Qualcuno vorrebbe che gli israeliani mettessero sotto accusa il proprio diritto a difendersi
invece, chiedono le dimissioni di chi ha condotto male la risposta all'aggressione di Hezbollah
Testata:
Data: 04/05/2007
Pagina: 0
Autore: Alberto Stabile - Eric Salerno - Michele Giorgio
Titolo: Israele, la piazza "licenzia" Olmert - Tel Aviv, in piazza per le dimissioni di Olmert - La piazza: Olmert via non ha vinto la guerra - Morti civili, bombe a grappolo e distruzioni: neanche una riga

Oggi chiedono le dimissioni del governo Olmert anche coloro che appoggiarono la guerra contro Hezbollah.
Per Alberto Stabile, che scrive su La REPUBBLICA (Israele, la piazza "licenzia" Olmert) ed  Eric Salerno, che scrive sul MESSAGGERO (Tel Aviv, in piazza per le dimissioni di Olmert) si tratta di una contraddizione.
Ma non è così: si può continuare a pensare che rispondere all'aggressione di Hezbollah sia stato giusto e necessario, e chiedere le dimissioni di chi ha guidato una campagna militare fallimentare.

Ecco il testo dell'articolo di Stabile:   

TEL AVIV - La piazza che nel corso degli anni ha raccontato i drammi della politica israeliana grida al primo ministro Olmert: «Vai a casa! Dimettiti!». Ma non è un grido di parte, soffocato da un vizio d´appartenenza, quello che sale da questa folla senza bandiere rosse, né casacche blu, né nastri arancione, ma dai tanti altri colori. Folla di cittadini israeliani, prima che militanti di questo o quel partito. Perciò non ha senso chiedersi se i 100 mila (secondo la polizia) o 150 mila (secondo gli organizzatori) scesi ieri sera a Piazza Rabin basteranno o no a spingere il primo ministro del «pasticcio libanese» a farsi da parte. È assai improbabile che un lottatore scaltro come Olmert, capace d´ignorare i giudizi al vetriolo del rapporto Wingrad, si lasci condizionare da una manifestazione.
Bastava vedere l´espressione impassibile del suo viso, alla Knesset, durante la seduta straordinaria del mattino. Dalla tribuna, il capo dell´opposizione, Benjamin Netanyahu, ringalluzzito dai sondaggi che lo danno sicuro vincitore in caso d´elezioni anticipate, menava fendenti contro il premier dalle «mani deboli», che non ha saputo «guidare il paese», al punto da concedere un vantaggio insperato ai nemici d´Israele. Dunque, non c´è altro da fare che «restituire il mandato al popolo».
Accanto a Olmert sedeva Tzipi Livni, ieri la sfidante numero uno al posto del primo ministro, oggi, nei commenti di tutti i giornali israeliani, la «grande delusione», «l´occasione sprecata» per vedere finalmente all´opera una nuova dirigenza politica, competente, determinata, moralmente inattaccabile. Ha commesso un errore, il ministro degli Esteri: ha chiesto a Olmert di dimettersi, ma, constatato il rifiuto del premier, lei stessa non ne ha tratto le doverose conclusioni. Un eccesso di cautela e un forte attaccamento alla poltrona, è ciò che le viene rimproverato.
