Che c'è di male nel trattare ? Lo fanno anche gli americani
un ragionamento che non funziona
Testata:
Data: 27/03/2007
Pagina: 1
Autore: Anna Momigliano
Titolo: L'America tratta e se ne vanta pure
La trattativa con gli "insorti" iracheni rivelata dall'ambasciatore Zalmay Khalizad diventa sulle pagine del RIFORMISTA  la dimostrazione che il rifiuto americani di cedere ai terroristi (implicitamente si allude alla liberazione di Mastrogiacomo e alla proposta di trattare con talebani) sarebbe soltanto un'ipocrisia. Nulla di male, per altro, nella trattativa in sè: è solo una dimostrazione di "pragmatismo" 
Ma si dovrebbe tenere maggior conto di due circostanze: che Khalizad ha chiesto agli "insorti" di deporre le armi e che di fatto, l'iniziativa è stata un fallimento.
Il primo fatto dimostra che quello americano non è un cedimento all'"italiana". Il secondo che in ogni caso,  probabilmente, non è una buona idea.

Ecco il testo:  


Trattare con gli insorti? Gli americani lo hanno già fatto, in Iraq. Un’amnistia per le varie fazioni guerrigliere? È un passo necessario per la pacificazione. Questo spiega l’ambasciatore americano a Baghdad, Zalmay Khalilzad, in un’intervista pubblicata ieri in prima pagina sul New York Times, in cui racconta, tra l’altro, di avere seguito personalmente le trattative con «i principali gruppi di insorti », che sarebbero cominciate all’inizio del 2006. Khalilzad non è certo un neofita dei negoziati, né uno sprovveduto:ambasciatore a Kabul dal 2003 al 2005 (egli stesso è di origine afgana), Khalilzad è stato per due anni ambasciatore a Baghdad, e tra meno di una settimana sarà inviato al Palazzo di Vetro per sostituire il falco dimissionario John Bolton (in questo momento la carica è ricoperta da Alejandro Wolff, che però è una sorta di supplente). Alla gestione Khalilzad si devono i primi incontri semi-ufficiali tra diplomatici statunitensi e iraniani, avvenuti proprio a Baghdad nel 2005. A oggi, Khalilzad è il primo rappresentante del governo americano ad avere ammesso pubblicamente di avere intrattenuto negoziati con gli insorti, anche se, stando a quanto riporta Edward Wong sul New York Times, diversi “officials” avevano fatto rivelazioni analoghe sotto condizione di anonimato. In ogni caso, le dichiarazioni di Khalilzad arrivano a ridosso delle pesanti critiche mosse dal Dipartimento di Stato nei confronti della proposta, lanciata da Piero Fassino, di includere i talebani al tavolo della pace. Sempre in questi giorni, la legge sull’amnistia approvata dal presidente afgano Hamid Karzai, i cui beneficiari dovrebbero essere proprio i talebani, ha suscitato diverse critiche. In effetti, l’apertura dell’ambasciatore Khalilzad nei confronti degli insorti, per metterla con le parole del New York Times, «sembra cozzare con le posizioni ufficiali del Dipartimento di Stato e dello stesso George W. Bush, secondo cui gli Stati Uniti non trattano con gli insorti». In realtà, non è chiaro se il via libera per i negoziati sia arrivato direttamente da Washington. Del resto, la Casa Bianca ha spesso lasciato ampi margini di flessibilità all’operato di Khalilzad, la cui fama di diplomatico pragmatico è cosa nota.Quel che è certo, è che i negoziati ci sono stati, e che gli incontri segreti tra lo stesso ambasciatore Usa e i leader degli insorti si tenevano in territorio neutrale,in Giordania. Khalilzad racconta di avere compiuto il primo viaggio segreto in Giordania nelle prime settimane del 2006: «Abbiamo intavolato discussioni con rappresentanti dei vari gruppi dopo le elezioni, durante il processo di formazione del governo iracheno, soprattutto prima degli scontri settari a Samarra, ma le trattative sono proseguite anche dopo».L’ambasciatore non specifica fino a quando i negoziati segreti siano proseguiti, né fornisce dettagli sulla natura degli incontri, ma altri rappresentanti Usa hanno raccontato al New York Times, sotto condizione di anonimato, che le trattative sono proseguite durante l’estate. Altri “officials” sostengono invece che alcune forme di trattativa fossero già state sperimentate nel lontano autunno del 2005. Per il momento, le trattative sono fallite, ma questo non significa che non possano o che non debbano riprendere. Al contrario, Khalilzad si dice convinto della necessità di un’amnistia per gli insorti disposti a gettare la armi: «È una questione cui americani e iracheni devono lavorare insieme, tenendo conto che esistono tanti tipi di amnistie. Ma il punto cruciale, l’obiettivo di porre fine a questa guerra, il più grande tributo che possiamo pagare ai nostri soldati che hanno dato la vita per l’Iraq, sarebbe dimostrare che ciò per cui hanno combattuto è finalmente accettato dai loro stessi nemici». Un’amnistia come omaggio alle vite dei soldati americani: questo è l’appello lanciato da Zalmay Khalilzad nella sua «intervista d’addio» a Baghdad. Non è chiaro come il suo successore o se la Casa Bianca risponderanno a questo appello. Quel che è certo, invece, è che da qui a pochi giorni Zalmay Khalilzad diventerà il primo ambasciatore americano all’Onu di fede musulmana. E che porterà con sé,al Palazzo di Vetro,una buona dose di pragmatismo.

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