Dal CORRIERE della SERA del 26 gennaio 2007, la cronaca dell'approvazione della proposta di legge Mastella da parte del Consiglio dei ministri:
ROMA — Alla fine, la mediazione escogitata dai tecnici del ministero della Giustizia per l'ultima stesura del ddl-Mastella ha messo tutti d'accordo: unanimità in consiglio dei ministri, applausi delle comunità ebraiche e nessuno strappo con i 200 storici che avevano sottoscritto un appello per bloccare chi, nel governo, intendeva procedere con l'introduzione nel codice penale di un reato specifico contro il negazionismo della Shoah. Qualche malumore contro l'iniziativa di Mastella l'hanno espressa ancora ieri il sindaco di Roma, Walter Veltroni, il ministro Fabio Mussi e i socialisti Roberto Villetti e Margherita Boniver ma è pure vero che lo hanno fatto prima di leggere l'ultima stesura del ddl.
Nel testo, infatti, non compare la parola «negazionismo». E non c'è neppure la «circostanza aggravante», prevista in una bozza alternativa del ministero della Giustizia poi accantonata, che puniva anche chi si macchia di apologia e istigazione a commettere reati contro l'umanità «negando, in tutto o in parte», l'esistenza delle condotte riconducibili ai genocidi e ai crimini contro l'umanità così come previsto dagli articoli 6 e 7 dello Statuto della Corte penale. Questa strada, confermano in via Arenula, avrebbe esposto il testo ad attacchi da tutte le direzioni, e anche Rifondazione era pronta a mettersi di traverso: «Un testo che produrrà un effetto boomerang, perché permetterà ai negazionisti di farsi pubblicità e che rischia di legare la libertà di pensiero alle maggioranze politiche», era già scritto nel comunicato preparato da Daniele Farina (Prc). Erano note, poi, le controindicazioni individuate dai ministri Amato e Bonino.
In buona sostanza, il dibattito serrato degli ultimi giorni ha indotto il governo a scegliere una strada di pianura rispetto al tortuoso sentiero di montagna immaginato con l'introduzione di un reato specifico contro il negazionismo storico. Si è dunque ripreso in mano il decreto Mancino del 1993, che nel 2006 era stato modificato dalla legge sui reati di opinione varata dalla Cdl, e si è ripristinato il carcere fino a tre anni (senza più l'ammenda fino a 6.000 euro in alternativa alla reclusione) «per chiunque diffonda in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o l'odio razziale o etnico, ovvero inciti (detenzione da 6 mesi a 4 anni) a commettere o commetta atti di discriminazione...». Il decreto Mancino ora ripristinato in tutte le sue parti prevede in luogo della «propaganda» la condotta della «diffusione» e l'«incitamento» invece dell'«istigazione». In altre parole, si è di nuovo abbassata l'asticella che, invece, nel 2006, aveva reso più difficile perseguire chi promuove «l'antisemitismo, l'odio razziale e gli atti di discriminazione per motivi religiosi, etnici e sessuali».
E i riferimenti al negazionismo, quello per intenderci che ha animato anche l'altra sera l'intervento televisivo dello storico inglese David Irving, che fine hanno fatto? Nella relazione tecnica del ddl, c'è scritto che ora «sarà possibile reprimere con efficacia ogni forma di esternazione concernente la superiorità e l'odio razziale...». E questa soluzione lascia intendere che spetterà ai giudici decidere se e come forzare l'interpretazione della norma.
Il portavoce della Comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, ha espresso il suo apprezzamento: «Plaudiamo all'iniziativa del ministro Mastella e siamo lieti che un argomento così delicato e importante abbia trovato l'unanimità nel nostro governo». Pacifici, poi, si augura che l'Italia faccia da apripista «per il provvedimento chiesto da Angela Merkel, presidente di turno della Ue, per tutti i 27 Paesi dell'Unione».
Nella maggioranza di governo, tuttavia, rimangono i dubbi sull'opportunità di questa iniziativa varata in coincidenza con la Giornata della memoria. Walter Veltroni, che ieri ha partecipato alla presentazione in Campidoglio del Master «Didattica della Shoah» dell'Università Roma Tre, ha messo in guardia Mastella: «Comprendo il senso e le motivazioni della sua iniziativa ma non lo strumento perché più che punire serve educare». E nella stessa sede anche il ministro Fabio Mussi (Ricerca e Università) aveva osservato che «la memoria non si impone con il codice penale». Ma, poi, il ddl Mastella ha preso un'altra strada.
