L'Europa vuole credere ad Hamas
ma il gruppo terroristico palestinese continua a voler distruggere Israele e non rinuncia al terrorismo
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Data: 26/03/2007
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Autore: Gabriele Cazzulini
Titolo: L'Europa ha abboccato all'esca di Hamas

 Dal sito RAGIONPOLITICA, un articolo del  24 marzo 2007

Sotto i fuochi d'artificio per i cinquant'anni dei trattati di Roma, ancora una volta la diplomazia europea si lascia irretire dalla forma pur di non guardare in fondo alla sostanza. Meglio abboccare all'esca lanciata da Hamas sotto le false spoglie della colomba di pace che premere su Hamas perché riconosca Israele abiurando la sua identità terrorista. Dopo due anni di paralisi istituzionale e un conflitto politico divampato in guerra civile, la Palestina riesce a formare un governo di unità nazionale con le due metà del fronte anti-israeliano, quella della vecchia guardia di Fatah e quella più estremista di Hamas. Il primo ministro resta Haniyeh. E' lo stesso che nello scorso dicembre fu bloccato al valico di Rafah con una decina di milioni di dollari - fondi neri raccolti dagli sponsor arabi di Hamas violando l'embargo internazionale sui finanziamenti all'Autorità Nazionale Palestinese. Quando superò il varco, si aprì un intenso conflitto a fuoco. A sparare non furono le guardie di confine israeliane, bensì gli uomini armati di Fatah, che mal digerivano vedere il loro rivale ingrassato di fondi stranieri mentre loro restavano al verde.

Cambia metà del nuovo governo palestinese, ma Haniyeh resta al suo posto. Così come resta l'ambiguità sul riconoscimento al diritto all'esistenza di Israele, su cui il primo ministro dell'estremismo anti-israeliano ha sorvolato nel suo discorso di investitura. Il diritto all'esistenza di Israele resta calpestato dal diritto alla resistenza contro Israele. Nessuno lo ammette, ma questo nuovo governo è l'esito peggiore dopo due anni di embargo, guerra civile e sforzi diplomatici. L'obiettivo era quello di emarginare Hamas dopo nuove elezioni che Fatah avrebbe dovuto vincere. Così invece è Fatah che finisce emarginata e assorbita da Hamas. Tutta la Palestina è ora unita sotto la leadership politica e militare di Hamas. Chiedere a questa dirigenza palestinese il riconoscimento di Israele, l'abbandono della lotta armata e la ripresa degli accordi di Oslo - le clausole poste da Onu, Russia, Usa e Ue - rasenta l'utopia. Da solo, il governo di Hamas sta tenendo testa ai quattro giganti della terra. Non basta ancora per capire che qualcosa non va?

Scrostando via le ultime tacche di centrismo e moderatismo con cui Olmert aveva verniciato la nascita di Kadima, il primo ministro israeliano, entrato nel guinness dei primati essendo quello meno amato dagli israeliani, teme i palestinesi e i loro doni di pace. Capisce che legittimare il nuovo governo di resistenza palestinese significa ripiegare su una strategia di attesa che lascia l'iniziativa a Ramallah e alle sue mani armate. Sostenuto da un Likud in piena riscossa di consenso, Kadima e parte del partito laburista formano un solido blocco che rifiuta di riaprire i negoziati di pace con la Palestina. Se non sarà la prova del nove, la nuova interruzione delle trattative per la liberazione del soldato israeliano Shalit è quantomeno una conferma dell'incertezza che offusca l'agenda politica palestinese. Il problema resta irrisolto, perché non cambia la sua soluzione: estromettere gli estremisti dal potere oppure costringerli a rispettare il consenso internazionale.

Sarà però un'impresa ardua impedire che ricada su Israele la colpa per il nuovo stop sulla road map di pace. D'Alema non si trattiene dal condannare gli Usa per la perplessità sul dialogo con Hamas. Il ministro degli esteri belga, Karel De Gucht, arriva a giudicare moderato il nuovo governo palestinese. Chirac paragona Haniyeh a Giovanna d'Arco. Sono alcune delle tante voci candide che sorridono alla barbuta faccia di Haniyeh mentre voltano le spalle ad Israele. Quando l'Europa discute ancora sull'ingresso della Turchia, Israele non si vede più rinnovato lo statuto preferenziale che Bruxelles aveva concesso nel Consiglio Europeo di Essen del 1994. Era stato Kohl, il cancelliere della riunificazione, a lanciare il progetto di portare Israele in Europa sulle ali degli accordi di Oslo. Oggi, dopo il crollo di Oslo, quella volontà ritorna nelle mani tedesche che presiedono fino a giugno l'Ue; ma gli occhi e le menti non guardano più ai sogni.

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