Dal FOGLIO del 15 maggio 2007, Giulio Meotti intervista Ayaan Hirsi Ali:
E’ dal gennaio del 2003 che Ayaan Hirsi Ali cammina guardandosi le spalle. Da quando il quotidiano Trouw pubblicò un’intervista in cui riservava parole durissime all’islam. Nella segreteria telefonica trovò il messaggio di un arabo che minacciava di farle saltare in aria la casa. La polizia organizzò ronde per difenderla. Era impreparata alla caccia scatenata contro la più celebre dissidente islamica. Una fatwa che nel paese di Spinoza si concluderà con il suo esilio negli Stati Uniti. Dopo quattro anni, anni trascorsi in basi navali e caserme militari, Ayaan vive protetta dalla scorta. Anche adesso che abita a Washington, anche in Italia dove è venuta a presentare il suo “Infedele” (Rizzoli). Era lei l’obiettivo di Mohammed Bouyeri. Troppo protetta, fu scelto l’amico e collega Theo van Gogh. Lasciò una lettera infilzata sul suo petto, rivolta alla “guerriera del male” Hirsi Ali, “malefica infedele”. Il testo si apriva con le parole “Nel nome di Allah clemente misericordioso”, seguite da una citazione del Profeta. Poi l’elenco di tutti i “crimini” che Ayaan aveva commesso. Contro di lei si sono scomodati gli ambasciatori di Malesia, Pakistan e Arabia Saudita, che ne hanno chiesto l’espulsione al governo dell’Aia. Non c’è alcun terrore sul suo volto, ma la luce rincuorante di una giovane donna abituata a sentirsi chiamare “aswad abda”, schiava nera, durante il periodo trascorso fra i custodi dei luoghi santi dell’islam. Abituata a vivere anche nel cortile dell’ambasciata d’Israele all’Aia. Nell’intervista che segue concessa al Foglio, questa partigiana somala stile Gertrude Bell dice che rifarebbe il film “Submission”, costato la vita a Van Gogh. Ayaan parla la lingua di un ghetto vivo che reclama libertà. “Il mio è stato un viaggio dalla sottomissione all’islam, al clan e alla famiglia verso la possibilità di determinare il mio destino. Ho lasciato il mondo della mutilazione genitale per quello della ragione. Sto lavorando a un nuovo libro e al sequel del film. Il primo era sulle donne. Il secondo su quattro uomini: uno che odia gli ebrei, un gay, un bon vivant e un martire. Dobbiamo girarlo nell’anonimato. Dagli attori ai tec- nici, nessuno sarà riconoscibile”. Non è pentita del lavoro realizzato con quell’olandese dal nome altisonante. “Chi dice che il film era offensivo non vuole vedere la condizione delle donne nell’islam. I versetti che incitano alla violenza li ho presi dal Corano e li ho incisi sul corpo della protagonista. Non ho inventato nulla. Gli imam ripetono quel messaggio nelle moschee, mariti e fratelli perpetuano nelle case la sottomissione”. Ayaan non partecipò al funerale di Theo. Avrebbe messo a rischio la vita degli altri. Le fu concesso un saluto all’obitorio. “Arrivai con un convoglio di automobili e una schiera di uomini armati. Lo baciai sulla fronte e gli dissi: ‘Perdonami per quello che ti ho fatto’”. Durante la commemorazione, la madre di Theo si rivolse simbolicamente ad Ayaan. “Disse che non dovevo sentirmi in colpa per l’omicidio del figlio: erano quindici anni che veniva minacciato. Mi chiamò per nome, si rivolse a me direttamente: mi disse di portare avanti la mia missione. Dopo qualche giorno scrissi una lettera alla famiglia di Theo. Gli uomini della sicurezza la lessero, prima di recapitarla, per controllare che non ci fosse alcun indizio che potesse rivelare dove mi trovavo”. E’ la vita di “una delle donne più coraggiose del nostro tempo”, secondo la definizione del Jerusalem Post. Quando il personale di un hotel scopre chi è, la scorta la fa subito trasferire. Ayaan Hirsi Ali non aveva nulla in contrario a che Tariq Ramadan parlasse in un Festival della filosofia, come è successo a Roma: “Credo nella libertà di opinione, è questo ciò che mi ha insegnato l’occidente. Anche se le idee sono orribili. Le persone possono ascoltare e giudicare. Però deve esserci contraddittorio. Ramadan è in cerca di proseliti. E’ un seguace della ‘dawa’, la chiamata, le terre non islamiche come zona di conquista, ogni convertito ha l’obbligo di predicare l’islam agli altri. E non è un ‘riformista’: non mette in discussione il fatto che Maometto avesse per moglie una bambina di nove anni, non denuncia l’uccisione di ebrei, omosessuali, ‘infedeli’ e il jihad. Come Ramadan è lo sceicco Yusuf al Qaradawi. Dice che l’apostata non ha diritto di vivere. E’ la fine che dovrei fare io. Per gli agenti dell’islam, quelli che vogliono creare un califfato, non importa che tu sia conservatore o liberal. Sei comunque ‘infedele’. L’occidente può vincere solo se prima riconosce di essere in guerra. Una guerra contro