Di seguito , un articolo di Dario Fertilio sul negazionismo:
Gratta via il negazionismo, ci ritrovi il neo-nazismo: slogan troppo azzeccato perché dia segni di vecchiaia. Adesso, tuttavia, è tempo di aggiornarlo: guarda quel negazionista, forse viene da sinistra. Perché il partito degli antisemiti ha mille facce e non discrimina sui colori di provenienza (nero fascista, bruno nazionalsocialista, rosso comunista, o anche verde islamista). L'uno o l'altro pari sono, purché concorrano a rafforzare il mito fondante, la tesi principale: l'idea di una congiura "giudeo-pluto-massonica" che avrebbe inventato lo sterminio nelle camere a gas per legittimare e rendere inattaccabile il suo dominio sul mondo.
Se qualcuno nutrisse dubbi in proposito, dovrebbe correre a leggersi la colossale Storia della Shoah appena pubblicata dalla Utet, e in particolare il capitolo — a firma di Valentina Pisanty — dedicato alla questione degli studiosi, o presunti tali, che mettono in discussione l'importanza, il significato, la portata e in definitiva l'esistenza stessa della Shoah.
Valentina Pisanty, semiologa all'università di Bergamo e autrice di libri importanti sul tema, analizza in realtà l'intero fenomeno, sforzandosi per così dire di entrare nella mente di coloro che vi si riconoscono. L'intento comune ai negazionisti è provare l'esattezza di un assioma fondamentale: le camere a gas sono un'invenzione della propaganda alleata, di matrice sionista, volta ad estorcere ingenti riparazioni di guerra alla Germania, e quindi a servirsene per finanziare lo stato di Israele. Ovvio che un'elementare norma di prudenza li spinga a non presentare troppo brutalmente le loro tesi; eccoli dunque, per motivi tattici, mascherarsi volentieri da «revisionisti» (espressione nobile che indica invece la disposizione dello storico a mettere sempre in discussione le analisi e a rivedere i risultati delle sue ricerche) e che li avvicina se mai ai «riduzionisti» (categoria più ambigua e sfuggente che alcuni attribuiscono a Ernst Nolte). Un modo per riconoscerli al di là d'ogni ragionevole dubbio? Esiste, e si identifica con otto assiomi: la "soluzione finale" consisteva nell'emigrazione e non nello sterminio; non ci furono vittime gasate; la maggior parte degli ebrei scomparsi emigrarono in America e in Urss facendo sparire le proprie tracce; i pochi ebrei giustiziati erano criminali sovversivi; la comunità ebraica mondiale perseguita chiunque voglia svolgere ricerca storica onesta sulla seconda guerra mondiale; non ci sono prove che sia avvenuto un genocidio; l'onere della prova sta dalla parte degli "sterminazionisti"; le contraddizioni riguardo ai calcoli delle vittime dimostrano con certezza il carattere menzognero delle tesi ufficiali. É estremamente interessante anche l'analisi "tecnica" realizzata dalla Pisanty sui procedimenti mentali con cui si isola la singola testimonianza dal complesso delle prove in cui è inserita, per renderla più vulnerabile agli attacchi; ci si sforza di screditare i testimoni, facendoli apparire psicolabili, alcolizzati, depravati, accusandoli di agire a scopo di lucro (Elie Wiesel) o addirittura di essere un'invenzione della propaganda alleata e sionista (il personaggio Anne Frank).
Una confraternita inquietante, insomma, quella dei negazionisti, che possono riconoscere fra i loro padri spirituali i francesi Maurice Bardèche, dichiaratamente fascista, e l'ex professore dell'università di Lione Robert Faurisson. Quest'ultimo, nel '78, si atteggiò a vittima perseguitata, guadagnandosi l'attenzione del quotidiano progressista Le Monde e del celebre Noam Chomsky: prima occasione clamorosa di convergenza fra negazionismo e sinistra, che un quindicennio più tardi avrebbe avuto nel caso del filosofo ex-comunista Roger Garaudy il suo esempio più clamoroso. Non certo l'unico, comunque, se solo si pensa alla strana "sindrome di Stoccolma" che colpì Paul Rassinier, deportato a Buchenwald, appartenente alla sinistra pacifista, che passando dalla casa editrice di estrema destra Les Sept Couleurs a quella di estrema sinistra La Vieille Taupe diretta da Pierre Guillame, volle mettere in discussione le «distorsioni» cui la «storiografia dei vincitori» avrebbe sottoposto la storia della guerra.
Oggi è proprio l'Italia il paese in cui il negazionismo di sinistra sembra aver messo radici più profonde: fra i suoi esponenti Andrea Chersi e soprattutto Cesare Saletta (comunista di scuola "bordighiana"), attento a cogliere il «ruolo che gli ebrei giocano nella civiltà capitalista», oltre alla casa editrice Graphos. Ma sullo sfondo una forza ben più potente, l'islamismo totalitario, sta tentando di accreditare e organizzare l'area pur sempre magmatica e contraddittoria dei negazionisti. L'ultimo, provocatorio convegno storico organizzato dal presidente Ahmaninejad a Teheran è servito probabilmente proprio a questo.
