"Italia ed Europa al bivio tra assunzione e rifiuto delle responsabilità internazionali"
intervista a Paul Berman
Testata: Corriere della Sera
Data: 07/03/2007
Pagina: 5
Autore: Ennio Caretto
Titolo: Il liberal Berman: dovete mandare le truppe in battaglia
Da CORRIERE della SERA dell'8 marzo 2007

WASHINGTON — Per il filosofo liberal Paul Berman, fautore della diplomazia muscolare, in Afghanistan l'Italia e l'Europa sono al bivio «tra l'assunzione e il rifiuto delle responsabilità internazionali che loro competono. Dovete essere pronti a mandare le vostre truppe in battaglia contro i talebani e Al Qaeda», dichiara Berman, perché l'Afghanistan è un problema di tutti non dei soli Stati Uniti. «Là noi non abbiamo fatto abbastanza» afferma il filosofo «e in Iraq abbiamo fatto male. Ma non è una ragione per cui possiate tirarvi indietro e fare da spettatori». Berman, il cui ultimo libro «Idealisti e potere: la sinistra europea e l'eredità del '68» è appena uscito in Italia, ammonisce che salvare l'Afghanistan è per la Nato un imperativo morale e politico «e la decisione d'intervenire con le armi va presa subito da Paesi come il vostro, la Francia e la Germania».
A cosa attribuisce le riserve italiane ed europee?
«Forse da un lato non vi rendete conto che la situazione sta per precipitare e dall'altro avete delle remore antiamericane. Nel mondo molti pensano che tocchi all'America risolvere la crisi afghana e che ci sarà da rallegrarsene se non ci riuscirà. Ma è sbagliato, sarebbe una catastrofe per tutti. L'ordine mondiale non dipende solo da noi. L'Europa è più popolata e ha dimensioni economiche maggiori dell'America, faccia la sua parte».
È un richiamo alle sinistre?
«Sì, specie in Italia, dove la sinistra radicale deve superare l'eredità comunista. Il suo bagaglio ideologico è controproducente, il confronto con noi non è la cosa più importante sulla terra. La Nato è il braccio armato della comunità transatlantica. La questione va affrontata una volta per tutte, essere pacifisti non significa non combattere mai. Rifondazione comunista mi sembra poco rifondazione e molto comunista».
Sull'Afghanistan il governo Prodi le è parso debole?
«Non è stato debole, lo ammiro perché si è dimostrato disposto a cadere pur di rispettare le sue responsabilità internazionali, e non ha ceduto alle pressioni dell'estrema sinistra. A mio parere è stata un'altra prova che i rapporti tra Italia e America possono continuare a rafforzarsi».
Il presidente Bush non ha ancora invitato Prodi a Washington. È un segno di disapprovazione?
«Non c'è nulla da disapprovare in ciò che l'Italia ha fatto sinora dall'Iraq all'Afghanistan al Libano. È stata e rimane uno dei nostri migliori alleati. Purtroppo, con le sue scelte e la sua condotta Bush ha reso più difficile il dialogo anche con gli amici. Deve imparare a distinguere. L'Italia può dare un grande contributo in Afghanistan, e sarebbe bene che lui e Prodi ne discutessero».
Il nostro governo è però orientato a una conferenza di pace.
«Non ne conosco il progetto a sufficienza per darne un giudizio. Posso solo dire che nel caso dell' Iraq la conferenza di pace potrà essere utile. Bush ha mancato anche sul piano della diplomazia, solo di recente ha accettato il negoziato con la Corea del Nord e forse lo accetterà con l'Iran e con la Siria».

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