Propaganda antisraeliana e menzogne nell'intervista del principe Saud al-Faisal, ministro degli Esteri dell'Arabia Saudita a La REPUBBLICA del 24 aprile 2007.
Alix Van Buren registra tutto in modo acritico. Tace e acconsente.
Ecco il testo, all'interno del quale abbiamo inserito alcuni commenti:
RIAD - L´Europa e i leader arabi si sveglino: il Libano può esplodere entro breve, la "guerra dei cent´anni" israelo-palestinese infiamma la regione, sul Golfo s´addensano minacce. Il principe Saud al-Faisal, il ministro degli Esteri forse più potente del mondo arabo, declina le ragioni del nuovo attivismo internazionale della Corte saudita, all´indomani della visita a Riad del Presidente del Consiglio Romano Prodi.
Principe al-Faisal, che ruolo può svolgere l´Italia nella mediazione?
«L´Italia occupa un posto importante nella Unione europea e nella comunità internazionale. La sua storia è collocata nel Mediterraneo. Conosce la regione, l´evolversi dei conflitti. Perciò può spiegare la situazione e premere per una soluzione. In più ci uniscono un rapporto di lunga data: la vostra è la più antica comunità europea in Arabia Saudita. Ci auguriamo d´intensificare anche i rapporti economici e culturali».
Lei ha discusso a lungo del Libano con il presidente Prodi. Che cosa la preoccupa?
«Innanzitutto siamo grati all´Italia: non fosse stato per la sua ferma posizione, la missione Unifil forse non sarebbe riuscita. Spero che continui, anzi si rafforzi se necessario».
Principe, che cosa vede in prospettiva?
«La situazione in Libano è critica: fra quattro o cinque mesi, il presidente, prima che scada il suo incarico, formerà un nuovo governo. Ne siamo certi. Sarà un Paese con due governi e nessun capo di Stato: un vuoto politico, cioè il caos. Allora le forze Unifil dovranno consolidare la barriera fra Israele e Libano».
L´apertura a Damasco promette risultati?
«La Siria può avere un ruolo importante, positivo nell´aiutare il Libano a recuperare la stabilità. Questo a mio avviso è il ruolo naturale di Damasco, nella crisi che attraversa il Libano, perché se quel Paese non esistesse bisognerebbe inventarlo: è l´esempio della convivenza in armonia fra etnie e fedi diverse. Forse per questo suscita ostilità da parte di Israele: nega il concetto d´uno Stato puramente etnico o religioso».
Un passaggio che ha dell'incredibile. Prima di tutto perché Israele è l'esempio di uno stato multietnico e multiconfessionale funzionante, mentre il Libano, dove quasi ogni gruppo religioso ha il suo esercito, è l'esempio paradigmatico di un multiculturalismo che degenera in guerra civile.
Poi perché Israele non ha mai avuto nulla contro il Libano, ha soltanto risposto alle aggressioni che diversi gruppi terroristici (dall'Olp a Hezbollah) compivano a partire dal territorio del paese dei cedri.
Infine, perché il principe Saud al-Faisal rappresenta un egime ultrafondamentalista e antisemita, che sul suo territorio vieta qualsiasi culto diverso da quello islamico, perseguita gli sciiti, impone minuziosamente il rispetto della sharia.
Invece di far notare tutto questo, Alix Van Buren offre all' interlocutore la possibilità di proseguire con sua la propaganda antisraeliana:
Lei sembra prospettare un intervento israeliano. Eppure dopo il summit arabo un gruppo di emissari ha incontrato il governo Olmert. Con quali risultati?
«Abbiamo inviato una commissione giordana e egiziana per valutare la serietà d´Israele nell´aderire al processo di pace. Vorremmo vedere degli indizi, ad esempio l´arresto della costruzione di insediamenti, del muro, la fine dell´embargo economico imposto ai palestinesi: misure necessarie ad alimentare la fiducia. Se Israele imboccherà questa via, manderemo una delegazione formale del mondo arabo a illustrare il piano di pace. Allora la commissione verrebbe allargata».
Dal governo di Olmert arrivano segnali positivi?
«Con Israele si ripete un fatto strano: o il governo è troppo debole per trattare la pace, o è forte e non intende negoziare. Israele adesso preme, in particolare sugli Stati Uniti, affinché frenino le iniziative d´intesa. Non vedo chiari segnali positivi: Israele non accetta nulla, né la soluzione dei due Stati del presidente Bush, né il piano di pace arabo, e non propone alternative.
Israele accetta la soluzione a due stati, accetta di discutere il piano arabo, ha formulato in passato diverse proposte alternative, ed'è comunque pronta ad avviare una trattativa
Invece sul versante palestinese, col nuovo governo di unità nazionale e la collaborazione fra Hamas e Fatah, sta emergendo un consenso senza precedenti, nella politica e nella volontà di pace.
In realtà Hamas continua a non riconoscere Israele, a proclamare la necessità della sua distruzione, a lanciare razzi kassam , a non liberare Gilad Shalit
Il vero nodo è un altro: se esista o no una volontà di pace. Questo conflitto ha assunto i tratti di una Guerra dei cent´anni. S´è voluto fare della contesa palestinese-israeliana un fumoso mistero, che soltanto Dio, con la Sua saggezza, possa risolvere. Invece è soltanto una disputa di frontiere: la storia è piena di esempi. Si risolvono con relativa semplicità: con un negoziato, o il ricorso al giudizio di una corte. Intanto il senso d´ingiustizia cresce, alimenta l´estremismo quindi il terrorismo, e da lì scaturiscono tutti i mali del Medio Oriente. Se entro l´anno la questione non sarà risolta, il morbo del terrorismo esploderà».
