Anna Momigliano sul RIFORMISTA del 12 aprile 2007 difende dalle critiche di Informazione Corretta La Settimana Enigmistica.
Contestando a sua volta la nostra critica alla domanda «Chi fu il condottiero ebreo, successore di Mosé, che conquistò la Palestina?».
La Momigliano sostanzialmente non nega che il successore di Mosè, Giosuè, non conquistò affatto una terra chiamata "Palestina", ma ci muove tre rilievi:
1) L'aver scritto "Mosé non conquistò la Palestina, semplicemente perché allora non esisteva", quando invece "Mosè non conquistò un bel nulla, visto che morì prima di mettere piede nella Terra Promessa, e che fu Giosuè a guidare gli israeliti alla conquista della Palestina".
Si è trattato di un refuso e ringraziamo la Momigliano per la segnalazione. Dal contesto comunque, sembra sufficientemente chiaro che a conquistare la terra di Israele non è stato Mosè, ma il suo sucessore.
2)L'aver attribuito ai romani l'invenzione del termine, che invece fu coniato dai greci , deriva da una radice semitica che "si ritrova almeno 250 volte nella stessa Bibbia, che racconta di un certo popolo, i Filistei, che vivevano in una terra nota come Philistia, e poco o nulla hanno a che vedere con i moderni palestinesi "
La Momigliano dunque conferma che i Filistei antichi nulla hanno a che vedere con la Palestina attuale. Trascura invece il fatto che furono i romani a riuscire ad imporre il nome di Palestina alla Terra di Israele, sconfitte le rivolte giudaiche
3) infine, ed'è a suo dire" l'unica questione filologica che vale la pena di affrontare" il non aver considerato che anche i sionisti utilizzavano il nome "Palestina" per riferirsi alla terra nella quale volevano fondare Israele.
E qui confessiamo di non capire.
Herzl scriveva e parlava, ovviamente dopo che i romani avevano imposto il nome di Palestina, dopo che i greci l'avevano inventato e ovviamente molto dopo Giosuè e Mosè.
La domanda della Settimana enigmistica era scorretta perché retrodatava l'esistenza della Palestina ai tempi di Mosè. Herzl e i primi sionisti non c'entrano assolutamente nulla.
C'entra, invece, il rischio che il legame tra il popolo ebraico e la terra d'Israele venga negato, presentando una versione ideologica della storia nella quale Israele è da sempre l'occupante e i palestinesi sono da sempre gli oppressi.
Anna Momigliano sa sicuramente che questo è un tema della propaganda araba e antisionista, non una nostra invenzione.
Fondando Israele, gli ebrei hanno fatto ritorno alla loro terra d'orgine. Se la terra d'origine degli ebrei diventa, nell'opinione corrente, la terra dei palestinesi , occupata dagli ebrei antichi è chiaro che la legittimità di Israele viene messa in questione. Certo, è altamente probabile che i redattori della Settimana enigmistica non avessero nessuna intenzione di avallare simili intenti propagandistici. Lo abbiamo scritto, perché non era nostra intenzione accusare loro.
Ciò non toglie che la domanda fosse formulata in modo errato. E che l'errore coincidesse perfettamente con uno stereotipo della propaganda antisraeliana.
Ecco il testo dell'articolo:
Settimana enigmistica, tu quoque. Da qualche giorno, anche le pagine dei cruciverba sono entrate nella lunga lista delle pubblicazioni italiane che si prestano alla propaganda anti-israeliana. Lo denuncia, indignato, il sito “Informazione Corretta”, le cui rubriche principali sono curate dal professore Giorgio Israel e dal giornalista Angelo Pezzana. La pecca starebbe tutta in una piccola domanda, apparentemente innocua, della rubrica “l'edipeo enciclopedico”: «Chi fu il condottiero ebreo, successore di Mosé, che conquistò la Palestina?». Menzogna, orrenda menzogna, «frutto di 50 anni di propaganda anti-israeliana inseritasi nella cultura italiana», protesta il sito, perché al tempo di Mosè non esisteva nessuna Palestina e il termine «fu inventato dai Romani». Probabilmente, l'autore dell'edipeo era in buona fede, perché «come insegnava Goebbles, una menzogna detta tante volte diventa realtà». Resta il fatto, conclude il commentatore indignato, che «Mosé non conquistò la Palestina, semplicemente perché allora non esisteva».
