Dal RIFORMISTA del 3 marzo 2007:
Carissimo Ahmadinejad, per il momento preferirei non saltare in aria. Nulla di personale. Con affetto, da Israele. Questo, con licenza poetica, è il succo di Push the Botton, canzonetta poliedrica - il sound oscilla tra l'hard rock e il swing demenziale, con qualche influenza kletzmer - che avrebbe dovuto rappresentare Gerusalemme al premio musicale dell'Eurovisione. Spiacenti, hanno risposto da Helsinki, ma questa canzone non s'ha da fare: «Il messaggio non è appropriato alla competizione». Così il responsabile dell'organizzazione, il finlandese Kjell Ekholm, ha avvertito che molto probabilmente la candidatura israeliana sarà rispedita al mittente, anche se la decisione ufficiale dovrebbe essere presa la prossima settimana.
Intanto, aspettando l'ultima parola di Helsinki, a Gerusalemme tutti si stanno chiedendo cosa ci sia di tanto scandaloso nel testo. Che recita: «Il mondo è pieno di terroristi, se qualcuno fa un errore e spinge il bottone sbagliato può mandarci tutti quanti al Creatore, bidibibodibibù». Un po' strafottente, forse. Ma, cantato da un israeliano, fin troppo realistico.
Poi: «C’è qualche leader un po’ pazzo, che cerca di prenderci in giro, con i suoi progetti demonico-tecnologici ». Ovviamente ogni riferimento a Mahmoud Ahmadinejad, mai nominato direttamente nel testo, è puramente casuale. Non sarà molto politically correct, però anche Mohammed El- Baradei ha detto più o meno la stessa cosa, e non l’hanno espulso dall’Aiea - e neppure dall’Eurovisione, se è per questo.E ancora: «C’è molta sofferenza in tutto il mondo, la pace è sempre più lontana ». Va bene, questo è molto, molto banale. Eppure la banalità non ha mai bloccato nessuna canzone a un festival. A ben vedere, forse il passaggio più controverso è questo: «Non voglio morire, preferisco guardare i fiori e prendere il sole, piuttosto che fare kaput e ka-boom». La richiesta, in effetti, è alquanto esosa. Ma non finisce qui: «Le bombe mi cadono addosso, proprio su di me! Per favore, chiamate l’esercito, la polizia e la protezione animali». I soliti israeliani che si piangono addosso. Poco importa che gli autori della canzone, i Teapacks, di bombe ne sappiano qualcosa. Il frontman, Kobi Oz (l’omonimia con il più celebre Amos è del tutto casuale, visto che Kobi è nato a Tunisi) è cresciuto a Sderot, cittadina dormitorio nel sud del paese, luogo cult del sottoproletariato israeliano, divenuta celebre nel resto del mondo per i bombardamenti di Qassam. Strafottenti, demenziali, politicamente engagé (a sinistra), i Teapacks si distinguono per un sound che fa propri la melodia araba, l’heavy metal, il rap alla Public Enemy, la chanson française, il reggae e il rock di denuncia. Insomma, una via di mezzo tra Elio e i Mano Negra. I loro dischi circolano in Israele dai primi anni Novanta, Kobi Oz scrive di tanto in tanto sul Maariv, secondo quotidiano del paese. Il testo di Push the Button (premi il bottone, ma il titolo ebraico è hakaftor haadom, il bottone rosso) è stato scritto in tre lingue e in tre stili - inglese (heavy metal/ swing), francese (swing) ed ebraico (rap) - proprio in vista dell’Eurovisione: «E’ importante che gli ascoltatori capiscano qualcosa del nostro messaggio prima che cominciamo a rappare in ebraico, che tanto non capisce nessuno», aveva spiegato il cantante, conscio del limiti della propria lingua madre. Tuttavia, hanno ammesso gli stessi Teapacks, si erano resi conto che il contenuto di Push the Botton sarebbe potuto sembrare troppo provocatorio per gli standard del politically correct. Certo, per i concorrenti israeliani, choccare il pubblico dell’Eurovisione è quasi una tradizione: nel 1998 Dana International (detta «il re, anzi la regina, della canzone israeliana») ha avuto l’onore di essere incoronata prima vincitrice transessuale del concorso. Però i Teapacks, che dopotutto sono ragazzi con la testa sulle spalle, nel dubbio avevano presentato alla commissione israeliana tre canzoni, perché venisse scelta la più appropriata. Paradossalmente, i giudici israeliani squalificarono le altre due, ma non Push the Botton. La prima, Salam Salami, fu squalificata perché il testo non era tutto originale: la canzone, infatti, conteneva una citazione dalla Bibbia. Pure la seconda, intitolata I dodici punti (shtemesre nekudot) è stata respinta: la melodia arabeggiante (la canzone è disponibile su YouTube) non è male, ma il contenuto è stato giudicato non all’altezza dell’Eurovisione. E’ da escludersi che i giudici israeliani abbiano pensato al governo Prodi.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Riformista cipiace@ilriformista.it