Qual'è la differenza tra Ghilad Shalit e Marwan Barghouti ?
il primo è la vittima di un sequestro, l'altro un terrorista condannato per cinque omicidi
Testata:
Data: 24/03/2007
Pagina: 7
Autore: Paola Caridi
Titolo: Gli israeliani liberano Barghouthi junior
Da un lato la liberazione del caporale israeliano Ghilad Shalit, dall'altro quella dei "prigionieri" palestinesi detenuti in Israele.
Sono precondizioni per il riavvio dei negoziati di pace, presentate da Paola Caridi sul RIFORMISTA come equivalenti.
Ma mentre gli israeliani chiedono che venga liberata la  vittima di un sequestro, i palestinesi chiedono che vengano liberati numerosi terroristi con le mani sporche di sangue.
Non si tratta per nulla di richieste simmetriche.
Ecco il testo: 

Libero, ma non oltre i confini di Ramallah, e con obbligo di firma una volta alla settimana presso il comando militare israeliano di Binyamin. Qassam ha solo 22 anni, ed è l'ultimo detenuto palestinese liberato ieri dalle autorità carcerarie israeliane. Porta soprattutto un cognome famoso, quello di suo padre, Marwan Barghouthi, e con lui ha condiviso nell'ultimo periodo di detenzione la prigione di Hadarim. Il primogenito del leader indiscusso di Fatah, in galera con una condanna a cinque ergastoli, era stato arrestato nel dicembre del 2003, mentre attraversava la frontiera che divide la Giordania dalla Cisgiordania, e che sul ponte di Allenby è controllata dalle autorità israeliane. Stava tornando a casa dal Cairo, dove frequentava l'American University. Per lui, varie accuse, compresa quella di detenere armi, e una carcerazione durata 39 mesi, per buona parte lontana dal padre Marwan.
Di per sé, la notizia della liberazione (seppur condizionata) di Qassam Barghouthi avrebbe il sapore di una nota di colore, per via di quel cognome famoso. È proprio quel cognome, invece, a far emergere una domanda: se, cioè, l'uscita di cella di Qassam Barghouthi non possa essere, anch'essa, inserita nella lunga sequenza di notizie, voci e pourparler che girano attorno a Marwan, e alla sua possibile liberazione all'interno del dossier “Gilad Shalit-scambio di prigionieri”.
La questione del caporale Shalit, sequestrato alla fine di giugno del 2006 da alcune fazioni armate di Gaza, non è affatto uscita dall'agenda israelo-palestinese di queste ultime settimane. Anzi, viene ritenuta dagli osservatori di Tel Aviv come la priorità, almeno emotiva, per gli israeliani, anche se gli analisti dicono che il premier Olmert sia meno favorevole a uno scambio immediato, per non sdoganare il governo di unità nazionale. L'emotività, però, conta: a confermarlo due tra i più noti giornalisti del quotidiano Ma'ariv allo stesso presidente palestinese Mahmoud Abbas, durante una lunga e tesa intervista pubblicata ieri, in cui Abu Mazen è rimasto fermo sulla difesa del governo di unità nazionale, e ha chiesto incessantemente di sedersi attorno a un tavolo negoziale.
Shalit, insomma, deve tornare a casa, se si vuole che qualcosa si muova nel coté israeliano. I palestinesi, dal canto loro, chiedono che le carceri israeliane - dove si trovano oltre diecimila palestinesi - stavolta si svuotino di un congruo numero di prigionieri. Ivi compresi i nomi eccellenti. Come, appunto, Marwan Barghouthi, importante non solo per l'ormai famoso “documento dei prigionieri” alla base del primo avvicinamento tra Fatah e Hamas, ma anche come ponte tra il vecchio partito di Arafat e il movimento integralista per l'accordo sul governo di unità nazionale. Barghouthi, a differenza di molti tra i dirigenti di Fatah, ha infatti riconosciuto il responso delle elezioni politiche del gennaio 2006: la vittoria, insomma, di Hamas, e la sconfitta del suo partito. E questo è stato il punto di partenza ineludibile dell'intesa, come confermato negli scorsi giorni da un altro Barghouthi, Mustafa, nessuna parentela col leader dei tanzim, attuale ministro dell'informazione e principale mediatore nell'avvicinamento tra i due movimenti politici palestinesi.
Nella difficile partita dello scambio di prigionieri, la palla dovrebbe essere ora nel campo di Hamas, dove si ipotizza una forte tensione in corso tra l'ala politica e quella militare per una decisione, quella del governo di unità nazionale, che non accontenta tutti. E che trova proprio nel dossier Shalit-prigionieri uno dei terreni immediati di scontro. L'ala politica di Hamas, però, non ha intenzione di indietreggiare. Lo conferma lo stesso Abu Mazen, che la prossima settimana sarà proprio assieme al premier Ismail Hanyeh al vertice della Lega Araba alla Mecca. Lo dice a chiare lettere anche Khaled Meshaal, leader dell'ufficio politico, per il quale Hamas di oggi non è più quella di dieci anni fa.
I principali paesi arabi, d'altro canto, hanno in sostanza già legittimato il nuovo governo palestinese, che mercoledì a Ryadh avrà il suo primo impegno pubblico internazionale. Ed è con questo esecutivo che vogliono spingere gli israeliani a trattare, attraverso una forte sponsorizzazione regionale. Il cappello negoziale è quello dell'iniziativa saudita del 2002, su cui Ehud Olmert e Tzipi Livni sono apparsi almeno possibilisti. Anche l'Egitto, ora, chiede a Tel Aviv di approvare in linea di principio il piano di pace di re Abdullah: solo in questo modo, dice il governo del Cairo, sarà possibile cominciare a trattare una pace con tutto il mondo arabo.


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