Tralasciamo, per un secondo, che Mosè non conquistò un bel nulla, visto che morì prima di mettere piede nella Terra Promessa, e che fu Giosuè a guidare gli israeliti alla conquista della Palestina - qui, appunto, andava a parare l'edipeo incriminato. Potremmo dilungarci, poi, in dotte disquisizioni volte a dimostrare che il termine “Palestina” fu coniato dai greci, non dai romani, che le sue origini risalgono proprio al tempo di Mosè (la radice semitica “Peleset” appare per la prima volta nella stele di Medinet Habu, che commemora le gesta di Ramsete III contro i “popoli del mare”) e che la stessa radice si ritrova almeno 250 volte nella stessa Bibbia, che racconta di un certo popolo, i Filistei, che vivevano in una terra nota come Philistia, e poco o nulla hanno a che vedere con i moderni palestinesi tanto che secondo gli ultimi studi non parlavano neppure una lingua semita.
L'unica questione filologica che vale la pena di affrontare è un'altra: siamo sicuri che utilizzare il termine “Palestina” sia così sionisticamente scorretto? Palestinesi si definivano i pionieri dell'Yishuv, l'insieme di insediamenti ebraici che, a partire dal 1860, ha portato alla realizzazione del sogno sionista. Con il crollo dell'Impero Ottomano e la nascita del Mandato britannico di Palestina, l'espressione è diventata ancora più frequente tra gli abitanti ebrei della regione: basti pensare che il Jerusalem Post, fino agli anni Cinquanta si chiamava Palestine Post, nome che nulla toglieva allo storico quotidiano sionista - qui vicino riportiamo l'edizione del 15 maggio 1948, che annuncia la nascita di Israele, con tanto di discorso di David Ben Gurion.
Palestina, infine, era un termine particolarmente caro a Theodor Herzl, padre del sionismo moderno. Quando, scosso dall’affaire Dreyfus, Herzl teorizzò la necessità di uno stato ebraico, in un primo momento contemplò l’ipotesi di costruire lo Judenstaat al di fuori della patria storica: «Dobbiamo preferire la Palestina o l’Argentina? La Società [ovvero il congresso sionista internazionale] deciderà in base al sentimento comune del popolo ebraico». Ma, dopo poco, Herzl concluse che per il popolo ebraico non c’era un altro luogo come la Palestina: «Va da sé che il popolo ebraico non ha altro sogno che la Palestina. Qualsiasi sia il destino che ci aspetta, la nostra attitudine verso la terra dei nostri padri non cambierà mai». E ancora: «Il sionismo pretende per il popolo ebraico una patria in Palestina che sia pubblicamente riconosciuta e legalmente definita».
Fa bene chi prende tanto sul serio il nome Palestina: «La Palestina è la nostra patria storica, che mai potremo dimenticare», insegnava Herzl, «e il nome stesso è una forza capace di generare una meravigliosa potenza d’attrazione per la nostra gente». Le parole di Herzl si rivelarono profetiche, e nel giro di pochi decenni il sogno di una patria ebraica in Palestina attrasse decine di migliaia di ebrei: era la cosiddetta “prima aliyah” (1882-1903), la prima ondata migratoria che pose le basi per il moderno Stato ebraico. Tuttora, chi ha cara la memoria dei pionieri dello Yishuv si guarda bene dall’eliminare dal proprio vocabolario la parola “Palestina”. A meno che non voglia dare lezioni di sionismo a Theodor Herzl.
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