Come reagire all'antisemitismo appena mascherato che aleggia? Non con le leggi né con le censure, che oltretutto (come hanno dimostrato gli ultimi falliti tentativi, compiuti in alcuni paesi, di oscurare i siti web negazionisti) finiscono per suscitare pericolose ondate garantiste di sostegno, in difesa della libertà d'espressione. Tanto meno, dopo il caso Irving in Austria, ricorrendo al carcere. Il progetto Nizkor ricordato dalla Pisanty (in ebraico «Noi ricorderemo») si è assunto il compito di smascherare le bugie negazioniste attraverso un meticoloso monitoraggio dei siti. Il motto adottato è: «per combattere idee perniciose servono altre idee». È qui, allora, che si giocherà la vera partita della storia.
Da La STAMPA, un intervento di Brunello Mantelli, Professore di Storia Contemporanea all' Università di Torino, favorevole alle sanzioni legali contro il negazionismo :
Non ho firmato il comunicato steso da Marcello Flores, Simon Levis Sullam ed Enzo Traverso, e sottoscritto da circa 150 colleghi storici, di critica all’ipotesi, enunciata dal ministro Mastella, di rendere reato penale la negazione della Shoah. Molti ragionamenti presenti in quel testo e negli interventi apparsi sui quotidiani possono apparire condivisibili e convincenti, e tuttavia mi sembrano peccare di astrattezza. Credo che esista una fondamentale differenza tra il discutere di questo tema in Paesi che la Shoah non l’hanno conosciuta direttamente né tantomeno vi hanno dato un contributo attivo, come Stati Uniti, Gran Bretagna, Svezia, e invece parlarne in quegli Stati che si sono fatti parte attiva nel perseguitare gli ebrei d’Europa e dal 1941 nello sterminarli: la Germania, l’Austria (l’Anschluß non autorizza gli austriaci a considerarsi semplicemente le «prime vittime del nazionalsocialismo»), l’Italia (tralascio per brevità i casi analoghi slovacco, romeno, ungherese, e così via).
Alla Shoah l’Italia diede un contributo decisivo
Dal 1938 l’Italia monarchico-fascista perseguitò duramente gli ebrei italiani e stranieri, e dopo l’8 settembre la Repubblica Sociale Italiana (composta da italiani, compresi i «ragazzi di Salò») diede un contributo decisivo nell’arrestare, concentrare, deportare quasi 9 mila ebrei verso Auschwitz (e oltre 26 mila non ebrei verso Mauthausen, Dachau, Ravensbrück). Per questo credo la questione non possa non suonare diversamente se posta da noi, così come nella Repubblica federale tedesca. È opportuno che questo Paese e i suoi cittadini imparino a provare vergogna per ciò che i suoi governanti di allora commisero, nell’indifferenza e spesso con l’appoggio dei cittadini non ebrei. La proposta di legge, se si limiterà a dire che è reato negare la storicità della Shoah non sarà sufficiente, rischiando di assecondare la tendenza diffusissima a scaricare la colpa su qualcun altro: «La deportazione e la Shoah l’han fatta i nazisti» è discorso frequente; «l’Italia è fuori dal cono d’ombra della Shoah» è frase scritta, sciaguratamente, da un grande storico quale fu Renzo De Felice. Ma se nel testo saranno richiamate le precise responsabilità dell’Italia monarchico-fascista prima, della Repubblica sociale italiana dopo, nella persecuzione e nello sterminio degli ebrei in Italia, allora anche la norma giuridica potrà dare un contributo a far diventare questo Paese un po’ più consapevole.
La libertà di opinione non c’entra
Vorrei far notare che: a) la proposta del ministro Mastella si richiama alla proposta lanciata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, presidente pro tempore dell’Ue, secondo la quale tutti gli Stati membri dell’Unione dovrebbero dotarsi di una legislazione analoga a quelle vigenti nella stessa Brd, in Austria e in Francia; b) nessuno può ritenere che Germania, Austria e Francia non siano Stati di diritto, democratici, rispettosi dei diritti dei cittadini (e la questione è all’ordine del giorno anche nella Confederazione elvetica); d) che c’entra la libertà di opinione con la manifestazione pubblica di affermazioni che portano un chiaro segno antisemita? e) Il negazionismo è una forma di antisemitismo, posto che in discussione non è il fatto che si discuta attorno ai «perché», ai «come», al «dove», al «quando» e nemmeno al «quanto» in merito alla distruzione degli ebrei d’Europa, ma il fatto che lo si neghi puramente e semplicemente; f) è la negazione pura e semplice dell’evento che a mio giudizio è opportuno sanzionare, qui in Europa, dove la distruzione fu effettuata, e in particolare negli Stati che di tale distruzione furono agenti attivi.
