L'UNITA' ha potuto visionare in anteprima l'ultimo rapporto sulla Striscia di Gaza elaborato dal Programma di mondiale di alimentazione delle Nazioni Unite (Wfp).
Ne ha ricavato una notizia falsa: "l’80% dei palestinesi è alla fame", annuncia, mentre il rapporto delle Nazioni Unite collega alla stessa percentuale il numero dei palestinesi di Gaza che dipenddono dagli aiuti umanitari.
Altri dati ambigui contiribuiscono alla manipolazione. Cosa vuol, per esempio che il 51% dei bambini di Gaza "rischia" la "denutrizione"? Vuol dire che al momento non è denutrito e che stando al rapporto non rischia la fame, che porta alla morte, ma la sottoalimentazione che indebolisce l'organismo e lo danneggia a lungo termine.
Va poi ricordato che, stando a diversi organismi dell'Onu, è da alcuni anni che i palestinesi "rischiano" denutrizione, fame e catastrofi umanitarie .
L'UNITA' rilanciava il primo allarme del genere il 4 agosto 2004 (vedi questo link ) .
EUROPA , il 1 aprile 2005, dando notizia di un rapporto dell'Onu sulla fame del mondo, proponeva un paragone tra Israele e Corea del Nord come maggiori responsabili dell'aumento della fame nel mondo (vedi questo link ).
Un insulto alle vittime di una dittatura che ha realmente ridotto alla fame mlioni di persone.
Entrambi i rapporti erano affidati al sociologo marxista Jean Ziegler, noto per avere difeso le politiche di deportazione interna dell'Etiopia di Menghistu, che produssero le terribili carestie che decimarono il paese africano degli anni 80.
La colpa della tragedia, per la ferrea ideologia di Ziegler, non poteva essere che delle multinazionali.
La più grave disinformazione dell'articolo dell'UNITA', però, non è nella sovrastima dell'emergenza umanitaria a Gaza. Consiste nel sottointeso per cui la colpa della situazione di Gaza sarebbe di Israele e del blocco dei finanziamenti imposto dalla Comunità internazionale dopo l'insediarsi del governo di Hamas.
A confutazione di questa falsa idea, riportiamo un brano dell'editoriale del Jerusalem Post del 24 febbraio:
il ministro delle finanze (palestinese, ndr) Samir Abu-Aisha ha rivelato che gli aiuti che affluiscono dall’estero (senza contare i 462 milioni di dollari del budget 2006 dell’UNRWA) sono raddoppiati da quando Hamas è al governo. Cioè, i governi stranieri hanno donato direttamente al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) 720 milioni di dollari, come se in questo modo quei fondi aggirassero il regime di Hamas. Prima di Hamas, nel 2005, l’Autorità Palestinese aveva ricevuto solo 350 milioni di dollari in aiuti stranieri diretti.
A giudicare da queste cifre, i territori palestinesi dovrebbero stare meglio nel 2006 che nel 2005.
Qualunque cosa possa o non possa essere andata storta, non è stato a causa del fatto che l’Autorità Palestinese sarebbe al verde, ma a causa del fatto che le sue entrate non vengono spese per il benessere dei suoi cittadini. Direttamente o indirettamente, gran parte di esse vengono con tutta evidenza sperperate nella costruzione di un apparato militare, nell’armare la striscia di Gaza fino ai denti, nel contrabbando d’armi su vasta scala e nell’importazione di razzi e missili sempre più sofisticati e costosi, il cui unico scopo immaginabile è quello di bersagliare le città israeliane. Intanto le serre e le infrastrutture agricole lasciate da Israele ai contadini palestinesi col disimpegno da Gaza del 2005 non sono state usate per generare reddito e sono andate in rovina, lasciando che tornasse il deserto che vi imperava prima dell’arrivo degli insediamenti israeliani. (fonte israele.net)
Di seguito, l'articolo di u.d.g. .
NON È UN GRIDO d’allarme. È molto di più. È la radiografia di una situazione ormai oltre la crisi umanitaria. È il racconto, sintetiz-
zato in cifre, di oltre ottocentomila esseri umani, donne, bambini, uomini, la cui sopravvivenza quotidiana, il cui sostentamento è oggi totalmente dipendente dagli aiuti internazionali. È ciò che documenta l'ultimo rapporto sulla Striscia di Gaza elaborato dal Programma di mondiale di alimentazione delle Nazioni Unite (Wfp), che l'Unità ha potuto visionare in anteprima.
