Dal RIFORMISTA del 1 marzo 2007:
La notizia è stata data in pompa magna dalla Casa Bianca: alla conferenza di pace per l’Iraq, che si terrà questo a Baghdad, parteciperanno rappresentanti di Washington, Damasco e Teheran. Gli Stati Uniti, insomma, siederanno allo stesso tavolo con Siria e Iran, pronti ad aprire il negoziato con gli “Stati canaglia”. Con Siria e Iran, si sa, prima o poi si doveva trattare: lo diceva Henry Kissinger («In Medio Oriente non si può fare la pace senza i siriani e non si può fare la guerra senza gli egiziani») e lo ha ripetuto James Baker (vedi il famoso dossier dell’Iraq Study Group, a lungo ignorato dal presidente Bush). Per non parlare delle pressioni delle diplomazie europee, in testa il ministro degli esteri D’Alema e l’omologo tedesco Steinmeier, favorevoli ai negoziati con Teheran e Damasco.
Non tutti sanno, però, che prima dell’apertura annunciata due giorni fa da Washington, si è consumato per mesi un estenuante braccio di ferro tra Stati Uniti e Israele. Anzi, per volere essere più precisi, tra il Dipartimento di Stato Usa e il Mossad, il leggendario servizio segreto dello Stato ebraico. Da tempo, le menti pensanti dei servizi israeliani (non solo all’interno del Mossad, a dire il vero, ma anche dello Shin Bet, organizzazione forse meno celebre ma altrettanto importante) sostenevano la necessità di aprire un processo di pace con Damasco, considerato dagli 007 l’unico modo di archiviare una volta per tutte il conflitto con Hezbollah. La posizione del governo israeliano in materia, invece, era meno definita: qualche timida apertura era giunta dal ministro della sicurezza Avi Dichter, ex capo dello Shin Bet e tuttora legatissimo ai servizi, mentre il primo ministro Ehud Olmert ha ripetutamente smentito le voci che circolavano su presunte trattative segrete. Fatto sta che sulla stampa israeliana sono apparsi, qualche settimana fa, alcuni articoli che puntavano il dito contro Washington: Bush sta obbligando il governo israeliano a non trattare con Assad. Questa era la tesi accreditata dalle due penne più prestigiose di Haaretz, Aluf Benn e Amos Harel.
Il Dipartimento di Stato non l’ha presa molto bene. A sentire loro, quelle di Haaretz sarebbero state tutte veline lanciate dal Mossad per fare pressione sul governo Olmert. «Tanto per cominciare, noi non abbiamo mai impedito al governo israeliano di trattare con nessuno», racconta un senior official del Dipartimento di Stato. Non risulta, del resto, che Olmert sia così smanioso di aprire a Damasco. «Il dibattito sui negoziati siriani è molto vivace sia negli States che in Israele», racconta l’official. «Alcuni elementi dell’intelligence israeliana stanno premendo molto per i negoziati. Nel Mossad, poi, è rimasta una certa simpatia per la leadership di Assad padre, che era visto come un uomo forte ideale per mantenere gli equilibri» e che si riflette in parte sull’attuale presidente, Assad junior. «E’ da un po’ che circola questa vulgata secondo cui noi staremmo frenando Olmert sui negoziati, ma non è vero». Tesi giudicata dal Dipartimento di Stato falsa e, soprattutto, tendenziosa: «Se vogliamo parlare di quello che scrive Amos Harel, poi, bisogna anche ricordare che tutte le sue fonti sono nei servizi». Certo, alla Casa Bianca non credono all’utilità di negoziati tra Siria e Israele perché «la priorità di Bashir Assad è riavere il Libano, non le alture del Golan», quindi non è nel suo interesse intavolare un dialogo con Gerusalemme. Gli israeliani, insomma, farebbero bene a non fidarsi. Un consiglio che, a sentire il Dipartimento di Stato, di cui avrebbero bisogno Shin Bet e Mossad, molto più di Ehud Olmert. Nonostante questo tira e molla, tuttavia, alla fine Washington ha accettato di negoziare con Assad, almeno sulla questione irachena. Sarà tutto merito del Mossad?
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