E' il terrorismo la più grave minaccia ai diritti umani
ma Amnesty international rifiuta di accorgersene
Testata:
Data: 24/05/2007
Pagina: 1
Autore: Irene Khan
Titolo: La politica della paura

La lotta al terrorismo  e l'ingiustificata paura che il terrorismo stesso suscita. La barriera di separazione di Israele, la politica degli Stati Uniti.
Per Irene Khan, Segretario Generale di Amnesty International. sono queste le principali minacce ai diritti umani nel mondo.
Nessuna comprensione del fatto che, oggi, la più grave e generalizzata minaccia ai diritti umani è proprio il terrorismo.
Ecco l'articolo, pubblicato in prima pagina dall'UNITA' del 24 maggio 2007:

Un muro è in costruzione a Baghdad, una palizzata-muro esiste già in Israele e nei Territori occupati, un altro muro è previsto lungo il confine tra il Messico e gli Stati Uniti, un altro ancora è già in funzione tra Ceuta e Melilla e una sorta di barriera sull’acqua è in via di costruzione ad opera delle imbarcazioni di pattugliamento della Frontex. I muri e le barriere presenti nel mondo nel 2006 ci ricordano le divisioni che esistevano all’epoca della Guerra fredda. Come ai tempi della Guerra fredda, l’agenda politica è determinata dalla paura istigata, incoraggiata e sostenuta da leader privi di principi. Per questa ragione la paura è al centro del Rapporto 2007 di Amnesty International.
La paura può essere un imperativo positivo quando spinge al cambiamento, come nel caso dell’ambiente dove l’allarme per il riscaldamento globale sta costringendo i politici ad entrare in azione sia pure in ritardo.
segue M
a la paura può essere anche pericolosa e può determinare divisioni quando alimenta l’intolleranza, minaccia le diversità e giustifica l’attacco ai diritti umani. Oggi fin troppi leader calpestano la libertà e diffondono una serie crescente di paure: paura di essere travolti dagli immigranti; paura “dell’altro” e di perdere la propria identità; paura di saltare in aria ad opera dei terroristi; paura degli “Stati canaglia” in possesso di armi di distruzione di massa.
La paura trionfa dove la leadership è miope e vigliacca. Molte sono le cause reali della paura, ma l’approccio di molti leader mondiali è miope in quanto consiste nel mettere in campo politiche e strategie che indeboliscono lo Stato di diritto e i diritti umani, accrescono le disuguaglianze, alimentano il razzismo e la xenofobia, dividono e danneggiano le comunità e gettano il seme della violenza e di altri conflitti.
La politica della paura è stata resa più complessa dall’emergere di gruppi armati e grossi interessi finanziari che violano o tollerano la violazione dei diritti umani. Entrambi in modi diversi sfidano il potere dei governi in un mondo sempre più senza frontiere. Governi deboli e istituzioni internazionali inefficienti non sono in grado di tenerli sotto controllo con la conseguenza che i cittadini sono vulnerabili e spaventati. La storia dimostra che non è con la paura, ma con la speranza e l’ottimismo che si ottiene il progresso.
Eppure i leader promuovono la paura perché consente loro di consolidare il loro potere, di creare false certezze e di non rispondere del proprio operato.
Proteggere la sicurezza degli Stati invece delle condizioni di vita della gente sembra essere all’ordine del giorno. Nei Paesi sviluppati così come nelle economie emergenti, la paura di essere invasi da orde di poveri viene usata per giustificare misure sempre più dure contro gli immigranti, i rifugiati, i richiedenti asilo violando le norme internazionali in materia di diritti umani e di trattamento umano delle persone.
A causa degli imperativi politici e di sicurezza in materia di controllo delle frontiere, le procedure di asilo sono diventate strumento di esclusione e non piu' di tutela. In tutta Europa è diminuito drammaticamente nel corso degli anni il numero dei riconoscimenti dello stato di rifugiato anche se le ragioni per chiedere asilo, la violenza e le persecuzioni sono in costante crescita.
I lavoratori migranti alimentano il motore dell’economia globale eppure vengono allontanati con l’uso della forza, sfruttati, discriminati e lasciati senza protezione dai governi di molte parti del mondo, dagli Stati del Golfo, alla Corea del Sud, alla Repubblica Dominicana.
Seimila africani sono annegati o sono scomparsi in mare nel 2006 nel disperato tentativo di arrivare in Europa. Altri 31.000 - sei volte di più che nel 2005 - sono sbarcati alle Canarie. Così come il muro di Berlino non riusciva a fermare quanti volevano fuggire dall’oppressione comunista, le dure politiche di controllo delle frontiere europee non riescono a bloccare quanti tentano di fuggire dalla miseria più nera.