una mentalità, un’ideologia, una filosofia. L’islam ha tre metodi di conquista: la ‘dawa’, la natalità e il jihad. Dobbiamo dichiarare guerra alla propaganda islamista”. Ayaan parla della funzione della dissidenza contro il “nuovo totalitarismo”, a Berlino tenne un discorso memorabile su questo tema. “I dissidenti sono importanti come lo erano durante il comunismo. Gli unici che mettono in discussione la cultura del martirio e del jihad. Ma la società occidentale preferisce affidarsi a gente come Ramadan: non si parla con un apostata, non si dà credito a chi è uscito dall’islam, i dissidenti sono pazzi. E’ quello che si diceva di quelli russi. Erano pochi e oppressi, i liberal ne fecero una caricatura. I nostri avversari ricorrono a ogni genere di manipolazione, dicono che siamo deboli di mente. Anche i difensori del comunismo usavano questi metodi. Mi hanno accusato di aver creato un ‘trauma’. Dipendono da me le Torri gemelle abbattute con tremila persoone o le vittime di Londra nel 2005?”. Si parla spesso di “equivalenza di fondamentalismi”. “Il relativismo non è altro che razzismo di basse aspettative. La sinistra crede che musulmani, arabi e gente di colore non vadano trattati come adulti. Prendi Paul Wolfowitz e il linciaggio a cui è stato sottoposto con la compagna Shaha. Kofi Annan era un corrotto e suo figlio era in affari con Saddam Hussein. Ma nessuno gli ha mai chiesto di dimettersi. Questo vale anche per gente come Ian Buruma e Timothy Garton Ash, che mi accusano di essere una fanatica dell’illuminismo. Sono cresciuti in un ambiente in cui era di moda e scontato criticare la cristianità. Però dicono che non dobbiamo mettere in discussione l’islam”. La famiglia di Ayaan possedeva una pecora. “La prendevo di punta e scappava. Mia nonna diceva: ‘Accarezzala sulla fronte’. Così diventava mansueta. E’ quello che stiamo facendo con l’islam, lo accarezziamo nella speranza che non attacchi. In Africa usavamo gli animali come metafora. Per lo struzzo ci sarà un islam europeo. Un islam stile Prada sostituità quello rurale. Il gufo, l’animale notturno che attraversa le tenebre, vede invece ciò che lo struzzo ignora. Come il successo del totalitarismo islamista”. L’ex ministro della Giustizia olandese, Piet Hein Donner, dice che se i musulmani fossero maggioranza, la sharia potrebbe essere adottata per vie democratiche. “Sono le parole di chi ha conosciuto solo la libertà. E ha smesso di darle valore. Ma sono dei musulmani i primi sospetti sui liberal, sanno che non li prendono sul serio. I liberal vorrebbero rendere uguali a loro tutti i musulmani”. La “colpa” di Ayaan è aver attaccato il cuore dell’islam. “A Beslan, Madrid, Bali o nel caso dei cristiani sgozzati in Turchia non vi è odio all’opera, ma la fede. Gli assassini degli innocenti credono di avere mandato divino. L’islam ha caratteristiche che possono coesistere con la democrazia. Mi è stato insegnato a essere generosa con i vecchi e i poveri. Ma i principi fondamentali dell’islam e della democrazia sono incompatibili. Ha visto cos’è successo a Robert Redeker? Linciato. I vignettisti danesi vivono in clandestinità. L’unica distinzione è fra l’islam e i musulmani, non credo in una riforma della fede. Ricordo in Arabia Saudita le impiccagioni, il taglio delle mani, le donne lapidate. Il rispetto letterale del Profeta è incompatibile con i diritti umani. Credo invece nella persona, nel musulmano. A lui è concesso di cambiare, come a me, cresciuta nell’odio degli ebrei”. Il suo nome in somalo significa “fortunata”. In un inglese macchiato dalla malinconia dell’esilio che la spinge a chiamare Amsterdam con il nome ebraico di Mokum, Ayaan dice di aver maturato un amore atletico per l’America. “Un paese dove non conta colore, sesso o religione. L’America è un concetto di libertà. Non ho intenzione di lasciarla. L’occidente dà per scontata la libertà. Deve proteggerla dai predatori. Ho sostenuto la guerra in Iraq e continuo a farlo. Detesto la codardia di chi votò per la liberazione di Baghdad e oggi balbetta: ‘Sono contrario sono contrario’. Sono solo degli stupidi”. Il giorno dopo la visita al corpo di Theo all’obitorio, Ayaan fu portata in un centro per l’addestramento degli agenti di polizia nei pressi di Hoogerheide. Passò la notte in una delle cuccette. Le tornarono in mente le parole di Theo alla fine delle riprese: “Sono fiero del mio lavoro”. Quella speciale fierezza che lei adesso predica in giro per il mondo, nobile ambasciatrice di un’idea che ha imparato a difendere come pochi altri sanno fare. La libertà.
Di seguito un articolo di Francesco De Remigis su un gruppo di musulmani tedeschi che si oppongono al fondamentalismo: