Rispetto per la verità, diritti umani, un'idea comune di cittadinanza
i presupposti dell'incontro tra culture secondo Magdi Allam, Giorgio Israel e Souad Sbai
Testata:
Data: 05/03/2007
Pagina: 3
Autore: Juanfran Valeron - Giorgio Israel - Souad Sbai
Titolo: Magdi Allam: la verità alla base del dialogo - La strada è affermare i diritti della persona - Investire in cultura perché tolleranza non faccia rima con indifferenza
Il RIFORMISTA del 5 marzo 2007 dedica l'inserto "Il Sussidiario" all'immigrazione e al confronto tra il modello dell' integrazione e quello del multiculturalismo, con particolare riguardo al rapporto con l'islam.
Tra gli interventi, ne riportiamo tre particolare interesse. 

Una conversazione di Juanfran Valeron con Magdi Allam:

Parlando di incontro tra culture differenti e dell’integrazione tra di esse, non si può non affrontare il tema del “dialogo”. Magdi Allam riconosce che fino ad ora l’incontro tra la cultura occidentale e quella islamica si è basato su una «concezione formalistica di dialogo »: incontri pubblici e riunioni intorno a tavoli tecnici, tra strette di mano e discorsi altisonanti. Un metodo che ha mostrato tutti i suoi limiti. «La realtà dei fatti - afferma Allam - ha dimostrato che questo tipo di dialogo non funziona e bisogna ringraziare Benedetto XVI perché ha avuto, a Ratisbona, il coraggio e la lucidità di porre le fondamenta serie e costruttive di ogni dialogo, indicando che alla sua base ci deve essere la verità». Questo significa innanzitutto prendere atto delle diversità esistenti tra i due interlocutori «altrimenti, tra due soggetti che la pensano allo stesso modo, non c’è nemmeno la necessità di dialogare ». Occorre quindi avere piena coscienza di chi si ha di fronte. Ma il punto fondamentale è riconoscere che esistono dei valori irrinunciabili della propria cultura «che non possono essere - spiega Allam - oggetto di negoziato. E il più importante di essi per la nostra cultura occidentale è quello della sacralità della vita. Non ci può essere dialogo con chi nega il diritto alla vita altrui, chiunque esso sia». Ovviamente, perché si arrivi a un buon esito bisogna che sia condiviso anche il punto di approdo. «Se io e te - esemplifica Allam - ci mettiamo a discutere attorno a un tavolo, entrambi dobbiamo sapere in partenza che ognuno rispetta il diritto alla vita dell’altro. Ma dobbiamo anche aver chiaro che condividiamo il traguardo di definire insieme una comune civiltà dell’uomo. Perché se il tuo obiettivo dovesse essere quello di sopraffarmi, di impormi la tua legge, il fatto stesso che io parli con te vorrebbe dire che legittimo le tue posizioni di sopraffazione e tirannia».
I risultati della concezione formalistica del dialogo, di cui si è precedentemente detto, sono riscontrabili nel fallimento dei tentativi di costruire una società multiculturale, come in Francia e in Inghilterra, che hanno creato «comunità che si percepiscono in conflitto con il resto della società nazionale». Un grave problema, risolvibile solamente «riconoscendo - afferma Allam - che la priorità assoluta e inderogabile, nella definizione di un modello di convivenza sociale funzionante sul piano umano, etico e ideale, è la salvaguardia di quei principi e di quei valori che hanno consentito alla civiltà occidentale di costruire quel modo di vivere tanto appetibile per chi sceglie l’Europa, l’Occidente o l’Italia come patria di accoglienza per migliorare le proprie condizioni di vita». Dovendo individuare tali valori, Allam non ha dubbi: «Le radici cristiane dell’occidente e i diritti fondamentali della persona: quello alla vita, alla dignità e alla libertà, alla parità tra uomo e donna». È possibile per l’Italia costruire un modello sociale che non sia fallimentare? Allo stato attuale sembrerebbe di no. «Manca - spiega Allam - un progetto di convivenza sociale a cui approdare. L’integrazione e l’immigrazione sono affidati a ministeri diversi: quello dell’Interno, per ciò che concerne la sicurezza; quello della Solidarietà sociale, per quanto riguarda gli ingressi e l’integrazione sociale; quello delle Pari opportunità, per i casi di possibile discriminazione, in particolare delle donne; in certi casi addirittura quello per le Politiche giovanili e le Attività sportive. Il risultato è che ogni ministro porta avanti le sue proposte che, messe insieme, vorrebbero un’Italia che spalanchi le sue porte agli immigrati, senza regole e concedendo a piene mani diritti, senza chiedere in cambio doveri». «Si tratta - Allam è categorico - di un approccio folle e suicida, che rischia di generare razzismo. Questo, infatti, nasce sia quando si negano dei diritti agli altri, sia quando non si chiede loro di rispettare dei doveri. Perché in entrambi i casi gli altri vengono trattati come persone differenti da noi». Per il futuro occorre quindi che lo Stato italiano definisca un modello di convivenza, fornendo anche gli strumenti per realizzarlo, a partire da «una riforma radicale della cultura politica nazionale, individuando e affermando interessi, cultura, valori, forti e condivisi, e imparando dagli errori commessi dagli altri Paesi europei». Un punto di partenza concreto può essere l’insegnamento obbligatorio della lingua italiana per gli immigrati: «È evidente - spiega Allam - che lo straniero che non sa l’italiano non può interagire con gli altri cittadini e quindi non è in grado di integrarsi». Esistono anche esempi concreti a cui rifarsi: gli immigrati che lavorano nelle aziende, sono tenuti a rispettare delle regole condivise da tutti i dipendenti e nei fatti ciò si dimostra un esempio positivo di integrazione, seppur in campo economico. «Tuttavia - prosegue Allam - questo caso ci insegna che per avere integrazione occorre il rispetto e la condivisione di regole comuni. Cosa che non c’è nella “azienda Italia”, a causa di una classe politica a cui non sta a cuore l’interesse nazionale e che non ha la lucidità e il coraggio di definire regole comuni ». Se continuerà a sussistere questa situazione, dove si cerca solamente di affrontare le emergenze che si presentano di volta in volta, «a rimetterci - conclude Allam - non saranno soltanto gli italiani, ma anche quegli immigrati che vogliono vivere in Italia onestamente nel rispetto delle leggi e nella condivisione dei valori».