Nell'intervista a Emanuele Novazio della STAMPA, Saud Al Faisal cerca di far passare per equivalenti il riconoscimento di Israele che Hamas continua a negare e l'assenso al piano saudita, che è meramente tattico e finalizzato a una tregua, non alla pace.
Descrive le eliminazioni mirate dei terreristi come omicidi di innocenti. Novazio è d'accordo e infatti replica: "Anche i palestinesi uccidono israeliani innocenti."
«Si sente sempre parlare delle condizioni imposte ai palestinesi, quanti chiedono a Israele di rinunciare alla violenza?» replica il principe, equiparando il terrorismo palestinese all'autodifesa israeliana.
Novazio tace e acconsente.
Ecco il testo:
Paesi arabi moderati potrebbero chiedere all’Italia di aumentare il proprio impegno in Libano, se una nuova guerra civile si concretizzasse a breve, come teme Riad. Il principe Saud Al Faisal, ministro degli Esteri saudita, intervistato da un ristretto gruppo di giornalisti italiani, non lo esclude. Molto - lascia intendere l’uomo che da 32 anni guida la diplomazia del Regno - dipenderà dalla Siria, con la quale Riad ha da poco ripreso un dialogo non facile. Molto dall’evoluzione della crisi israelo-palestinese: le ricadute del recente vertice della Mecca - che ha ridato speranza al processo di pace - potrebbero essere clamorose.
Potreste andare in Israele, anche se non avete relazioni diplomatiche?
«Se la missione esplorativa affidata a Giordania ed Egitto darà risultati sulla questione degli insediamenti, del muro e del boicottaggio economico ai palestinesi, manderemo una delegazione più ampia. Ma è presto per parlare di relazioni diplomatiche: lo scopo sarebbe lavorare alla pace».
Nel frattempo il regno saudita è impegnato nella ricerca di una soluzione alla crisi libanese. Con quali speranze?
«Ne approfitto per esprimere gratitudine all’Italia: se non avesse partecipato alla missione Unifil le cose probabilmente non avrebbero funzionato così bene. Speriamo che l’impegno continui e se occorre si rafforzi: c’è il rischio che aumentino le minacce».
Nel senso?
«Fra 4-5 mesi scade il mandato del presidente Lahud: prima di lasciare formerà un secondo governo in opposizione a quello Siniora. Due governi senza un presidente: vuol dire il caos».
La diplomazia saudita ha ripreso il dialogo con la Siria. In funzione di un contenimento dell’Iran, o in previsione di un aggravamento della situazione in Libano?
«Cerchiamo di mettere i Paesi arabi in grado di risolvere da soli i loro problemi. Compito della Siria è per l’appunto aiutare il Libano, che ha un ruolo speciale in Medio Oriente: vi convivono con successo molti gruppi religiosi. Forse per questo Israele per anni lo ha attaccato. Perchè nega il concetto di stato multireligioso».
Secondo il re di Giordania se il conflitto israelo-palestinese non sarà risolto entro l’anno la regione sarà sconvolta dal terrorismo. È d’accordo?
«Di certo se la crisi non si risolve aumenteranno la frustrazione dei palestinesi e le inimicizie fra i due popoli. I palestinesi sono forse il popolo più istruito del mondo arabo ma vivono sotto il livello di povertà. Sono umiliati, attaccati, si vedono sottrarre le risorse da Israele. Tutto questo per punire Hamas di aver vinto elezioni che gli sono state imposte».
Hamas non riconosce Israele.
«Ma è d’accordo con il piano arabo, che prevede un rinoscimento condizionato dai passi avanti di Israele verso la pace. Se gli insediamenti continuano ad aumentare, se i palestinesi sono confinati in comunità divise in cantoni, che stato palestinese può nascere? Eppure fra i palestinesi il consenso nazionale sulla pace sta aumentando. Lo stesso non avviene da parte israeliana: oggi c’è un governo debole che non può fare la pace, prima ce n’era uno troppo forte per farla. Gli Usa dovrebbero convincerli, ma non vedo azioni da parte loro che vadano nella direzione dei due Stati».
Hanno perso un ruolo di mediazione efficace?
«Può darsi. Garantiscono la sicurezza israeliana con armi e addestramento. Ma questa forza militare viene usata per punizioni collettive ai palestinesi e avventure militari in Libano. Gli Usa potrebbero prevenire l’uso indiscriminato delle armi che forniscono a Israele, invece i leader palestinesi sono uccisi con missili».
Anche i palestinesi uccidono israeliani innocenti.
«Si sente sempre parlare delle condizioni imposte ai palestinesi, quanti chiedono a Israele di rinunciare alla violenza?».
Per risolvere la crisi libanese è importante anche l’Iran. Qual è il vostro messaggio a Teheran?
«Non interferite ma aiutate a risolvere i problemi».
Risposte?
«Nessuna, per ora».
E sulla questione nucleare?
«Abbiamo detto che se vogliono essere leader regionali devono preoccuparsi della stabilità della regione, non pensare solo a se stessi».
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