Il RIFORMISTA del 10 gennaio 2007 ironizza sull'intervista a un'agenzia cinese nella quale il premier israeliano Olmert ha annunciato la fine della politica di ritiri unilaterali dai territori , dopo che quelli da Gaza e dal Libano sono stati seguiti da nuove offensive terroristiche.
La sua "autocritica", sottolinea l'autore dell'articolo, che si firma "momi", Olmert è andato a farla lontanissimo da Israele , in Cina.
Coloro che hanno sostenuto che la pace sarebbe venuta a Israele da concessioni territoriali ai palestinesi, e sono sempre stati smentiti, sia quando è stata scelta la via del negoziato, sia quando si è optato per il ritiro unilaterale, autocritica, semplicemente, non la fanno da nessuna parte.
Ecco il testo dell'articolo:
Ripensandoci, abbiamo sbagliato tutto. Davvero. L'unilateralismo predicato e praticato da Ariel Sharon è stato «un fallimento puro e semplice». È stato un errore ritirarsi dalla Striscia di Gaza senza sentire quello che i palestinesi avevano da dire, com'è stato un errore ritirarsi dal Sud del Libano (la prima volta, nel 2000) senza negoziare con il governo di Beirut. Adesso, l'unica cosa da fare è imparare dagli errori, rimboccarsi le maniche, sedersi al tavolo con i palestinesi, armati di tanta buona volontà, e lavorare in due per costruire due popoli e due stati.
Questi, più o meno, sono i buoni propositi per il nuovo anno del primo ministro israeliano Ehud Olmert. In una storica intervista pubblicata lo scorso venerdì - passata inosservata, e vedremo perché, dalla stampa europea - il primo ministro di Gerusalemme ha annunciato l'inversione di rotta: per prima cosa, Ehud Olmert ha rinnegato la dottrina del suo mentore e predecessore Ariel Sharon («diciamolo, la nostra esperienza nella Striscia di Gaza non è stata delle più incoraggianti»); poi, si è cosparso il capo di cenere e ha umilmente ammesso gli errori personali di valutazione («un anno fa ero convinto di potere fare tutto unilateralmente, ma adesso ho capito che non è così che si fanno le cose»); e infine ha promesso negoziati con la controparte palestinese, senza troppo soffermarsi che al governo di Ramallah siedono i rappresentanti di Hamas: «Date le presenti circostanze, la cosa più saggia è metterci a negoziare con i palestinesi per mettere in pratica la soluzione dei due Stati. Dal canto nostro, noi siamo pronti e determinati».
Una svolta davvero storica, insomma: neppure Peace Now, Kofi Annan o Fausto Bertinotti potrebbero chiedere di più da un capo di governo israeliano. Da qualche parte, penseranno gli scettici, l'inghippo ci deve essere. E infatti, in un certo senso, l'inghippo c'è. Per fare il suo mea culpa e promettere pace in terra, Olmert ha infatti scelto un quotidiano cinese, lo Xinhua. In altre parole, nessuno in Israele, e tanto meno in Palestina, avrebbe letto l'intervista, se non fosse stato per un tempestivo intervento della redazione di Haaretz, che ha tradotto e pubblicato estratti della conversazione, anche se con due giorni di ritardo.
La scelta di un quotidiano cinese, spiegano però i sostenitori del premier, può essere spiegata altrimenti. Innanzi tutto, il primo ministro israeliano ha appena cominciato un tour diplomatico, che include anche una tappa a Pechino. C'è però un'altra spiegazione della chinese connection: corre voce che, nonostante le apparenze, lo stesso Ehud Olmert sia di discendenza cinese. I suoi avi, infatti, sarebbero immigrati dall'Europa orientale nella provincia cinese di Harbin, e da lì successivamente in Israele. Lo riferiscono, manco a dirlo, fonti cinesi.
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