Ma qui, su quello stesso palco da cui quasi 13 anni fa parlò per l´ultima volta Yitzhak Rabin e poi venne ucciso, non ci sono né Netanyahu, né Livni. Né le colombe di Meretz. Né i coloni del Consiglio di Giudea e Samaria (Yesha). Né qualcuno del molti che oggi contestano il governo anche se ieri, come ha scritto Aluf Benn, su Haaretz, si lasciarono trascinare dall´«entusiasmo belligerante» e dal desiderio di «dare una lezione a Nasrallah».
«Non sono graditi i comizi di parte», ha detto ai leader dell´opposizione Uzi Dayan (ex militare, nipote del mitico Moshé) fondatore del movimento Tafnit (svolta), una sorta di «mani pulite» israeliana, promotore della manifestazione. Perciò hanno scelto di non venire. Di contro, per una sorta di felice rimpallo, fa gli oratori c´è lo scrittore Meir Shalev, uno dei pochissimi intellettuali che si oppose sin dall´inizio alla guerra dichiarandosi a favore di un´operazione limitata lungo il confine.
«Ho deciso di accogliere l´invito a parlare - dice l´autore di "E fiorirà il deserto" - solo quando ho saputo che i politici non sarebbero venuti. Signor Olmert, lei è licenziato».
Perché la piazza stasera è di tutti, gente di desta e di sinistra, conservatori e progressisti, laici e religiosi. Per una volta le teste contano più delle tessere. I sentimenti più delle ideologie.
E il sentimento prevalente è quello che i giovani riservisti che hanno combattuto in Libano hanno riassunto nello striscione steso sul palco: «Falliti, a casa». Uno slogan da cui si vedono rappresentati non soltanto quanti sono stati direttamente coinvolti nella guerra, ma anche, ad esempio, i movimenti per il buon governo e tutti coloro che davanti alle inchieste che sommergono la dirigenza del paese semplicemente credono che la misura sia ormai colma. «Elezioni subito».
Ma sono loro, quelli che hanno combattuto in Libano la prima guerra "non vinta" nella storia israeliana, al centro della scena. La loro lista di accuse è lunga. Shalom Moskovitc, 26 anni, studente d´ingegneria elettronica, sottufficiale del battaglione Alexandroni, un´unità di élite della fanteria: «Siamo rimasti per 34 giorni dentro una casa. Potevano benissimo centrare tutti gli obiettivi che ci venivano dati. Per otto, nove volte io e i miei compagni ci siamo trovati vicini alla morte, ma ogni volta i nostri ufficiali ci richiamavano indietro, perché non sapevano letteralmente cosa dovevano fare».
Ha combattuto a Bint Jbeil, Dany Gonem, 29 anni, vicino alla laurea in ecologia, e quella di Bint Jbeil, è forse la battaglia che ha sollevato le accuse più gravi d´inefficienza verso gli alti quadri dell´esercito. «Ci mandavano dentro, prendevamo posizione, combattevamo, ma poi, inspiegabilmente, ci riportavano indietro. A fare le anatre nel mirino. E loro, gli Hezbollah, ci fottevano».
Sul palco sale Osnat Vizhinky, attrice, madre di Lior, morto nel 2004 in un blindato fatto esplodere dalla guerriglia palestinese sulla Philadelphi Road, al confine tra Gaza e l´Egitto. La sua è la più triste delle elegie: «Abbiamo cresciuto i nostri figli nell´amore per la Patria e nel rispetto delle istituzioni. Abbiamo insegnato loro ad avere il senso del dovere. Forse avremmo dovuto anche insegnare loro che per sopravvivere bisogna essere egoisti».