Dal GIORNALE , un articolo di Massimo Teodori, contrario alla legge:
«Potrà essere punito con la reclusione fino a 4 anni chi nega la Shoah». Pur senza fare riferimento a un preciso reato di «negazionismo» ma solo all'apologia dei crimini contro l'umanità, il Consiglio dei ministri, su proposta del guardasigilli Mastella, ha introdotto nel codice penale italiano un nuovo reato d'opinione.
Erano state molte le personalità autorevoli che avevano sconsigliato il passo. Il presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, aveva dichiarato: «L'Ucei è contraria all'introduzione dei reati di opinione» perché «gli ebrei, anche per esperienza diretta, conoscono quanto sia importante il rigoroso rispetto dei principi generali di libertà sanciti dalla Costituzione»; il vecchio saggio, rabbino Elio Toaff, dal canto suo, aveva sentenziato: «Negare l'Olocausto è già negare l'evidenza. Io quella legge non la firmerei»; e centinaia di storici d'ogni tendenza avevano ribadito il principio che la storia non si decreta per legge. Anche diversi politici, Giuliano Amato, Francesco Rutelli e perfino Luciano Violante, si erano dichiarati contrari salvo poi tacere al momento decisivo.
Il nuovo reato è un'incongruenza in un Paese di civiltà liberale. I reati d'opinione sono l'arma degli Stati autoritari per colpire non le azioni ma le opinioni e le intenzioni dei diversi e dei dissenzienti. Non è un caso che in Italia il sofisticato sistema dei reati d'opinione sia stato introdotto nel 1930 dal grande giurista Alfredo Rocco per rafforzare il regime fascista. Ed è significativo che la Corte suprema americana, la più sperimentata espressione del costituzionalismo liberale, che ha la funzione di tutelare non il potere dello Stato ma i diritti di libertà degli individui, abbia prodotto una secolare giurisprudenza contro i reati di opinione, anche i più abominevoli.
Chi vorrebbe giustificare le manette per i reati d'opinione distinguendo «la libertà di espressione» dalla «libertà di menzogna», dimostra mancanza sia di senso giuridico liberale che di visione storica rigorosa. La verità storica si fa strada senza i carabinieri e la menzogna, tanto più se paradossale, è solo una buffonata senza seguito. Pensare di distinguere per decreto penale la verità dalla menzogna significa solo riproporre una visione fondamentalista che fa male alla storia come all'etica.
Certo l'anti-semitismo, l'anti-israelismo e l'anti-sionismo sono tra noi, nell'Europa cristiana e nell'Italia cattolica, e non solo nel Medio Oriente islamico. Basta ricordare le ricerche che hanno messo in luce come il pregiudizio anti-ebraico permane nelle società europee. Certo, in Italia, non passa giorno in cui settori importanti dei media non guardino alle vicende israeliane con uno strabismo che offende il buon senso. Certo, oggi incombe l'Iran di Ahmadinejad che ufficialmente nega la Shoah e promuove ridicole campagne. Ma c'è qualcuno che sensatamente ritiene che l'introduzione del reato negazionista, o comunque lo si chiami, possa servire in Italia alla lotta culturale e politica anti-antisemita?
Il reato proposto dal governo serve solo alla buona coscienza a buon mercato. Si dirà che molti altri Paesi (Austria, Belgio, Francia, Germania, Polonia, Spagna, Svizzera...) hanno introdotto il reato negazionista, e che l'Austria ha addirittura processato e condannato uno storico. Ma sorge il dubbio che in molti di questi casi la legislazione anti-negazionista nasca piuttosto dalla cattiva coscienza del passato (Austria, Germania, Polonia) o dalla volontà dello Stato giacobino di imporre i suoi valori all'intera comunità nazionale (Francia...).
Diverso, invece, è il significato della risoluzione di condanna del negazionismo presentata dagli Stati Uniti all'assemblea generale dell'Onu in vista della giornata della memoria. Qui siamo sul terreno delle enunciazioni solenni del più autorevole consesso del mondo che non comporta alcuna sanzione penale ma solo la codificazione di un valore storico-etico internazionale che dovrebbe accomunare tutti i Paesi democratici e liberali. Un obiettivo tanto più importante in quanto dalle Nazioni Unite (Conferenza di Durban) sono venute le peggiori manifestazioni collettive di anti-semitismo, anti-israelismo ed anti-americanismo.
m.teodori@mclink.it
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