Un intervento di Giorgio Israel

Nessuna persona seria può dirsi contro la multiculturalità. Sarebbe quanto dichiararsi contro la realtà e credere che siano esistiti popoli e culture allo stato “puro”. Al contrario, le interazioni hanno favorito il costituirsi delle civiltà più fiorenti, mentre la chiusura in sé ha prodotto sterilità e decadenza. La civiltà europea, più di qualsiasi altra, si è costituita attraverso una vasta molteplicità di apporti che è stata all’origine della sua straordinaria vitalità. Tuttavia, in Europa si sono costituite identità che, sebbene fossero prodotto di intrecci etnoculturali quanto mai disparati, hanno acquisito una coscienza di sé così forte e così sostenuta da un sentimento di autosufficienza e di superiorità, da proporre il proprio modello come il migliore, sia all’interno dello stesso continente che nei confronti dei popoli cosiddetti “sottosviluppati”. Le più nefaste invenzioni della civiltà europea sono state il razzismo e il colonialismo, ed è superfluo insistere sui disastri che ne sono derivati sia fuori d’Europa che nella stessa Europa, trascinandola persino sulla via dell’autodistruzione. Di qui è nata una reazione in senso inverso, ovvero quel programma che va sotto il nome di multiculturalismo, che mira a tagliare le radici del razzismo e del colonialismo ponendo su un piede di parità assoluta etnie e culture. Si tratta di una visione egualitarista, secondo cui le etnie e culture che coesistono nello stesso contesto geografico o nazionale debbono ripartirsi gli spazi secondo criteri di assoluta parità. I conflitti tra di esse debbono essere prevenuti limitando al minimo le interazioni capaci di suscitare competizione. Di qui la suddivisione della cultura “a fette”, in modo che nessuno sia tentato di manifestare “primati”; come, per esempio, quello della filosofia europea su quella cinese o della letteratura nordamericana su quella sudamericana. Le culture debbono essere valutate in modo intrinseco. La separazione deve esser ancor più netta per quanto riguarda le concezioni dei diritti e dei doveri delle persone, le religioni, gli usi e costumi. Il multiculturalismo conduce al comunitarismo, ovvero alla suddivisione della società in zone separate, in cui ogni “comunità” vive secondo i suoi principi. I risultati sono sotto i nostri occhi: dalla formazione di enormi zone di immigrazione, nelle grandi città europee, che tendono a vivere secondo principi propri del tutto indipendenti dalle leggi dei paesi ospitanti (magari tendendo a imporre la sharia islamica a interi quartieri), alla ripartizione della cultura in quote etniche che è di moda in molte università statunitensi. Il multiculturalismo rappresenta una cura peggiore della malattia. La risposta al predominio oppressivo di una cultura dominante non può significare la soppressione dell’interazione e del confronto, anche competitivi, e persino tesi ad affermare la preferibilità del proprio punto di vista, purché in modo tollerante. Il comunitarismo, evitando il confronto, produce sordità, incomprensione e, in definitiva, insofferenze che culminano in conflitti ciechi e feroci. Per quanto i modelli multiculturalisti francese e inglese siano assai diversi tra di loro, hanno condotto allo stesso risultato devastante, ovvero al ritorno del razzismo e a porre le premesse di una vera e propria guerra civile.Tutto ciò è dovuto al fatto che una società non può esistere senza affermare una cultura dominante che stabilisce i principi basilari di convivenza della società. Una società che non fonda la propria esistenza su principi condivisi è destinata alla dissoluzione. Il principio di tolleranza non può significare che non si crede più a nulla, altrimenti prevarrà chi crede fermamente nei suoi principi ed è disposto ad affermarli anche in modo intollerante. Le società occidentali, attraverso il multiculturalismo, tentando di gettare l’acqua sporca del razzismo e del colonialismo gettano anche il bambino: e cioè quelle conquiste in tema di diritti della persona, quella civiltà giuridica ispirata dalla morale ebraica e cristiana che rappresentano ciò che di più importante la civiltà europea ha dato al mondo. Di fronte alla guerra di civiltà scatenata dall’integralismo islamico, il multiculturalismo rappresenta non soltanto una forma di autodistruzione, ma anche un tradimento nei confronti dei paesi oppressi da forme di governo illiberali, la cui unica via di riscatto è l’affermazione dei diritti della persona.

