Umberto De Giovannageli intervista, sull'UNITA' del 19 gennaio 2007, Alexander Stille, docente alla Columbia University.
Lo scopo è avere la risposta di un americano alla'ccusa di antiamericanismo rivolta al governo Prodi dall'opposizione.
Stille ha ragione a dire che criticare l'amministrazione Bush non significa automaticamente essere antiamericani.
Ma negare di fatto il diritto degli Stati Uniti a difendersi dal terrorismo islamico sì, significa essere antiamericani.
E che cosa significa, per esempio, la condanna dei raid contro Al Qaeda in Somalia, se non una condanna totale e incondizionata della guerra al terrorismo?
Ecco il testo:
«Dirsi d'accordo o contrari alla politica estera di George W.Bush non significa meccanicamente essere "antiamericani" o "filoamericani. Essere contro la politica estera condotta da un presidente eletto da circa metà degli elettori e che oggi gode del consenso di appena il 35% degli americani, non significa essere amtiamericani. D'altro canto, usando questa logica forzata, si potrebbe sostenere che oggi la stragrande maggioranza degli americani è "antiamericana". A parlare è Alexander Stille, scrittore, giornalista, docente alla Columbia University, autore di numerosi libri di successo, tra i quali ricordiamo «Citizen Berlusconi» (Garzanti).
In Italia piovono accuse di «antiamericanismo», dal centrodestra, e di «filoamericanismo», da settori della sinistra radicale, contro il governo guidato da Romano Prodi. Il leader di An ed ex ministro degli Esteri Gianfranco Fini ha sostenuto che il fatto che il premier italiano non sia stato ancora ricevuto alla Casa Bianca è la prova provata del suo antiamericanismo.
«Questa è davvero una considerazione assurda. In primo luogo Bush non è gli Stati Uniti ma è un presidente eletto da circa la metà degli elettori e che adesso gode di un tasso di approvazione che raggiunge a malapena il 35%. L'essere allineati o meno sulla politica di Bush non vuol dire essere automaticamente pro o contro l'America. Che ci siano riflessi antiamericani nella coscienza pubblica italiana è pacifico, ma questi riflessi esistono a sinistra come a destra. D'altro canto, essere contro la politica degli Stati Uniti in un determinato momento e su una singola questione non significa essere antiamaericani; usando questa logica dovremmo concludere che oggi la stragrande maggioranza degli americani è antiamericana. Vista da qui, questa querelle italiana sul tasso di antiamericanismo o di filoamericanismo che connota l'azione e il pensiero di Prodi o di D'Alema appare abbastanza buffa e non è un caso che essa venga del tutto ignorata dalla stampa e dalle reti televisive».
Oggi si discute e si polemizza sul via libera del governo all'ampliamento della base militare di Vicenza. La sinistra radicale parla di «filoamericanismo»…
«La decisione di ampliare la base di Vicenza è abbastanza complicata perché si fonda su ragioni militari e aspetti tecnici: l'Italia fa parte della Nato e quindi risponde anche a certe esigenze tecnico-militari che far parte di un'Alleanza comporta. D'altro canto, è molto difficile separare la questione tecnica da quella politica del momento. Voglio dire che l'assenso all'ampliamento dato da Prodi acquista una valenza simbolica che pare avallare la politica estera americana, mentre le due cose sono separate».
Perché separate?
«Il governo italiano ha giustamente distinto tra specifiche iniziative americane che non approvava e l'ampliamento della base che evidentemente ha valutato come un obbligo di alleanza ineludibile. La credibilità e l'autorevolezza di questa politica stanno proprio nella capacità di andare a fondo di ogni singolo atto non dando mai l'impressione di un aprioristica adesione, o contestazione, ad una politica. Si tratta di un intelligente pragmatismo».
Tra le critiche rivolte dal governo italiano alla politica estera dell'amministrazione Bush una delle più forti riguarda la «new strategy» adottata dagli Usa in Iraq. Cosa significa questo dal punto di vista americano?
«Vede, l'opinione pubblica americana si trova in una situazione molto contraddittoria: quasi tutti pensano che la situazione irachena andrà dal male al peggio ma nessuno, neanche tra le fila dei Democratici, vuole avere responsabilità per l'esito finale, e quindi si è divisi tra una politica che con tutta probabilità porterà sangue e morte per gli iracheni e per i soldati americani, e una politica che porterà "soltanto" sangue e morte per gli iracheni. Oggi si cerca di contenere una guerra civile già in atto, se i soldati americani se ne andranno tra sei mesi o un anno ciò non risolverà la crisi, non muterà il segno di questa situazione tragica. Si tratta di una duplice impotenza».
Alleati e non vassalli degli Usa, ribadiscono Prodi e D'Alema. È una prospettiva realizzabile?
«Sì, può esserlo, ma purtroppo è impossibile che in questo momento gli italiani siano dei "pari", perché soprattutto sul piano militare la differenza è gigantesca. Però questo non significa essere condannati o autoridursi al vassallaggio. Tra l'illusione di essere "pari" e il vassallaggio spacciato come alleanza c'è un terzo approccio, che mi pare essere quello praticato dal governo italiano: quello di valutare caso per caso sia quello giusto. È chiaro che l'Italia ha già fatto una scelta di fondo, dopo la Seconda Guerra Mondiale, di stare nel campo-Nato, e lì è sempre rimasta; il punto è dissentire intelligentemente su basi concrete e non in modo retorico».
