Il nuovo antisemitismo ha bisogno di ebrei "buoni"
un capitolo del nuovo libro di Emanuele Ottolenghi
Testata:
Data: 24/01/2007
Pagina: 4
Autore: Emanuele Ottolenghi
Titolo: L'elogio degli ebrei dissidenti e le critiche al sionismo possono essere un alibi intellettuale per l'antisemitismo

Dal RIFORMISTA del 23 gennaio 2007, un brano tratto dal libro di Emanuele Ottolenghi "Autodafé. L'Europa, gli ebrei e l'antisemitismo" (Lindau):

 È indubbio che in Europa esiste un problema antisemitismo. Né si può negare che esso sia spesso legato alle vicende politiche mediorientali e a certe critiche nei confronti dello stato d’Israele.La maggior parte degli episodi antisemiti sono attivati dal conflitto in corso in Medio Oriente,e parte di essi sono sollecitati da letteratura e reportage mediatico degli eventi.Ma se esiste una correlazione causale tra eventi,racconto mediatico e attacchi,non sempre e non necessariamente essa avviene perché il modo di raccontare le notizie incoraggia o quanto meno indirettamente favorisce il risorgere del pregiudizio.Di certo la stampa non è favorevole a Israele, non tutta almeno e certamente non sempre.Ma si può accusare la stampa in tutta l’Europa in maniera sistematica e indistinta di far torto alla verità? E anche se questo fosse possibile, come si dimostra che è la stampa a causare, nel suo raccontare ostile (e ingiusto) le vicende che coinvolgono Israele, a provocare un rigurgito d’odio contro gli ebrei? Anche se il torto alla verità è dimostrabile,esso dovrebbe generare un sentimento di ostilità per Israele, ma non necessariamente per gli ebrei. Posto che tale torto sia empiricamente verificabile, come si spiega poi la transizione da odio per Israele a odio per gli ebrei? E anche se questo meccanismo avviene,è verificabile e può essere dimostrato, si tratta di antisemitismo, o di altro? Questa correlazione esiste, ma dimostrarla non è semplice.Non basta dimostrare che un articolo è ostile, negativo,financo fazioso,per dimostrare l’esistenza di un pregiudizio. Non basta nemmeno dimostrare che le informazioni offerte da un articolo o da una serie di articoli sono sbagliate o decontestualizzate, involontariamente o a bella posta. Occorre invece dimostrare come questo meccanismo di disinformazione, quando fosse comprovato,risveglia il pregiudizio.Da quando l’Europa dibatte nuovamente l’antisemitismo, non passa giorno che voce non si levi a denunciare il tentativo di mettere a tacere i critici d’Israele con il ricatto dell’accusa di antisemitismo. Diciamolo dunque subito, chiaramente e senza equivoci o ambiguità. Il problema non è la critica di Israele,delle politiche che questo o quel governo israeliano adottano di tanto in tanto,della saggezza,opportunità,tempismo,lungimiranza di ogni azione intrapresa dall’esecutivo israeliano, dai suoi rappresentanti in Israele e all’estero, dai suoi militari,giudici,sindaci,amministratori e uomini di fede, quando agiscono nell’adempimento delle loro funzioni o come singoli individui.Sul merito si può e si deve criticare, come del resto si fa in altri paesi. Ma l’oggetto delle accuse di antisemitismo non è il criticare in sé e per sé. È il modo, e i contenuti quindi, con cui certe critiche sono formulate. Su questo è opportuno parlare e riconoscere che a volte la critica a Israele subisce una metamorfosi e si trasforma in antisemitismo, non perché il criticare sia sbagliato ma perché certe critiche sono basate su distorsioni della verità che mirano a delegittimare e demonizzare Israele, adottando due pesi e due misure nel caso dello Stato ebraico e proprio in virtù del fatto che si tratta dello Stato ebraico e del passato tragico dal quale emerse.E perché in questi casi, di solito, nella critica fanno capolino vecchi stereotipi, pregiudizi, immagini feroci e vecchi adagio dell’antisemitismo di sempre che tradiscono la vera natura del testo e del linguaggio usato:non criticare, ma distruggere. Ma il fenomeno odierno è diverso dall’antisemitismo di matrice nazifascista che settant’anni or sono trasformò il continente in un immenso cimitero ebraico senza lapidi e senza nomi.L’attuale pregiudizio antiebraico non è diretto a tutti gli ebrei indistintamente, ma “solo” a quegli ebrei che,con varia misura e intensità,si identificano o sono solidali con lo stato d’Israele. Per inquadrare la questione nella sua giusta prospettiva storica,mi concentrerò su questa caratteristica particolare del nuovo antisemitismo europeo, della quale si è finora parlato molto poco e cioè del ruolo cruciale svolto da alcuni ebrei europei,per lo più intellettuali o accademici, che hanno risposto all’ultimo attacco contro il popolo ebraico scusandolo, giustificandolo e in