L'80 per cento della popolazione della Striscia dipende dagli aiuti del Wfp e dell'Unrwa, l'agenzia Onu per i rifugiati. «Senza questi aiuti decine di migliaia di famiglie non riuscirebbero a tirare avanti. La loro condizione è di assoluta indigenza», dice a l'Unità, la portavoce del Wfp per i Territori Kirstie Campbell. Oltre l'emergenza. La situazione, che l'Unità ha monitorato e denunciato più volte negli ultimi mesi, peggiora di giorno in giorno e il rapporto del Wfp lo testimonia con dati agghiaccianti. Come questo: il 46% degli abitanti dei Territori (Striscia di Gaza e Cisgiordania) non hanno la possibilità di accedere a quella che viene considerata dagli standard minimi del Wfp una «equilibrata alimentazione». Ciò significa, spiega ancora Campbell, che il 46% dei palestinesi è impossibilitato a produrre sempre e/o accedere all'alimentazione minima necessaria per una vita sana e attiva.
Nella Striscia di Gaza - altro dato angosciante - quattro palestinesi su cinque sono sotto la soglia di povertà (due dollari al giorno pro capite). Le prime vittime di questa situazione sono i bambini e gli anziani. Altri dati angoscianti: il 51% dei bambini di Gaza soffrono di gravi carenze vitaminiche, e per molti di loro lo sviluppo è compromesso. «Stiamo vedendo sempre più bambini che vengono a scuola senza aver potuto consumare la prima colazione e senza potersi comprare qualcosa da mangiare - racconta la portavoce del Wfp -. Molte famiglie possono dare soltanto un pasto al giorno ai loro bambini. La situazione è particolarmente grave a Gaza, ma segnali inquietanti cominciano a giungere anche dalla Cisgiordania».
Per quanto riguarda la popolazione anziana, nell'ultimo anni i decessi conseguenti ad un «indebolimento organico irreversibile» (inedia) sono aumentati del 38% rispetto all'anno precedente. Disperata. È la valutazione delle condizioni di vita che emerge dal rapporto. Una parola che Kirstie Campbell ripete più volte nella sua testimonianza. L'indigenza si sta estendendo a gruppi sociali che fino a qualche tempo fa ne erano solo sfiorati. Mentre in passato, rileva il rapporto dell'Agenzia Onu per l'alimentazione, la scarsità dei generi alimentari di prima necessità riguardava essenzialmente le zone rurali, ora è un fenomeno che investe anche gli abitanti di Gaza City, e categorie sociali - commercianti, funzionari pubblici - ritenute «privilegiate». L'economia palestinese si configura sempre più come una «economia di baratto». Il Wfp fissa a 1,60 dollari pro capite al giorno la soglia di «indigenza alimentare»; 1,60 dollari al giorno è il minimo richiesto per una alimentazione nutrizionalmente sufficiente. A Gaza, centinaia di migliaia di persone non mangiano altro che pomodori e pane. Non sono solo numeri. Sono volti, storie, che raccontano di una situazione che si fa sempre più disperata.
Nel silenzio, complice, della Comunità internazionale e nella bancarotta morale, oltre che politica, di una leadership palestinese il cui unico interesse appare quello di definire la spartizione di poltrone nel nascente governo di unità nazionale.
È la storia della piccola Dana (8 anni), dei suoi sette fratelli, del padre Yusuf e della madre Basma. È la storia della famiglia Hassein. Dal 2004, racconta Basma, l'alimentazione dei suoi bambini è sempre la stessa: pitta e humus e la mattina, ogni bambino beve una tazza di tè. Una volta a settimana, quando va bene, mangiano pollo o carne rossa. Niente latticini, niente verdura, niente riso o pasta. Senza l'aiuto del Wfp il destino di Dana e dei suoi sette fratelli sarebbe già segnato. Non esisterebbe. Perché è solo grazie all'assistenza Onu che la famiglia Hassein, e come lei altre decine di migliaia, ricevono, ogni due settimane, farina, sale, olio da cucina, tè.
Questa è la «vita» quotidiana in quella prigione a cielo aperto, isolata dal mondo, che è Gaza. Questa è la «vita» che sta sfiorendo all'ombra del «muro» che spezza in mille ghetti la Cisgiordania. Indigenza. Disperazione. Dipendenza pressoché totale dalle agenzie umanitarie. Una situazione, denuncia il rapporto del Wfp, che si andata ancor più aggravando dopo che i migliaia di palestinesi che si recavano giornalmente in Israele per lavoro si sono ritrovati disoccupati in conseguenza delle disposizioni delle autorità israeliane in materia di sicurezza e a seguito della costruzione della barriera di separazione.
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