In un'intervista del 14 febbraio concessa a Paola Caridi,pubblicata dal sito lettera 22, padre Michele Piccirillo accusa Israele, con allusioni infondate, per i lavori intorno al Monte del Tempio.
Auspica "decisioni condivise", fingendo di ignorare la natura pretestuosa della campagne fondamentaliste.
Descrive falsamente i lavori per rendere nuovamente accessibile la il Muro del Pianto come uno scenario di inaudita violenza dove i palestinesi non potevano "trovare scampo".
Naturalmente ignora le violazioni sistematiche dei diritti religiosi degli ebrei durante l'occupazione giordana di Gerusalemme Est. Ignora il fatto che è solo con l'avvento della sovranità israeliana che a Gerusalemme tutte le religioni hanno avuto uguale libertà e uguale tutela ( a parte il divieto agli ebrei che lo desiderano di pregare al Monte del Tempio, imposto dal pericolo della violenza di matrice musulmana), ponendo fine a una storia di sanguinosa intolleranza.
Ecco il testo:
All’archeologia pura, ormai, sono in molti a non crederci. Soprattutto quando si esercita in luoghi dove il rapporto tra la pala dello studioso e lo scettro del re è, pour cause, diretto. In uno dei rarissimi libri sulle “relazioni pericolose” tra scavi e potere (Archeologia e Mare Nostrum. Le missioni archeologiche italiane nella politica mediterranea dell’Italia 1898-1943), Marta Petricioli – docente di relazioni internazionali ed esperta di Medio Oriente -aveva per esempio individuato tre modi per utilizzare le missioni di scavo da parte di Roma coloniale e poi fascista: come specchietto per le allodole che mascherava obiettivi economici, militari e politici più ampi, oppure a scopi propagandistici, magari per affermare il mito di Roma, e infine come uno strumento per contrastare o controllare le iniziative di altri paesi.
Difficile pensare che la commistione tra potere e archeologia non alberghi, dunque, anche tra le stradine della Città Vecchia di Gerusalemme, all’ombra di un complesso architettonico, quello racchiuso dalle cosiddette mura erodiane, che per i musulmani è la Spianata delle Moschee e il terzo luogo santo dell’islam, per i cristiani del tempo delle crociate era il Templum Domini e per gli ebrei è il luogo santo per eccellenza, là dov’erano il primo e il secondo tempio, e per i più radicali dove prima o poi sorgerà il Terzo Tempio, al posto delle moschee. Una grande area rettangolare, circondata da un muro di cinta colossale, poco meno di 300 metri per 500 di lunghezza.
Di questo legame indiscusso è convinto uno degli archeologi più stimati e più noti di tutto il Medio Oriente, padre Michele Piccirillo. “E’ uno dei monumenti più belli al mondo, quello che si erge sullo Haram al Sharif, la Spianata delle Moschee. Non solo per Al Aqsa e la Cupola della Roccia, che sono presenti non a caso in grandi esempi della pittura italiana del Rinascimento”, dice padre Michele, frate francescano, che a Gerusalemme c’è da oltre quarant’anni e ha dunque assistito a tutti i profondi cambiamenti della città. “Basta guardare a quello che è successo negli ultimi decenni, ma anche prima, nella storia degli scavi nella Città Vecchia, per capire che non è possibile buttare fuori la politica dalla finestra, e lasciarci solo l’archeologia”, commenta padre Piccirillo dal suo studio alla Flagellazione, proprio di fronte alla Cupola della Roccia, dove venerdì scorso il suono dei lacrimogeni lanciati dalla polizia israeliana sulla Spianata delle Moschee ha rotto l’aria rarefatta del convento e interrotto i commerci della Città Vecchia.
Il pensiero va ad altri scontri, ad altri lacrimogeni, e purtroppo a parecchi morti. Era il 1996, e l’allora premier Benjamin Netanyahu - con il parere contrario del suo ministro della difesa, in uno strano parallelo con l’oggi - decise di aprire la porta del cosiddetto tunnel del Muro del Pianto, cinquecento metri di galleria che corre lungo il perimetro delle mura erodiane, e arriva proprio di fronte al convento della Flagellazione. “La galleria naturale, una fenditura della roccia chiamata dagli archeologi tunnel asmoneo, è di per se stessa lunga trenta metri. Poi – per molti anni – il resto della galleria è stato scavato lungo il perimetro, attraverso le arcate che sostenevano i palazzi dei notabili mamelucchi, attraverso antiche cisterne. Oltre dieci anni fa, l’apertura del tunnel. Yasser Arafat disse allora che il tunnel correva sotto la moschea. Non era vero”, spiega padre Piccirillo. Ma gli scontri tra palestinesi e polizia israeliana ci furono lo stesso, con il tragico corredo di morti. E l’inevitabile tensione che da sempre aleggia lungo i selciati della Città Vecchia. E che in questi giorni è salita a livelli di guardia, sino a che il sindaco di Gerusalemme, Uri Lupolianski, non ha deciso di sospendere i lavori all’altezza della porta Mughrabi, dopo l’accusa da parte delle autorità religiose musulmane di non aver cercato una decisione condivisa e le pressioni da parte dell’Unesco di fornire le carte dell’intervento in un luogo così sensibile.
Gerusalemme antica è un posto dove i ricordi non sono nostalgie, ma ferite amare. La rampa Mughrabi, per esempio, prende il nome dal vecchio quartiere marocchino che insisteva sulle mura erodiane. Poco dopo la guerra del 1967, alla fine di giugno, le autorità israeliane decisero di costruire una grande piazza. “In appena tre giorni, i bulldozer distrussero tutto – racconta padre Michele -. Ero lì, con un gruppo di volontari laici e religiosi perché la Croce Rossa non aveva avuto il permesso di entrare, ad aiutare le famiglie dei palestinesi del quartiere Mughrabi a scappare, e a trovare un rifugio da qualche parte. Per i palestinesi della Città Vecchia, la parola Mughrabi evoca una delle principali, profonde offese alla popolazione più povera di Gerusalemme”.
Stavolta, però, si tratta solo della ricostruzione di una rampa. “Sì, questo dicono le autorità israeliane. Bisogna ricordare, comunque, che la rampa è all’altezza della cosiddetta porta di Barclay. E iniziare gli scavi in quell’area vorrà dire riportare in luce reperti come vecchie e imponenti pietre squadrate delle mura e, probabilmente, decorazioni degli edifici superiori”. La domanda di fondo, da parte dell’archeologo Piccirillo, è però ancora e sempre una: “Gerusalemme è di tutti, ebrei, cristiani, musulmani. E soprattutto è patrimonio universale dell’umanità, sotto la protezione dell’Unesco. Perché non cercare di avere, sempre, decisioni condivise?”
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