Lei è autore di un libro di grande successo su Silvio Berlusconi. In politica estera, l’ex premier è stato protagonista di una politica delle «pacche sulla spalla», fortemente personalizzata nei rapporti, veri o presunti, di amicizia con «George» o «Vladimir» (Putin). In America funziona ancora questa politica?
«Assolutamente no, Al contrario, la gente è stufa di questo perché è stufa di Bush. Lei parla delle pacche sulla spalla di Berlusconi. Qui in America ci si ricorda ancora di quando Bush aveva affermato di aver guardato negli occhi Putin e di aver visto la sua buona anima. Nei mesi successivi Putin ha portato la Russia su una strada sempre meno democratica e quindi, si sono chiesti milioni di americani, cosa diavolo ha visto Bush negli occhi di Putin? Una politica intelligente, negli Usa come in Italia, si fa in ben altro modo».
Riuscirà Abu Mazen a stringere un accordo con Khaled Meshal?
L'UNITA presenta l'ipotesi come un passo avanti nella direzione della pace in Medio Oriente, senza chiedersi quali debbano essere i contenuti di un ventuale accordo.
Senza ricordare che Meshal vuole il terrorismo e la distruzione di Israele.
Ecco il testo:
La conferma ufficiale ancora non c’è. Ma il «momento della verità» tra al-Fatah e Hamas sta per scoccare. L’appuntamento cruciale sarà domani a Damasco, sede dell’incontro tra il presidente dell’Anp Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e il leader del movimento integralista palestinese Khaled Meshaal. E a Damasco Abu Mazen incontrerà anche il presidente siriano Bashar Assad. A riferirlo è Ziad Abu Amr, deputato palestinese impegnato nella mediazione fra le due parti. «Siamo molto vicini a raggiungere un accordo, l’atmosfera a riguardo è molto positiva», dichiara Ahmed Youssef, consigliere politico del primo ministro Ismail Haniyeh. Hamas e al-Fatah sono ai ferri corti dall’annuncio da parte di Abu Mazen, il 16 dicembre, della decisione di convocare elezioni anticipate, dopo il fallimento di sei mesi di negoziati sulla formazione di un governo di unità nazionale. Le violenze tra fazioni hanno causato da metà dicembre più di trenta morti ma in pratica sono cessati in questi ultimi giorni. Cauto ottimismo viene manifestato anche da Ziad Abu Amr, secondo il quale vi sono stati progressi verso la creazione di un governo palestinese di unità nazionale, ma vi è ancora disaccordo su diverse questioni che devono essere chiarite dai leader. L’incontro avverrà dopo un lungo periodo di gelo fra Abu Mazen e Meshaal, in seguito ad un discorso a Damasco in cui l’esponente di Hamas ha attaccato il presidente palestinese. Secondo il quotidiano «al-Quds», Meshaal ha avuto nei giorni scorsi colloqui a Damasco con emissari giunti dai Territori allo scopo di verificare la possibilità di dar vita a un governo di unità nazionale. Uno dei punti di maggiore contrasto, secondo il giornale, è l’assegnazione del ministero degli interni, a cui Hamas, secondo il giornale, non vuole assolutamente rinunciare.
Immancabile, ovviamente, la pubblicità alla disinformazione antisraeliana di Rainews 24:
ROMA «Polveri di guerra. Uranio a Beirut». è il titolo della nuova inchiesta che Rainews24 trasmetterà oggi alle 7.36, contemporaneamente sul satellite, su Raitre e sul Digitale Terrestre. L'inchiesta realizzata da Flaviano Masella, Angelo Saso, Maurizio Torrealta denuncia il pericolo rappresentato dalla presenza di polveri di Uranio nel Sud del Libano. Le zone coinvolte non sono lontane dall'area di azione del contingente militare italiano nel sud del Libano. Rainews24 ha raccolto le preoccupazioni dei libanesi che vivono nelle zone colpite, ha intervistato i due ricercatori inglesi che hanno raccolto e fatto analizzare i campioni radioattivi e ha intervistato lo scienziato libanese che ha lanciato l'allarme sulla radioattività a Khiam. L'inchiesta è costruita presentando le diverse posizioni. Quella dei ricercatori Day Williams e Cris Busby, che assicurano di aver trovato tracce di uranio arricchito; quella del fisico e ricercatore libanese Mohammed Ali Kobeissi, le cui analisi portano a ritenere che si tratti di uranio impoverito (le cui polveri hanno già causato decine di morti tra i soldati italiani che operarono nei Balcani in missioni di peace keeping); e ancora, quella dell'Unep, l'agenzia ambientale dell'Onu, che ha svolto analisi nello stesso cratere e dalle quali risulterebbe un'alta presenza di uranio (con una concentrazione di dieci volte superiore alla norma), «non modificato», ovvero naturale.
«Nessun equipaggiamento particolare da utilizzare in eventuali contatti con zone o veicoli contaminati dall’uranio impoverito». Un’altra denuncia. Ad avanzarla è il caporale dell’esercito della brigate «Pozzuolo del Friuli», l’unità italiana che guida la missione Leonte in Libano, raccolta dall’inchiesta di «GrNews.it»,a cura di Francesco Palese.
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