Umberto De Giovannangeli dedica sull'UNITA' del 14 maggio 2007 un articolo incentrato sull'interpretazione malevola di un sondaggio d'opinione i cui risultati sono stati pubblicati dal Jerusalem Post.
Che il 64% degli israeliani non sia disposto a cedere Gerusalemme al futuro stato palestinese non significa che siano "pronti alla guerra" per lei.
Significa solo che non sono disposti a cedere al ricatto: "o rinunciate alla capitale storica d'Israele o comntinueremo a combattervi e a uccidervi".
Del resto, perché u.d.g. non si pone la domanda contraria ? Quanti palestinesi sono disposti a rinunciare a Gerusalemme per ottenere la pace con Israele ?
Che gran parte degli israeliani, soprattutto tra i laici, non intenda tarsferirsi a Gerusalemme, non significa che non vi sia chi invece è più che disposto a vivere nella città. E che il governo israeliano non sia legittimato a difendere i diritti, anche religiosi, di questi suoi cittadini.
Ecco il testo:
ODIO E AMORE. Rigetto e possesso. Per «lei» si è pronti anche a una nuova guerra. Ma con «lei» non si è disposti a condividere la quotidianità. È Gerusalemme per gli israeliani. Il 78% di loro non vuole abitare a Gerusalemme ma al tempo stesso il 64% non
è disposto a cedere il controllo dei Luoghi Sacri ebraici anche a costo di rinunciare alla pace. È quanto emerge da un sondaggio d’opinione i cui risultati sono stati pubblicati nei giorni scorsi dal quotidiano Jerusalem Post. Dal sondaggio risulta che il 58% degli israeliani non prenderebbe in considerazione la possibilità di abitare a Gerusalemme; il 20% preferisce vivere altrove; il 21% sarebbe seriamente intenzionato a prendere in considerazione un trasferimento a Gerusalemme. I più contrari a trasferirsi a Gerusalemme sono gli ebrei laici e quelli meglio disposti gli ebrei ultraortodossi. Dal sondaggio risulta inoltre che più di metà degli israeliani si oppongono alla creazione di una barriera di sicurezza dentro Gerusalemme, anche se nel contesto di un accordo con i palestinesi. La popolazione di Gerusalemme conta attualmente 720mila persone, 475mila delle quali (il 66%) sono ebrei e 245mia arabi. La crescita di questi ultimi nell’ultimo decennio è stata più del doppio di quella degli ebrei.
Città contesa. Città che non conosce la parola «normalità». È Gerusalemme oggi. Oggi che Israele celebra i 40 anni della «riunificazione» della Città santa; riunificata da Tzahal con la vittoria nella Guerra dei Sei giorni (che ebbe inizio il 5 giugno 1967, ma le celebrazioni del 40mo anniversario sono state fissate per oggi sulla base del calendario ebraico). Città che, in un futuro non lontano, potrebbe trovarsi sotto il controllo di Hamas: questo l’avvertimento lanciato dal sindaco della città Uri Lupoliansky nella seduta domenicale del governo israeliano che è stata in parte dedicata al 40mo anniversario della sua unificazione. «Hamas sa che è possibile espugnare Gerusalemme già fra 12 anni grazie alla crescita demografica della popolazione palestinese» ha detto Lupoliansky ai ministri. Il premier Ehud Olmert ha assicurato al sindaco che è determinato a «rafforzare» Gerusalemme, e in particolare la presenza ebraica. A questo fine nei prossimi cinque anni saranno investiti, ha precisato, circa 5,75 miliardi di shekel (oltre un miliardo di euro). In via eccezionale il governo si è riunito ieri nel Centro studi Begin, di fronte alle mura della città vecchia. A Begin i ministri hanno riconosciuto il merito di aver operato per la unificazione di Gerusalemme sotto sovranità israeliana. Una sovranità sull’intera «Jerusalaim» che non trova il consenso della comunità internazionale. A nome dell’Unione europea, l’ambasciatore della Germania in Israele ha respinto un invito della Knesset (parlamento) per assistere oggi ad una cerimonia ufficiale di celebrazione del 40mo anniversario della riunificazione della città. All’origine della decisione dei diplomatici europei vi è l’annessione ad Israele del settore est di Gerusalemme, che non è mai stata riconosciuta dai loro Paesi. L' «offesa» è ancora più avvertita perchè a farsi attivo promotore del boicottaggio della cerimonia di Stato da parte del corpo diplomatico occidentale è stato proprio l’ambasciatore tedesco Harald Kinderman, presidente di turno della Ue. La Germania è considerata in Israele lo Stato più amico in Europa. Ed è diventata ancora più bruciante quando anche l'ambasciatore degli Stati Uniti Richard Jones ha annunciato che non avrebbe partecipato. Gli Stati Uniti sono notoriamente il maggiore sostenitore di Israele, che dà alle relazioni con Washington un'importanza strategica. Secondo fonti di stampa locali, solo una ventina di ambasciatori dei circa cento accreditati in Israele avrebbero annunciato la loro partecipazione alla cerimonia.
