non servirebbe a fermare gli attacchi del terrorismo
Testata: Data: 19/03/2007 Pagina: 2 Autore: Emanuele Ottolenghi Titolo: Sottrarsi alle missioni militari non protegge dal terrorismo
Dal RIFORMISTA del 17 marzo 2007:
Pochi giornali italiani hanno speso una colonna o un titolo,domenica scorsa, per ricordare il terzo anniversario dell’attentato islamista dell’11 marzo 2004 a Madrid.Agli italiani, impegnati come sono a pensare ai Dico, al governo che traballa e alla sorte dell’inviato di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, glielo si può perdonare in fondo. E poi i giornali non si scrivono a colpi di anniversari.Tuttavia, l’attentato a matrice islamista dell’11 marzo 2004 offre importanti spunti proprio per le grandi questioni che animano il dibattito politico italiano di questi giorni, compreso il futuro della missione italiana in Afghanistan, il destino di Daniele Mastrogiacomo, e la nostra alleanza con gli Stati Uniti, messa alla prova dal nostro impegno in Afghanistan oltre che dalla controversia sulle basi di Vicenza e ora sulla polemica dello scudo antimissile Nato.L’attacco dell’11 marzo, tre giorni prima delle elezioni che spodestarono il Partido Popular e portarono al potere l’attuale premier spagnolo, Josè Louis Zapatero, fu interpretato a sinistra come la prevedibile reazione islamista al sostegno spagnolo alla guerra in Iraq. La Spagna di Aznar, schierata con gli Stati Uniti, pagava la sua politica estera e per estensione quindi, un governo guidato dalla sinistra - oggi vista a Washington come il più antiamericano dei governi europei - avrebbe costituito il miglior riparo per la Spagna contro il ripetersi di simili violenze. La teoria secondo cui il terrorismo islamista è il prodotto di una politica estera occidentale troppo filo-americana, del resto, non è solo spagnola. Tony Blair, il miglior alleato degli Stati Uniti in Europa, soffrì delle stesse accuse all’indomani degli attentati del 7 luglio 2005 a Londra. E dopo quegli attentati ci si aspettava che l’Italia, allora governata dalla Casa delle libertà e schierata in Iraq, sarebbe stata a rischio di simili attentati. Molti in Europa - e in Italia - credono a questa teoria, tanto da averne fatto un ulteriore strumento di critica della guerra in Iraq. L’alleanza con l’America in Iraq ci avrebbe esposti al terrorismo, il ritiro dall’Iraq e una posizione più critica nei confronti dell’America ci metterebbe al riparo dal terrorismo.Eppure, né Zapatero in Spagna, né i governi tedesco e francese che si opposero alla guerra sin dal 2002, si sono sottratti a simili minacce. Il terrorismo islamista continua a insidiarli, a dispetto delle posizioni marcatamente critiche sull’Iraq e di certo antiamericanismo. La Germania e la Francia, grandi oppositrici della guerra in Iraq, sono state ripetutamente vittime di attentati (sventati finora, per fortuna) a matrice islamista, ed esistono minacce concrete di attentati in Francia in questa stagione elettorale, il cui scopo è di ripetere il colpo di Madrid, quando il massacro influenzò il risultato elettorale. Anche chi si è opposto alla guerra in Iraq è soggetto a ricatti di questo genere. E anche chi quella politica estera l’ha cambiata, come è il caso della Spagna, non si sottrae ai ricatti, visto che di minacce e di attentati sventati in Spagna ce ne sono stati anche dopo il marzo 2004. La politica estera dunque non c’entra con il ricatto terrorista. Ma anche ammettendo che l’Iraq abbia comunque creato un terreno fertile per il radicalismo islamico, sull’Afghanistan è difficile fare un simile ragionamento. A parte la sinistra radicale - per cui ogni guerra a fianco degli americani è una guerra imperialista, anche se c’è il mandato dell’Onu - tra i critici della guerra in Iraq si è sempre fatta una distinzione importante tra Iraq e Afghanistan: al contrario dell’Iraq, pochi hanno criticato l’intervento in Afghanistan come irrilevante nella lotta al terrorismo o come illegittimo perché sprovvisto di un mandato Onu. La guerra in Afghanistan è un conflitto che gode del sostegno del diritto internazionale e di tutti i crismi delle risoluzioni Onu, sventolate in Europa quando si tratta di criticare gli Stati Uniti. È una missione della Nato che trova le sue origini negli attacchi dell’11 settembre e nell’invocazione, da parte dei membri dell’Alleanza Atlantica, dell’articolo 5 del Trattato che prevede un meccanismo di difesa collettiva. È una guerra per sottrarre l’Afghanistan al destino tragico toccato al paese per trent’anni. Ed è una guerra per difendere l’Europa dalla maledizione della droga: la maggioranza dei derivati dell’oppio prodotto in Afghanistan sono venduti sui mercati europei. Sull’Iraq quindi si può e si deve continuare a discutere. Ma non sull’Afghanistan, che è una guerra sancita dall’Onu per la sicurezza collettiva, senza la quale si mette a rischio il sistema di diritto internazionale cui si sono appellati in tanti per criticare la guerra in Iraq. Del rapimento di Mastrogiacomo naturalmente si potrebbe dire che si tratta anche in questo caso di una reazione alla nostra politica estera e che se ce ne andassimo dall’Afghanistan, come ci chiedono i rapitori, la sua vita sarebbe risparmiata. Questa considerazione ci deve indurre a un ulteriore ripensamento, che riguarda il desiderio forte di alcuni di cambiare rotta sull’Afghanistan. Salvare una vita umana, un concittadino oltretutto, è encomiabile.Ma Mastrogiacomo non è un caso isolato: due cittadini tedeschi sono stati rapiti in Iraq la settimana scorsa da al Qaeda, e il messaggio diffuso su siti jihadisti con un video dei rapiti parla chiaro: la Germania - proprio quella Germania che non mise mai piede in Iraq a fianco dei suoi alleati perché contraria alla guerra - deve anch’essa ritirarsi dall’Afghanistan, pena la morte dei suoi cittadini in mano ai rapitori. Le minacce diffuse da Al Qaeda riguardano anche l’Austria, la cui industria del turismo è stata minacciata esplicitamente da al Qaeda. Chiaramente, per i terroristi che hanno imprigionato i malcapitati tedeschi, il fronte afghano fa parte della stessa guerra che loro stanno combattendo in Iraq. Ma anche chi su questo fatto in Occidente insiste nel dissentire, deve comunque riconoscere che un cedimento sull’Afghanistan significa un cedimento su quel diritto internazionale che si invocò ad nauseam per opporsi alla guerra in Iraq. Il che dimostra che chi si oppone oggi alla nostra partecipazione alla missione in Afghanistan non ha alcun rispetto per il sistema di diritto internazionale vigente, e che lo invoca in maniera cinica e selettiva solo quando gli fa comodo - specie se serve ad alimentare l’antiamericanismo.
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