Michele Giorgio sul MANIFESTO ha almeno chiaro che quella per le dimissioni del governo Olmert non è stata una manifestazione pacifista, ma trova in questo fatto un motivo per criticare gli israeliani.
La manifestazione sarebbe dovuta essere, a parere di Giorgio, contro la guerra
Secondo lui, infatti, sono stati Olmert e Peretz a volerla. Ed è ancora a loro, non agli hezbollah, che andrebbero addebitate le sofferenza della popolazione civile israeliana bersagliata dai razzi katiuscia (da ban prima della tardiva reazione israeliana) . Nell'occhiello il terrorismo di Hezbollah è definito "resistenza".

Ecco l'articolo:


Centomila, forse 150 mila persone, sono scese in piazza ieri sera a Tel Aviv per chiedere le dimissioni del premier Ehud Olmert ed il ministro della difesa Amir Pertez. Una protesta nata non perché i due leader hanno voluto a tutti i costi una guerra assurda e sanguinosa - dopo il sequestro di due soldati avvenuto lungo la frontiera con il Libano - che ha messo in ginocchio il paese dei cedri e causato danni anche alle popolazioni della Galilea, che si sono ritrovate sotto i lanci dei katiusha di Hezbollah, ma perché non hanno saputo vincere il confronto militare con la guerriglia sciita libanese. A rappresentare lo scontento popolare contro gli «incapaci» Olmert e Peretz ieri sera c'era anche lo scrittore Meir Shalev, che gode di fama di «pacifista» in Italia, dove gli editori fanno gara per tradurre i suoi libri. A chiarire il senso della manifestazione è stato il generale Uzi Dayan, presidente del movimento «Tafnit», uno dei promotori della protesta. «Cittadini di tutto lo spettro politico e del paese sono venuti in piazza - ha dichiarato -, questo è il momento in cui il popolo deve far sentire la propria voce in modo netto e chiaro e mandare a casa quelli che hanno fallito». Il numero dei partecipanti, si diceva ieri sera, sarà equivalente alle pressioni che veranno esercitate in futuro su Olmert e Peretz. I due però non hanno alcuna intenzione di dimettersi nonostante i sondaggi dicano che il 60-70% degli israeliani vuole mandarli a casa in modo da avere dei leader politici e militari che sappiano vincere la prossima guerra, come di fatto hanno raccomandato nel loro rapporto i membri della Commissione Winograd che hanno indagato sull'operato del governo e sulla conduzione delle operazioni militari la scorsa estate. Volutamente gli organizzatori hanno escluso interventi di uomini politici. Gli oratori sono stati scrittori, come Shalev, genitori che hanno perso i figli in Libano, riservisti che hanno preso parte al conflitto e anche l' Associazione per il buon governo che da queste parti per essere «buono» deve vincere le guerre. Su molti striscioni e cartelli si leggeva ieri lo slogan: «Elezioni adesso, a casa chi ha fallito». Sarà questa, da oggi in poi, la parola d'ordine della destra estrema e, in particolare, del Likud di Benyamin Netanyahu che i sondaggi danno in largo vantaggio su tutte le altre forze politiche. In caso di elezioni anticipate il partito di Olmert, Kadima, crollerebbe a 12 seggi in parlamento contro i 29 attuali. Il Likud invece conquisterebbe almeno 30 seggi sui 120. Olmert sino ad ora è riuscito a contenere la rivolta interna al suo partito, nonostante l'attacco del ministro degli esteri Tzipi Livni, che due giorni fa l'ha invitato a dimettersi. E' riuscito anche a far cambiare idea a molti suoi deputati che si erano detti a favore delle dimissioni: ora solo tre parlamentari di Kadima lo contestano apertamente, fra cui Livni e il capogruppo Avigdor Ytzhaki, subito defenestrato e sostituito con un fedelissimo del primo ministro, Tzahi Hanegbi. La rivolta sembra rintuzzata ma potrebbe riaccendersi presto. Ieri alla Knesset il premier è stato duramente contestato dall'opposizione durante un dibattito sul rapporto Winograd. Olmert non si è presentato in aula e neppure Amir Peretz. In aula invece il protagonista è stato Netanyahu che sino a due giorni fa aveva mantenuto un basso profilo. «Il governo ha perso anche quel poco che gli restava della fiducia del popolo», ha tuonato, invitando il premier a dimettersi aprendo la strada ad elezioni anticipate. «E' necessario tornare davanti al popolo e permettergli di fare sentire la sua voce», ha detto. La sopravvivenza politica di Olmert dipenderà dalla tenuta del suo partito e dalla sua capacità di resistere alle pressioni. Per molti il futuro del premier è segnato. Ci sono tre casi corruzione che lo vedono implicato, c'è a fine maggio l'elezione del nuovo leader del Labour che dovrebbe vedere la sconfitta di Peretz e l'uscita dei laburisti dal governo. In luglio è attesa la pubblicazione del rapporto finale della Commissione Winograd, che potrebbe chiedere esplicitamente al premier di andarsene.

Il governo libanese, incapaci di impedire che un esercito terroristico che opera dal suo territorio trascini l'intero paese in guerra,  non trova di meglio che criticare la commissione Winograd per non aver affrontato il tema della vittime libanesi della guerra. Ma in Israele non deve essere istituita nessuna commissione per "crimini di guerra". Israele non ne ha commessi. sono gli Hezbollah ad aver deliberatamente preso a bersaglio i civili israeliani, facendosi contemporaneamente scudo di quelli libanesi.
Il premier Siniora farebbe bene a istituire una commissione d'inchiesta che faccia luce su questo, se vuole servire gli interessi del suo Paese.

