I vescovi tedeschi che non conoscono la storia
paragonano Ramallah al ghetto di Varsavia, la barriera difensiva israeliana al muro di Berlino
Testata: Corriere della Sera
Data: 08/03/2007
Pagina: 14
Autore: Paolo Valentino
Titolo: «Ramallah come il ghetto di Varsavia» E Israele condanna i vescovi tedeschi

Dal CORRIERE della SERA dell'8 marzo 2007:

BERLINO — Non si smorza, anzi acquista toni sempre più avvelenati e pieni di acredine, la polemica che contrappone in Germania la comunità ebraica e i vescovi cattolici. Suscitano rabbia e indignazione fra gli ebrei tedeschi, gli infelici accostamenti di alcuni porporati, che hanno fra l'altro paragonato l'occupazione israeliana dei territori palestinesi a quella nazista del ghetto di Varsavia. E anche se non tutti all'interno della comunità condividono le accuse di antisemitismo, lanciate all'indirizzo dei vescovi, il loro riferimento all'era hitleriana trova solo riprovazione e unanime condanna.
Prova a limitare i danni la Conferenza episcopale tedesca. Mettono in guardia da un ulteriore inquinamento del clima i leader del Consiglio centrale ebraico. Ma il danno è ormai fatto e un nuovo, allarmante elemento di incomprensione sembra incunearsi nei rapporti tra le due confessioni.
A dar fuoco alle polveri erano stati i commenti di alcuni prelati, in margine alla visita resa la scorsa settimana in Israele e nei territori dell'Autorità palestinese dall'intero vertice della Conferenza episcopale.
«La mattina al memoriale Yad Vashem, con le foto disumane del ghetto di Varsavia, la sera nel ghetto di Ramallah. E lì si schiariscono le idee», era stato il commento del vescovo di Eichstätt, Gregor Maria Hanke. Mentre quello di Augusta, Walter Mixa, aveva parlato di «ghettizzazione quasi razzista dei palestinesi». Non ultimo, anche il cardinale di Colonia, Joachim Meisner, dopo essersi informato sul muro eretto intorno a una parte dei territori, ne aveva predetto la caduta «come il Muro di Berlino», aggiungendo: «Così si fa con le bestie».
A reagire per primo, «offeso e sdegnato», è stato l'ambasciatore israeliano in Germania, Shimon Stein, che ha accusato i vescovi cattolici di «demagogia e fallimento morale»: «Chi usa espressioni come ghetto di Varsavia o razzismo a proposito della politica israeliana e palestinese — ha detto Stein —, ha dimenticato tutto o non ha capito nulla». Di «triste disconoscimento della Storia e prospettiva distorta», ha parlato lo Yad Vashem in una lettera al cardinale Lehmann, presidente dei vescovi tedeschi, sollecitandone una chiara presa di posizione. Ancora più dura Charlotte Knobloch, leader del Consiglio centrale ebraico, che ha definito «al limite dell'antisemitismo» le frasi di Hanke, attribuendole o «a lacune di conoscenza storica», o «al tentativo di trasformare in carnefici le vittime dell'Olocausto e i loro figli». Secondo Johannes Gerster, leader della Deutsch-Israelische Gesellschaft, «l'accusa di razzismo contro Israele è insostenibile e insensata, ma ingiustificata è anche quella dell'antisemitismo». Questo tipo di polemiche, così Gerster, «avvelena inutilmente il clima tra ebrei e cattolici». Anche l'ex ambasciatore di Tel Aviv a Berlino, Avi Primor, ha cercato un terreno intermedio, spiegando al giornale Kölner Stadt-Anzeiger
che «dopo una visita allo Yad Vashem, è un dovere criticare la situazione nei territori e la politica di occupazione israeliana». Ma gli accostamenti col nazismo «sono non solo insopportabili, ma anche controproducenti».
La polemica non si placa. Nonostante, o forse anche perché ieri il segretario della Conferenza episcopale, Hans Langerdorfer, si è detto da un lato dispiaciuto per le «dichiarazioni di alcuni vescovi», ma dall'altro ha attribuito il loro comportamento «alla pressione emotiva del momento».

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