L'ultimatum di Paola Caridi
per lei o Israele accetta il piano saudita, o sarà responsabile della mancata pace
Testata:
Data: 27/03/2007
Pagina: 7
Autore: Paola Caridi
Titolo: La Road Map perde colpi Ora si guarda alla via araba
L'ultima opportunità offerta dagli arabi a "Tel Aviv". Così presenta l'iniziativa di pace saudita , sul RIFORMISTA , Paola Caridi.
Sul testo, scrive la giornalista "si può lavorare", espressione dal significato piuttosto vago, "a patto che Israele lo accetti in via di principio". Il piano saudita prevede  il "diritto al ritorno dei profughi" , i confini del 67, la divisione di Gerusalemme. Che cosa significa esattamente accettare tutto questo, cioè concedere preventivamente alla controparte tutto il concedibile e anche di più, "in via di principio" e poi "lavorarci" ?
Non significa nulla, ed è chiaro che, perchè l'inziativa saudita possa essere la base per una trattativa di pace dovrà essere profondamente modificata.
Ignorare questo fatto, come fa la Caridi, significa perepararsi il terreno per accusare Israele di aver fatto richiudere l'ultimo spiraglio di pace.
Per accusare, appunto, sulla base di una mistificazione della realtà.

Ecco il testo:

Gerusalemme. È come usare due formule matematiche diverse, e parlarne come se - invece - si trattasse della stessa cosa. Nel gran bailamme di parole, dichiarazioni, incontri di questi ultimi giorni in Medio Oriente, il “processo di pace” usato da tutti i protagonisti ha coperto due progetti completamente diversi. E che in questi mesi si stanno elidendo. Road map oppure iniziativa saudita? Questo è il nodo di tutte le discussioni in corso.E una delle due formule, ahimé, perirà a vantaggio dell’altra, determinando il possibile scenario regionale. L’attivismo di Condoleezza Rice, al suo quarto viaggio tra Israele e Palestina nel giro di pochi mesi, copre il tentativo di recuperare qualcosa della road map. Soprattutto, di conservare agli Stati Uniti il ruolo di unico broker di una possibile pace tra israeliani e palestinesi, con quello che in politichese si chiamerebbe l’appoggio esterno degli altri componenti del Quartetto. Che il tentativo abbia scarse possibilità di successo, però, lo sa anche lo stesso segretario di stato americano, che nelle ultime quarantott’ore ha spento le speranze di chi puntava a notizie eclatanti provenienti da Gerusalemme. La sua spola tra Mahmoud Abbas ed Ehud Olmert, incontrati tra domenica e lunedì, non significa grandi risultati in vista. Troppo distanti sono gli obiettivi dei due leader. Abu Mazen, che deve parlare anche per un governo di unità nazionale, vuole discutere di status finale. Parlare di politica, insomma. Olmert, considerato da tutti gli analisti israeliani troppo debole per giungere a una pace con i palestinesi, vorrebbe rimanere sul livello umanitario. Meglio, Tristemente, orribilmente, Mr Gore si è accorto di stare emettendo il diabolico Co2. ISRAELE. BIBI NETANYAHU ASPETTA IL MOMENTO GIUSTO PER IL GRAN RITORNO DEL LIKUD Kadima, anniversario di un fallimento La guerra in Libano e la crisi economica trascinano il partito di Olmert e il Labour ai minimi storici di popolarità dunque, aspettare l’appuntamento che tutti - nella regione - stanno attendendo. Il summit numero diciannove della Lega Araba che si apre domani a Riyadh, e che è comunque già iniziato ieri con gli incontri tra i ministri degli esteri. Che anche gli israeliani guardino con interesse un vertice della Lega Araba, è già di per sé una notizia. Negli ultimi anni, persino in occasione del summit di Beirut del 2002 al quale Yasser Arafat non poté partecipare perché assediato alla Muqata di Ramallah, Israele non aveva mostrato molta attenzione. Neanche quando l’allora reggente saudita Abdullah aveva proposto un piano di pace che, senza alcun cambiamento, sarà invece al centro del vertice di Ryadh.L’altra notizia è che quel piano di pace, snobbato allora, rischia veramente di scalzare la road map, già moribonda da quando le carte in tavola sono tutte cambiate. Non solo con Hamas al potere, ma con la crisi libanese, l’Iraq che assomiglia sempre più al Vietnam, il Medio Oriente che sembra la vecchia Indocina e il confronto con l’Iran alle porte. Per la road map non c’è più tanto spazio. Per l’iniziativa saudita, forse. Nonostante sia considerato da tutti impossibile per Israele accettare di arretrare alla Linea Verde del 1967 e abbandonare la politica delle colonie in Cisgiordania perseguita per oltre trent’anni. Eppure, in quel piano c’è qualcosa che solletica l’appetito di molti dei protagonisti. Degli Stati Uniti, per esempio, che vogliono compattare il cosiddetto “fronte arabo moderato” in funzione antiiraniana, e per far questo debbono concedere agli arabi una soluzione sul fronte arabo-israeliano e israelo-palestinese.La stessa Siria non solo non lotta contro l’iniziativa saudita, ma anzi la vorrebbe così com’è: un bypass per poter negoziare il Golan, evitando le accuse israeliane di non voler veramente la pace. Hamas, poi, ha dichiarato che non dirà una parola contro il piano saudita, perché sa che Riyadh ha sdoganato il movimento islamista di fronte agli occhi dell’intera regione. E infine Israele. Cosa avrebbe da guadagnare da un piano che rimette in gioco tutto quello che Tel Aviv aveva cercato di togliere dal negoziato (confini, Linea Verde, diritto al ritorno dei profughi, Gerusalemme capitale dello stato palestinese)? Intanto, è forse l’ultima opportunità che il mondo arabo può concedere a Israele, dicono tanti osservatori: dopo la sconfitta militare e d’immagine in Libano, i sauditi potrebbero convogliare per l’ultima volta la regione in una «sola voce araba», come ha detto l’esperto ministro degli esteri,Saud al Faysal, e cercare di mitigare opinioni pubbliche sempre meno propense a concessioni verso Tel Aviv. E poi, sul testo si può lavorare. A patto che Israele lo accetti in via di principio.

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