definitiva prendendovi parte. Quegli ebrei (veri o presunti) che nel corso degli ultimi sei anni si sono pubblicamente dissociati da Israele denunciandone le politiche e financo l’esistenza sono diventati celebrità su giornali e televisione, si sono visti aprire le porte delle case editrici e hanno acquisito uno status di eroi, in quanto “dissidenti” ebrei. Nel loro rifiuto di Israele, essi si fanno portatori di quella che è ritenuta in Europa essere l’autentica voce dell’ebraismo, cioè uno spirito di dissenso apolide e cosmopolita tipico dell’intellettuale senza frontiere, guidato da un innato rifiuto per fede,religione, identità nazionale e potere costituito. L’ebreo che piace di più insomma, è l’ebreo non-ebreo. L’entusiasmo per questo tipo di ebreo rappresenta l’alibi degli antisemiti. Accusati di nutrire il pregiudizio antiebraico e di un uso spregiudicato di stereotipi antisemiti nel caratterizzare lo stato ebraico e le sue azioni, essi si discolpano dicendo di non odiare gli ebrei ma solo “i sionisti”,sostenendo così che si tratta di antisionismo,non di antisemitismo.A riprova citano quegli ebrei che si esprimono similmente contro Israele. Se a incriminare Israele in maniera inappellabile sono degli intellettuali ebrei,così il ragionamento,come si può definire il loro linguaggio come antisemitismo? Nel rigettare l’accusa, anche in quelle circostanze estreme dove lo sconfinamento della critica a Israele nel pregiudizio antisemita è evidente, si fa ricorso a due tecniche discorsive. La prima è liquidare le accuse di antisemitismo come un ricatto teso non a mettere a nudo un pregiudizio ma a imbavagliare una scomoda verità.La seconda tecnica è citare ebrei antisionisti a riprova che l’ostilità è selettiva - non contro tutti gli ebrei, ma solo contro quegli ebrei che sostengono Israele.La conferma delle loro posizioni su Israele da parte di ebrei è indispensabile per poter mascherare le loro tesi con un potente alibi che rende l’odio selettivo, perché colpisce solo quegli ebrei che rifiutano di conformarsi al punto di vista dei detrattori d’Israele.In un mondo che valorizza la libertà d’opinione e il confronto d’idee insomma,sul tema d’Israele e quando si tratta d’ebrei questa libertà gode di forti limitazioni. E se questo non è antisemitismo,di certo si tratta di una forma di pregiudizio sospetta, quella che nega agli ebrei la stessa libertà d’opinione garantita ad altri,e che bolla di “complotto sionista” e di lealtà a un governo straniero tutti coloro che si schierano con Israele. Mascherato di antiantisionismo, il vecchio pregiudizio rifa capolino sotto mentite e più dignitose spoglie. Naturalmente,questa rispettabilità è rafforzata dal ricorso ad ebrei per la conferma delle tesi in questione.Quando si cerca convalida a certe tesi, che potrebbero risultare particolarmente insultanti per gli ebrei, si cita immancabilmente una fonte ebraica o israeliana, sottolineandone l’origine religiosa o etnica. Piuttosto che il merito dell’argomentazione formulata dalla fonte citata,ne vale l’affiliazione religiosa o il passaporto. Se qualcuno citasse un intellettuale nero per avvalorare le tesi dello schiavismo e dell’apartheid,o una donna per esaltare i benefici dell’infibulazione, ben pochi cadrebbero nel trabocchetto. Quel che conta è la natura dell’accusa,non l’identità dell’accusatore:a determinare la natura antisemita di un’affermazione, di un’immagine,di un incidente,non può in nessun caso essere l’identità religiosa o etnica di chi quel pensiero lo ha formulato. Non altrettanto succede nel caso di Israele e degli ebrei,prova questa del fatto che l’ebreo citato per rafforzare le accuse a Israele non aggiunge o toglie nulla alla loro validità, ma serve solamente come paravento. La retorica degli intellettuali ebrei antisionisti è anzi fondamentale perché avalla le caratterizzazioni più truci d’Israele in nome della morale ebraica.Grazie a loro,demonizzare Israele e il sionismo,lungi dall’essere antisemitismo, è descritto come l’autentico ebraismo e sostenerli sarebbe un tradimento dei valori ebraici.Agli ebrei progressisti che cercano di discolparsi coi loro compagni di strada ideologica a cagione d’Israele questa tesi serve a mantenere un’identità ebraica accettabile alla sinistra radicale e al contempo a non dover rinunciare all’appartenenza ideologica: riconciliando ebraismo a ideologia della sinistra radicale è possibile rimanere membri di entrambe le comunità, al modesto prezzo della denuncia d’Israele. Per gli antisemiti, d’altronde, l’ebreo che si oppone a Israele serve come prova d’innocenza di fronte alle accuse di antisemitismo e permette anche alla più feroce retorica di sdoganarsi. In