E uno di Souad Sbai (direttore di Al Maghrebiya)

A differenza di altri Paesi europei come la Francia, l’Olanda, l’Inghilterra, che hanno avuto un passato coloniale e nei quali, di conseguenza, è antico il fenomeno dell’immigrazione, in Italia assistiamo all’emergere di una società multiculturale da una quindicina di anni appena, anche se ci troviamo di fronte ad una realtà in costante sviluppo. Sino ad ora le politiche sull’immigrazione sono state poco incisive, forse più concentrate su aspetti come quello della regolazione dei flussi di entrata, problema per altro importantissimo, piuttosto che sull’elaborazione di progetti legislativi e soprattutto culturali volti a rendere effettiva l’integrazione; la sensazione che si prova è quella che si discuta tanto delle problematiche legate al multiculturalismo, ma poco si agisca per porre fine a realtà che rischiano di divenire esplosive se si continuerà ad ignorarle, o se ci si limiterà ad organizzare interessanti dibattiti e scambi di idee senza arrivare a un punto fermo. Spesso ci si è appellati al rispetto delle diversità culturali contro il pericolo di un’assimilazione che elimini le peculiarità delle minoranze; ma questo tipo di multiculturalismo ha portato a non vedere o a far finta di non vedere situazioni di chiara illegalità, a tollerare che nei grandi centri, come in quelli più piccoli, proliferino in maniera incontrollata “moschee fai da te” colluse con i movimenti dell’estremismo religioso, dove improvvisati imam predicano indisturbati messaggi che niente hanno a che vedere con l’islam. Multiculturalismo ha significato tollerare l’esistenza di quartieri-ghetto, all’interno dei quali le varie comunità vivono chiuse in se stesse, separate dal resto della società civile, e all’interno dei quali è più facile l’imposizione di regole e pratiche estranee ad un sistema di valori che dovrebbe essere da tutti condiviso e rispettato. Perchè è in queste realtà a sé stanti, che le donne vengono maltrattate o sottomesse al volere degli uomini in nome di un’osservanza religiosa che in nessun luogo dovrebbe più trovare asilo, è in queste terre di nessuno che si praticano la poligamia e i matrimoni forzati, che i diritti delle giovani e delle bambine vengono negati. Multiculturalismo non significa tollerare che nelle strade delle città i bambini mendichino anziché godere del diritto all’istruzione, permettere che nel nostro Paese le donne (soprattutto ma non solo) vivano la piaga dell’analfabetismo, non sappiano scrivere e leggere né l’arabo né l’italiano, trovandosi in una completa ignoranza dei propri diritti e doveri. Se si è creata questa ambiguità intorno al significato di multiculturalismo è stato forse perché, spesso, la tolleranza è stata confusa con l’indifferenza, perché c’è stata l’incapacità da parte delle istituzioni di offrire, in quanto Paese ospitante o futura patria, valori e regole chiari per tutti, perché poco è stato investito nelle politiche culturali - che sono quelle che poi pagano di più sui lunghi periodi. Solo rendendo chiare le regole per l’ottenimento della cittadinanza, dando maggiore spazio e voce ai musulmani moderati del nostro Paese, restringendo la capacità di azione degli estremisti, investendo nella cultura, dichiarando guerra allo sfruttamento dei lavoratori stranieri, diventando intransigenti sul rispetto di principi comuni, forse sarà possibile evitare che anche in Italia si verifichino, tra qualche anno, le rivolte delle periferie abitate da immigrati di terza generazione, ma ancora corpo avulso dal resto della società, così come è accaduto in Francia, o si potrà evitare che il fondamentalismo e il terrorismo crescano tra le nuove generazioni, tra i figli degli immigrati che hanno già la cittadinanza italiana, come è avvenuto in Inghilterra o in Olanda. Le diverse culture possono e devono convivere, ciò che non può convivere sono diverse idee di cittadinanza, per la quale invece devono essere non sottointesi, ma chiaramente intesi, i valori della democrazia e il rispetto dei diritti umani, come punti fondamentali da tutti condivisi e rispettati. Nessuno escluso.

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