L'Iran non si ferma
ma la piazza pacifista non si riempe
Testata:
Data: 27/02/2007
Pagina: 3
Autore: la redazione - Alberto Flores D'Arcais
Titolo: Ahmadinejad senza freni - "Trovate armi iraniane in Iraq" cresce la pressione Usa su Teheran
Dal FOGLIO del 27 febbraio 2007, un editoriale sulla minaccia iraniana e sul disinteresse del movimento pacifista:

La corsa al nucleare dell’Iran non conosce né “freni né marcia indietro”, è un treno che corre, ogni ostacolo “è stato smantellato da più di un anno”. Il presidente pasdaran, Mahmoud Ahmadinejad, ha rinnovato il suo grido atomico, mentre la tv mostra con orgoglio il missile lanciato nello spazio e il ministro degli Esteri dice che Teheran è pronta a ogni evenienza, “perfino a una guerra”. Ahmadinejad conferma gli allarmi della comunità internazionale, rinnovati dal nuovo report dell’Agenzia atomica dell’Onu, che non lascia dubbi sul treno in corsa.
Eppure le piazze continuano a non riempirsi contro il regime di Ahmadinejad. Non ci sono in programma manifestazioni contro una minaccia sempre più incombente, perpetrata da un regime che viola la legge internazionale su due fronti bellicosamente congiunti: non accettando gli ispettori nei suoi siti nucleari e urlando come obiettivo ultimo della sua politica la cancellazione dello stato di Israele dalla faccia della terra (intanto il comitato sull’Olocausto lavora a pieno ritmo per raccogliere adepti negazionisti). La morsa si stringe, con le armi dislocate da Damasco e Hezbollah ai confini di Israele e la Bomba che nasce al riparo dei negoziati interminabili. Ma la piazza pacifista non si riempie neppure per sfilare contro un regime che passa il rasoio sulla lingua di chi tenta una qualche opposizione, che sbatte nella prigione di Evin chi non parla la lingua della dittatura, che opprime e sopprime indisturbato.

Dalla REPUBBLICA, la cronaca di Alberto Flores D'Arcais:

NEW YORK - Gli Stati Uniti non hanno intenzione di attaccare l´Iran, anche se l´opzione militare resta sul tappeto. Alla Russia di Putin, che si dice «preoccupata per le previsioni e le indiscrezioni su un attacco militare americano», la Casa Bianca replica ricordando che la posizione di Bush resta immutata: la via da seguire è quella del dialogo e della diplomazia, ma «nessuna opzione viene scartata».
Per Washington le Nazioni Unite devono però fare di più per impedire che Teheran abbia (in un futuro più o meno immediato) l´arma atomica, e le sanzioni della comunità internazionale devono essere più dure. Alla riunione del gruppo «cinque+uno» che si è svolta ieri a Londra, il Dipartimento di Stato ha chiesto agli alleati una nuova risoluzione che «aumenti proporzionalmente la pressione sull´Iran». Gli americani sono convinti che le sanzioni votate nello scorso dicembre un piccolo risultato lo abbiano già prodotto: «Hanno aperto una discussione molto pubblica in Iran sulla saggezza dell´attuale corso di azione di sfida al sistema internazionale», ha detto il portavoce di Foggy Bottom Sean McCormack, aggiungendo che ulteriori pressioni contribuiscono a inasprire il solco tra falchi e colombe della teocrazia iraniana.
La nuova risoluzione da presentare all´Onu potrebbe essere pronta giovedì, quando i «cinque+uno» (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania) si riuniranno in una conferenza telefonica per mettere a punto la stesura definitiva. Si lavorerà soprattutto su due punti, la limitazione agli scambi commerciali e alle esportazioni di armi con l´Iran.
Per tranquillizzare la Russia e i paesi che (come la Francia) sono più restii ad un possibile intervento militare, ieri la Casa Bianca è tornata a smentire le rivelazioni del New Yorker secondo cui sarebbe pronta un´opzione per far partire un bombardamento contro Teheran entro 24 dall´eventuale ordine di attacco di Bush. «Seymour Hersh (l´autore dell´articolo, ndr) non ha rispetto per la verità. Non sappiamo niente di un piano del genere, noi lavoriamo a una soluzione diplomatica».
La tensione con l´Iran resta però alta. Ieri la Casa Bianca ha deciso di inviare nel Golfo Persico due portaerei, e dall´Iraq i comandi americani hanno reso noto di aver scoperto e sequestrato armi di fabbricazione iraniana che vengono usate dalla guerriglia per attaccare i soldati Usa. Durante una conferenza stampa nella base militare di Camp Victory, il maggiore Jeremy Siegrist ha annunciato il ritrovamento di 150 proiettili esplosivi anticarro del tipo "Explosively formed penetrators" (Efp), di 19 bombe per mortaio da 120 millimetri e 13 razzi Rpg da 122 millimetri che riportano numeri serie ed altri segni che ne individuano la «provenienza iraniana». Secondo il Pentagono, almeno 170 soldati americani hanno perso la vita, dal 2004 ad oggi, a causa dei proiettili esplosivi anticarro di fabbricazione iraniana.
Inoltre, un articolo pubblicato ieri mattina sul New York Times sostiene che la scorsa settimana, durante un raid compiuto dalle forze americane nella cittadina irachena di Hilla, sono state rinvenute e sequestrate armi e componenti, sempre di fabbricazione iraniana, utilizzate dai ribelli per la costruzione delle loro sofisticate e potenti mine artigianali. Le prove raccolte includono tecnologie militari come sensori ad infrarossi, dispositivi elettronici per la detonazione, oltre alle istruzioni per il confezionamento di esplosivi al plastico. Si tratterebbe dello stesso materiale militare che è stato rinvenuto nel Libano del sud, quello usato dagli Hezbollah filo-iraniani per attaccare Israele; materiale che arriva in Libano attraverso la Siria.
Le pressioni diplomatiche americane non riguardano comunque soltanto l´Iran. Di ritorno dalla sua missione in Australia, il vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney ha fatto prima tappa in Pakistan, dove ha cercato di persuadere il presidente Parvez Musharraf a intensificare gli sforzi contro Al Qaeda, e successivamente - in modo del tutto inatteso - a Kabul. Nella capitale afgana, tuttavia, Cheney non è riuscito a incontrarsi con Karzai a causa del maltempo.

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