Ecco il testo della cronaca di Giorgio sulle proteste libanesi contro il rapporto Winograd:


Centomila, forse 150 mila persone, sono scese in piazza ieri sera a Tel Aviv per chiedere le dimissioni del premier Ehud Olmert ed il ministro della difesa Amir Pertez. Una protesta nata non perché i due leader hanno voluto a tutti i costi una guerra assurda e sanguinosa - dopo il sequestro di due soldati avvenuto lungo la frontiera con il Libano - che ha messo in ginocchio il paese dei cedri e causato danni anche alle popolazioni della Galilea, che si sono ritrovate sotto i lanci dei katiusha di Hezbollah, ma perché non hanno saputo vincere il confronto militare con la guerriglia sciita libanese. A rappresentare lo scontento popolare contro gli «incapaci» Olmert e Peretz ieri sera c'era anche lo scrittore Meir Shalev, che gode di fama di «pacifista» in Italia, dove gli editori fanno gara per tradurre i suoi libri. A chiarire il senso della manifestazione è stato il generale Uzi Dayan, presidente del movimento «Tafnit», uno dei promotori della protesta. «Cittadini di tutto lo spettro politico e del paese sono venuti in piazza - ha dichiarato -, questo è il momento in cui il popolo deve far sentire la propria voce in modo netto e chiaro e mandare a casa quelli che hanno fallito». Il numero dei partecipanti, si diceva ieri sera, sarà equivalente alle pressioni che veranno esercitate in futuro su Olmert e Peretz. I due però non hanno alcuna intenzione di dimettersi nonostante i sondaggi dicano che il 60-70% degli israeliani vuole mandarli a casa in modo da avere dei leader politici e militari che sappiano vincere la prossima guerra, come di fatto hanno raccomandato nel loro rapporto i membri della Commissione Winograd che hanno indagato sull'operato del governo e sulla conduzione delle operazioni militari la scorsa estate. Volutamente gli organizzatori hanno escluso interventi di uomini politici. Gli oratori sono stati scrittori, come Shalev, genitori che hanno perso i figli in Libano, riservisti che hanno preso parte al conflitto e anche l' Associazione per il buon governo che da queste parti per essere «buono» deve vincere le guerre. Su molti striscioni e cartelli si leggeva ieri lo slogan: «Elezioni adesso, a casa chi ha fallito». Sarà questa, da oggi in poi, la parola d'ordine della destra estrema e, in particolare, del Likud di Benyamin Netanyahu che i sondaggi danno in largo vantaggio su tutte le altre forze politiche. In caso di elezioni anticipate il partito di Olmert, Kadima, crollerebbe a 12 seggi in parlamento contro i 29 attuali. Il Likud invece conquisterebbe almeno 30 seggi sui 120. Olmert sino ad ora è riuscito a contenere la rivolta interna al suo partito, nonostante l'attacco del ministro degli esteri Tzipi Livni, che due giorni fa l'ha invitato a dimettersi. E' riuscito anche a far cambiare idea a molti suoi deputati che si erano detti a favore delle dimissioni: ora solo tre parlamentari di Kadima lo contestano apertamente, fra cui Livni e il capogruppo Avigdor Ytzhaki, subito defenestrato e sostituito con un fedelissimo del primo ministro, Tzahi Hanegbi. La rivolta sembra rintuzzata ma potrebbe riaccendersi presto. Ieri alla Knesset il premier è stato duramente contestato dall'opposizione durante un dibattito sul rapporto Winograd. Olmert non si è presentato in aula e neppure Amir Peretz. In aula invece il protagonista è stato Netanyahu che sino a due giorni fa aveva mantenuto un basso profilo. «Il governo ha perso anche quel poco che gli restava della fiducia del popolo», ha tuonato, invitando il premier a dimettersi aprendo la strada ad elezioni anticipate. «E' necessario tornare davanti al popolo e permettergli di fare sentire la sua voce», ha detto. La sopravvivenza politica di Olmert dipenderà dalla tenuta del suo partito e dalla sua capacità di resistere alle pressioni. Per molti il futuro del premier è segnato. Ci sono tre casi corruzione che lo vedono implicato, c'è a fine maggio l'elezione del nuovo leader del Labour che dovrebbe vedere la sconfitta di Peretz e l'uscita dei laburisti dal governo. In luglio è attesa la pubblicazione del rapporto finale della Commissione Winograd, che potrebbe chiedere esplicitamente al premier di andarsene.

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