17 organizzazioni britanniche hanno firmato un'appello contro un intervento militare per fermare l'Iran. «Le possibili conseguenze di un'azione militare—si legge nel documento — potrebbero essere così serie che i governi hanno la responsabilità di esplorare fino in fondo ogni possibile soluzione diplomatica. Al momento, non è quanto viene assicurato». Tra i firmatari dell'appello c'è anche sir Richard Dalton, ambasciatore di Londra a Teheran tra il 2002 e il 2006. Pur riconoscendo la minaccia posta dalle ambizioni nucleari iraniane, Dalton ritiene che «il ricorso a mezzi militari, se non nel caso di legittima difesa, non solo non avrebbe probabilmente alcun effetto, ma sarebbe un disastro per l'Iran, il Medio Oriente e molto probabilmente il mondo intero». Per questo l'ambasciatore britannico consiglia a Tony Blair e a George Bush di mostrare «fermezza, pazienza e dedizione alla diplomazia» nei confronti di Teheran.
Intanto Washington ha fatto sapere ieri che chiederà al Consiglio di Sicurezza di rendere «progressivamente» più severe le sanzioni contro il regime iraniano, nel caso Teheran continuasse a ignorare le richieste della comunità internazionale a proposito della questione nucleare. Il portavoce del Dipartimento di Stato Sean McCormack ha fatto notare come l'Iran stia continuando «sulla strada dell'isolamento», rifiutando di interrompere i programmi di arricchimento dell'uranio.
L'unica soluzione, sostengono, è la diplomazia. L'opzione militare è un disastro.
Forse gli estensori di un simile documento non si rendono conto che affermazioni come queste suonano come un incoraggiamento ai tiranni a sfidare la comunità internazionale e contribuiscono ad allontanare, anziché ad avvicinare, una soluzione diplomatica.
E forse non ricordano un politico inglese che volle evitare il disastro di una guerra contro la Germania: Neville Chamberlain.
Non riuscì ad evitare la guerra, dato che era Hitler a volerla, ma ritardo di molto la cura del cancro nazista.
Una scelta che cosò la vita a milioni di esseri umani.
Ecco il testo della cronaca pubblicata dal CORRIERE della SERA del 6 gennaio 2007:
«È ora di parlare». Non esiste che la soluzione diplomatica per risolvere la questione del nucleare iraniano. Al contrario, l'opzione militare non porterà che al disastro. Questa, in sostanza, la conclusione di un appello reso noto ieri in Gran Bretagna da ong come la Oxfam, congregazioni religiose (per esempio il Muslim Council of Britain, Consiglio musulmano britannico), sindacati e think-tank come il Foreign Policy Centre. In tutto 17 differenti organizzazioni che hanno siglato un documento rivolto al primo ministro britannico Tony Blair. Il testo, intitolato appunto, «Time to Talk» («È ora di parlare»), analizza i possibili scenari di una guerra contro Teheran con lo scopo di impedire agli ayatollah di dotarsi dell'arma nucleare. Lo scenario prospettato è identico a quello contenuto nell'avvertimento di tre generali americani della riserva, destinato questa volta a Bush e pubblicato dal Sunday Times: un attacco all'Iran avrebbe conseguenze terribili per l'intero Medio Oriente e per il resto del mondo, potrebbe destabilizzare ulteriormente l'Iraq, azzerare le speranze di pace tra israeliani e palestinesi, rafforzare i «falchi» nel governo del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. In più, i bombardamenti farebbero impennare il prezzo del petrolio.
Di seguito, il commento di Dimitri Buffa dall'OPINIONE :
Dopo i generali americani, per fortuna a riposo, che ieri avevano inondato il "Sunday times" con i loro penosi appelli alla resa fatalista all'Iran degli ayatollah, ieri è stata la volta dei volenterosi aspiranti Chamberlain britannici a dare alle agenzie il solito documento buonista che attacca Tony Blair e il proprio sostegno alle larvate intenzioni di George W. Bush di volere fare pressione anche militare sull'Iran per convincerlo a rinunciare all'arma atomica.
In una lettera aperta firmata da tutti i maggiorenti e i responsabili di varie ong, ad esempio la Oxfam, i sindacati Unison, Gmb e Amicus, e le organizzazioni religiose “Christian solidarity worldwide e Muslim Parliament”, si chiede a Blair di mettere in croce l'alleato Bush perché rinunci a ogni forma di minaccia militare su Teheran. Minaccia, si badi bene, di guerra neppure a parlarne. E il tutto in nome di non si sa bene quale dialogo o prospettiva di accordo con il regime antisemita di Ahmadinejad.
I buonisti a oltranza sono riusciti a garantirsi l'appoggio di un'altra ex quinta colonna, cioè il passato ambasciatore britannico a Teheran, sir Richard Dalton, secondo cui "il ricorso all'azione militare, se non in caso di legittima difesa, non solo non funzionerebbe, ma sarebbe un disastro per l'Iran, l'intera regione e il mondo". Miele per le orecchie di questi novelli campioni dell'appeacement con il tiranno antisemita di Teheran, ad avviso dei quali "anche secondo le peggiori stime, l'Iran è ancora lontana anni dall'avere un'arma nucleare...". La vulgata rassicurante è che "c'è ancora tempo per trattare e il Primo ministro deve far sì che i nostri alleati lo usino". Il rapporto intitolato "Tempo di parlare: le ragioni per una soluzione diplomatica sull'Iran", accusa persino il primo ministro britannico Tony Blair di usare la prospettiva di un'azione militare come "un mezzo negoziale". Come a dire che la guerra non solo non si deve fare ma neanche promettere.
La teoria di questi utilissimi (all'Iran) idioti è che le conseguenze di un nuovo conflitto in Medio Oriente sarebbero "inimmaginabili" e che i soldati inglesi verrebbero presi di mira, per ritorsione, in Iraq e in Afghanistan e che in genere tutta l'area risulterebbe destabilizzata. Argomentazioni abbastanza risibili e demagogiche, se si vuole, e che non tengono conto che oramai e da anni, quelle zone sono di fatto zone di guerra e non si vede cosa altro possa essere destabilizzato dal terrorismo islamico che non lo sia già stato prima. In realtà ad avvantaggiarsi di questi proclami sarà come al solito proprio il tiranno di Teheran che potrà vendersi la cosa come una "divisione", da lui provocata, sul fronte interno occidentale. Quello che più di ogni altro dovrebbe essere compatto nel minacciarlo di fargli fare la fine di Saddam Hussein.
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