cambio, l’ebreo che si presta a questo gioco, ottiene meriti e riconoscimento nell’ambito della comunità cui vuole appartenere. Molti ebrei si prestano a far da scudo agli antisemiti, offrendo l’alibi da loro cercato in un mondo dove l’antisemitismo è stato bandito dal discorso politico e sociale ritenuto accettabile. Grazie all’alibi fornito, l’odio antiebraico, travestito da antisionismo, diventa nuovamente rispettabile. Altro tassello di questo alibi è che la retorica antisionista presenta Israele non solo come una minaccia alla regione e alla pace del mondo, ma agli ebrei prima di tutto. Questo avviene perché,continua questo ragionamento, il sionismo è un tradimento dell’ebraismo e incoraggia l’antisemitismo a causa delle sue azioni. Così presentato, il sionismo diventa il tradimento degli alti valori per i quali gli ebrei sono oggi celebrati in Europa. Per gli ebrei sarebbe meglio denunciare il sionismo, sussurrano i suoi nemici:abbandonare Israele offre salvezza sia agli ebrei, sia al mondo intero.A un piccolo prezzo naturalmente: l’abbandono delle loro aspirazioni nazionali e l’accettazione di vivere in perpetuo come minoranza tra i popoli. Non solo “La salvezza viene dagli ebrei”,come dice il verso,ma anche la perdizione,se gli ebrei non fanno quello che ci si aspetta da loro. Il rifiuto di abbandonare Israele al suo destino e rinunciare alle aspirazioni nazionali che Israele rappresenta rende gli ebrei responsabili non solo dei mali del mondo ma anche della loro possibile sofferenza provocata dall'antisemitismo. Se condannano Israele, essi sono celebrati come eroi e autentici eredi della tradizione profetica ebraica. Se non lo fanno, se lo meritano.
La salvezza o la sofferenza del mondo dipendono soltanto dagli ebrei: non la si pensa così, in fondo, quando si dice che il conflitto arabo-israeliano è la "madre di tutti i problemi", o che soltanto risolvendolo si può  evitare il tanto temuto scontro di civiltà? E questo non sarebbe antisemitismo ? Grazie all'appoggio offerto da alcuni ebrei, in prevalenza intellettuali, a queste tesi, alla causa che promuovono e i contenuti che assumono, gli antisemiti riescono a dissimulare anche gli attacchi più feroci e infondati contro Israele e a evitare ogni accusa di antisemitismo, tracciando una distinzione tra ebrei "buoni" e "cattivi" che poi ricorre a quelli "buoni", quelli cioé che denunciano Israele, a riprova del loro odio discernente. E facendo degli ebrei antisionisti e della loro ideologia l'espressione esclusiva o autentica dell'ebraismo, questo ragionamento si mette al riparo da ogni critica, anche quando evoca le immagini classiche dell'antisemitismo quali il complotto ebraico, le accuse agli ebrei di slealtà, l'accusa del sangue, il deicidio e in generale la demonizzazione di Israele attraverso la sua raffigurazione quale reincarnazione della quintessenza del male - per esempio Israele quale la Germania nazista. L'antisionismo diventa il paravento del pregiudizio, e l'ebreo che si unisce al coro di denunce contro Israele ne diventa inevitabilmente l'alibi.

Segnaliamo l'occhiello con il quale Il RIFORMISTA presenta l'articolo: "E' da dimostrare il legame tra critiche allo Stato e razzismo".
Una frase del genere fa inevitabilmente pensare che Ottolenghi abbia messo in dubbio e circondato di cautele la tesi sintetizzata nel titolo ("L'elogio degli ebrei dissidenti e  le critiche al sionismo possono essere un alibi intellettuale per l'antisemitismo";  segnaliamo anche che, presa alla lettera, l'espressione "ebrei dissidenti" è fuorviante, perché rimanda ai dissidenti sovietici che , a differenza degli ebrei che attaccano Israele, erano perseguitati per le loro idee, e perché il dissenso di questi ebrei dalla maggioranza del loro popolo può  anche essere un adeguamento conformista all'ambiente non ebraico).
In realtà, se è vero che Ottolenghi inizia l'articolo affermando che il legame tra ostilità a Israele e antisemitismo deve essere dimostrato, è anche vero che quanto segue è appunto dedicato a questa dimostrazione.
Altre frasi  della titolazione, fortemente ambigue: "Forti limitazioni alla libertà di opinione su questi temi" Nel testo è chiaro che ad essere limitata è la libertà degli ebrei di difendere Israele, in questo sommario potrebbe anche sembrare che la limitazione colpisca i  critici di Israele, "Purtroppo, più che entrare nel merito delle discussioni, i detrattori puntano sulla fonte etnica" Incomprensibile frase del sottotilo. Per chiarirla bastava precisare che i detrattori di Israele  rifiutano di discutere le loro opinioni  facendosi  scudo del fatto che alcuni ebrei le condividono.

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