"Sovranità condivisa a Gerusalemme" propone Sari Nusseibeh a ccusando Israele di "bramosia di possesso assoluto ".
Ma vale la penza di ricordare che è con la sovranità israeliana a Gerusalemme che, per la prima volta nella storia, a Gerusalemme sono stati garantiti i diritti di tutte le confessioni religiose.
La "bramosia di possesso assoluto" non appartiene certo a Israele, ma piuttosto a chi è disposto a scatenare la violenza per impedire agli ebrei di pregare al Monte del Tempio e, quando ha potuto, ha impedito loro anche di pregare al Muro del Pianto
Ecco l'articolo:
«Se la pace è un riconoscersi reciproco; se la pace è l'antidoto più efficace contro la bramosia del possesso assoluto; se la pace è condivisione di sovranità, di identità, di simboli, se la pace è tutto questo, essa non può prescindere da una sovranità condivisa di Gerusalemme». A sostenerlo è Sari Nusseibeh, rettore dell’Università Al Quds di Gerusalemme Est, il più autorevole intellettuale palestinese. .
Israele celebra il 40mo della riunificazione di Gerusalemme. Cosa rappresenta questo anniversario per i palestinesi?
«Una ferita che non può cicatrizzarsi, un vulnus che segna la memoria collettiva di un popolo. Gerusalemme è il luogo dell'identità non solo per Israele ma per l’intero mondo arabo e musulmano. Di più. È la città santa per le tre grandi religioni monoteiste: per questo è inaccettabile che su Gerusalemme si eserciti quella bramosia di possesso assoluto che ha marchiato col sangue la storia millenaria di questa città, e che è l'humus su cui crescono tutti i fondamentalismi».
Cosa è Gerusalemme per una soluzione politica del conflitto israelo-palestinese?
«Uno snodo obbligato. Neanche il leader palestinese più disposto al compromesso potrebbe mai firmare un accordo di pace che escluda Gerusalemme. Nessun leader palestinese, neanche il più aperto alle ragioni di Israele, potrebbe mai pensare ad una pace fondata sul principio di due Stati, che non contempli Gerusalemme Est come capitale di uno Stato di Palestina indipendente…».
Qual è la «sua» Gerusalemme?
«È una città aperta, crocevia fecondo di culture, identità, religioni che si riconoscono e si rispettano. È una città che viene consacrata come patrimonio universale dell’umanità. E per ciò che concerne il suo status, penso a Gerusalemme come Roma…».
Nel senso?
«Roma è capitale di due Stati, l'Italia e il Vaticano. E lo è senza aver innalzato al proprio interno muri divisori. Sì, Gerusalemme potrebbe essere la Roma del Medio Oriente».
Qual è il presente per i palestinesi di Gerusalemme?
«Una realtà amara, perché Israele non ha mai dimesso il disegno di realizzare la Grande Gerusalemme ebraica, realizzando nuovi quartieri su terre palestinesi, costringendo centinaia di famiglie palestinesi a vendere le proprie case nella città vecchia. In questi anni abbiamo assistito ad un esodo silenzioso, e forzato, di migliaia di palestinesi da Gerusalemme. Una violenza inaccettabile che allontana la possibilità di una pace globale tra Israele e il mondo arabo, perché una pace globale non può prescindere da Gerusalemme».
Una definizione per Gerusalemme.
«Gerusalemme è la fascinazione della memoria, visitarla dà una emozione irripetibile, perché è un viaggio nel tempo, un viaggio che riporta alle radici non solo di tre grandi religioni, ma delle civiltà che su di esse si sono plasmate».
Gli ambasciatori dei Paesi dell'Ue hanno declinato l’invito a partecipare alle celebrazioni per la riunificazione di Gerusalemme.
«È una decisione importante, estremamente significativa sul piano politico perché ribadisce che questa “riunificazione” nasce da una decisione unilaterale di Israele che la comunità internazionale non ha mai avallato. Ed è importante, la posizione degli ambasciatori Ue, anche perché conferma che l’Europa può svolgere un importante ruolo di mediazione super partes nel rilancio di un percorso di pace in Medio Oriente. Un percorso che passa inevitabilmente per Gerusalemme».
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