Se una migrazione incontrollata è la paura dei ricchi, il capitalismo selvaggio sollecitato da una globalizzazione priva di etica è la paura dei poveri. I benefici della globalizzazione restano pesantemente distorti e gran parte dell’umanità risulta emarginata e vulnerabile.
Mentre lo sfruttamento minerario, l’urbanizzazione e il turismo mettono pressione sulla terra in Africa, Asia e America Latina, intere comunità vengono cacciate dalle loro case con un uso della forza spesso eccessivo, senza risarcimento né soluzioni abitative alternative. Nella sola Africa a far tempo dal 2000, oltre 3 milioni di persone sono state colpite da questo fenomeno tanto che l’allontanamento forzato dalla propria casa è diventata una delle più diffuse e ignorate violazioni dei diritti umani del continente. Sebbene i ricchi diventino ogni giorni più ricchi, non necessariamente si sentono più sicuri. L’aumento della criminalità e della violenza armata sono una fonte costante di paura ragion per cui molti governi adottano politiche presumibilmente dure nei confronti della criminalità, ma che in realtà criminalizzano i poveri esponendoli al doppio rischio della violenza delle bande e della brutalità della polizia come in Brasile. Mentre queste fonti di insicurezza continuano ad affliggere il mondo, i governi più potenti investono energie e risorse nella “guerra al terrore” che mina proprio quei diritti umani che potrebbero garantire la sicurezza a tutti.
La “guerra al terrore” e la guerra in Iraq con il loro catalogo di violazioni di diritti umani, hanno creato profonde divisioni che gettano un’ombra sulle relazioni internazionali rendendo più difficile la soluzione dei conflitti e la tutela dei civili. Di ciò si sono avute ripetute dimostrazioni nel 2006 con la comunità internazionale troppo spesso impotente o inefficace al cospetto di gravi crisi dei diritti umani vuoi in conflitti dimenticati quali quelli della Cecenia, della Colombia e dello Sri Lanka vuoi in conflitti sotto gli occhi di tutti come quelli che sconvolgono il Medio Oriente.
Il fallimento collettivo della leadership si manifesta in maniera tragica nel Darfur dove sono morte oltre 200.000 persone e oltre due milioni sono state costrette ad abbandonare le loro case mentre la violenza sta dilagando nel Ciad e nella Repubblica Centro Africana. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è ostacolato dalla sfiducia e dalle divisioni tra i suoi membri più potenti e Khartoum continua a fare il bello e il cattivo tempo.
In un mondo interdipendente, le sfide globali in materia di povertà o sicurezza, di migrazione o di emarginazione, richiedono risposte fondate su valori globali in tema di diritti umani in grado di unire le persone e di promuovere il benessere collettivo. I diritti umani sono il fondamento di un futuro sostenibile.
La società civile fa la sua parte vuoi organizzando una campagna coronata da successo per la firma di un trattato per il controllo della vendita delle armi convenzionali, vuoi contribuendo alla fine al conflitto in Nepal che andava avanti da un decennio.
I leader politici debbono mettere a frutto l’esperienza della società civile e riconoscere che solamente un impegno comune fondato su valori condivisi può portare ad una soluzione sostenibile. Le cose possono essere diverse: nuovi leader e nuovi parlamenti, come negli Stati Uniti, in Francia e nel Regno Unito, hanno la possibilità di cambiare rotta e mettere la speranza al posto della paura. C’é anche la possibilità di stringere alleanze con paesi come il Brasile, l’India e il Messico. Il nuovo Segretario generale delle Nazioni Unite dovrebbe assumere un ruolo guida nella tutela dei diritti umani.
Se ci si vuole impegnare seriamente bisogna battersi per la chiusura del campo di detenzione di Guantanamo Bay, per la promozione di un approccio esaustivo al problema del Darfur incentrato sulla protezione dei civili e per una soluzione del conflitto in Israele e nei Territori occupati fondata sui diritti umani.
Così come il riscaldamento globale richiede una azione basata sulla cooperazione internazionale, il degrado dei diritti umani può essere affrontato solamente tramite la solidarietà globale e il rispetto del diritto internazionale.

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail all'Unità

lettere@unita.it