossibili e, comunque sia, il fallimento di Peretz ci riporta indietro di anni. Ma è anche un fatto che la politica israeliana non è più né capace di produrre figure di alto livello e né risulta attrattiva per personaggi di valore che provengono dall’esterno. L’esercito rappresenta purtroppo l’eccezione quasi unica a questa regola e in questo momento colma quasi da solo gli spazi di maggiore qualità della leadership. Dietro questi personaggi, lo dico con rammarico, non vedo niente di meglio. Il popolo, e primi fra tutti i giovani, per rimanere nella situazione in cui siamo, non ha bisogno di nuove figure, può accontentarsi degli Olmert, dei Netanyahu e anche dei Barak».
Nelle ultime settimane sono ripresi gli arresti da parte israeliana di ministri e parlamentari di Hamas.
«Siamo alle solite: si cerca di mascherare l’impotenza politica con l’esercizio della forza militare. In passato, la "politica" delle eliminazioni mirate ha finito per rafforzare Hamas e i gruppi radicali palestinesi. Possiamo anche uccidere o incarcerare tutti i ministri di Hamas ma ci chiediamo poi chi oserà far parte di un governo "collaborazionista"? O riteniamo davvero che Abu Mazen possa trasformarsi in un Pétain palestinese? L’impotenza della forza (militare) sta trasformando Gaza in una sorta di "Somalia" mediorientale: un avamposto dell’inferno, in cui covano rabbia, frustrazione, odio, desiderio di vendetta. Una miscela esplosiva - manipolabile dai vari Bin Laden, Ahmadinejad, Nasrallah… - che mette a rischio Israele molto più di un primo ministro di Hamas. Se a Gaza muore la speranza, saranno altri, non certo Israele, a trarne giovamento».

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