Israele liberi Marwan Barghouti che potrebbe convincere i palestinesi a accordarsi...
...contro Israele
Testata:
Data: 20/12/2006
Pagina: 12
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Il detenuto Barghouti può scongiurare la guerra civile
L'UNITA' del 20 dicembre 2006 pubblicaun'intervista di Umberto De Giovannangeli ad Haider Abdel Shafi, che sostiene che Israele dovrebbe liberare il terrorista Marwan Barghouti per scongiurare una guerra civile tra palesstinesi.
Barghouti potrebbe unire i palestinesi sulla piattaforma del "documento dei prigionieri", argomenta Shafi.
Un programma politico che esclude un inequivoco riconoscimento di Israele e che rivendica la legittimità della "lotta armata", cioè del terrorismo.
Israele dunque, per evitare la guerra civile tra i palestinesi (che è responsabilità sua naturalmente, non dei palestinesi stessi) dovrebbe aiutarli a unirsi in fronte comune contro di lei.
Questa è la linea dell'UNITA'?
Ecco il testo:
«Sento gli spari echeggiare nelle strade. Vedo palestinesi combattersi. È l'odio che nasce dalla frustrazione. Quelle armi rivolte contro il proprio fratello sono la testimonianza di una tragica impotenza politica. Gaza riflette la crisi di una doppia leadership politica: quella della nomenklatura arafattiana e di coloro, Hamas, che non si sono dimostrati capaci di raccoglierne l'eredità». Riflessioni amare, parole gravi quelle pronunciate dal «grande vecchio» di Gaza: Haider Abdel Shafi, l'ultimo dei fondatori dell’Olp ancora in vita, l'uomo che guidò la prima delegazione palestinesi ai negoziati di Washington. «Israele - afferma Shafi - ha le chiavi per dare una svolta a questa situazione di guerra civile. E quella delle chiavi non è una metafora. Parlo di chiavi di una cella: quella in cui è recluso Marwan Barghuti. Per la sua storia, per il carisma acquisito in questi anni di prigionia, per il ruolo politico attivo che ha avuto nella definizione del cosiddetto "Documento dei prigionieri", Marwan potrebbe riunificate ciò che oggi appare irrimediabilmente contrapposto. Mahmud Abbas (Abu Mazen, ndr.) ha operato una forzatura, forse necessaria. Ma proprio per questo non è la persona più indicata per tentare di riunire non due fazioni armate ma le due metà della società palestinese. Perchè di questo si tratta. Marwan Barghuti avrebbe più chance di successo. Ma le chiavi sono nelle mani di Israele».
A Gaza si continua a combattere. È una situazione irreversibile e a suo avviso da cosa nasce?
«Da una miscela esplosiva fatta di frustrazione, rabbia, sofferenza e di una impotenza politica che ora si cerca di mascherare con la forza delle armi. Ma sia Abu Mazen che Haniyeh sanno bene che non esiste una scorciatoia militare per risolvere uno scontro politico che proprio perché tale va affrontato con le "armi" della politica».
Abu Mazen ha rotto gli indugi e convocato elezioni presidenziali e legislative anticipate. Non è questo un modo concreto per risolvere politicamente uno scontro che oggi è affidato ai kalashnikov?
«Non dubito sulle intenzioni dichiarate di Abu Mazen né grido al "golpe istituzionale"; rilevo però che dentro la vecchia nomenklatura di al-Fatah covava una volontà di rivalsa già nei giorni successivi alla débacle elettorale del gennaio scorso; una rivalsa che ha nella volontà di potere la sua ragione fondamentale. Così come è evidente che sulla dirigenza interna di Hamas sono state esercitate forti pressioni esterne per rimettere in discussione una intesa, quella per un governo di unità nazionale, che più volte era stata data per raggiunta. D'altro canto, non è da oggi che in molte capitali arabe si trama per gestire in proprio la questione palestinese. In questa situazione di muro contro muro, le elezioni anticipate più che un fine possono essere uno strumento di pressione per realizzare l'obiettivo di un governo di emergenza nazionale. Per quanto ne so, ritengo che questo sia ancora oggi il vero obiettivo di Abu Mazen».
A parole anche l'attuale primo ministro Ismail Haniyeh si dice ancora aperto a questa soluzione. Intanto però a Gaza si continua a combattere e a morire.
«Una soluzione che eviti un bagno di sangue dipende anche dall’atteggiamento della Comunità internazionale, in primo luogo di Stati Uniti ed Europa. L'errore più esiziale sarebbe parteggiare per una delle fazioni in lotta, in questo caso per al-Fatah: questo atteggiamento verrebbe percepito dalla maggioranza dei palestinesi come l'ennesima ingerenza esterna che, come tale, va respinta. Favorire la formazione di un governo di unità nazionale significa oggi lavorare anche sulle contraddizioni interne a Hamas, tenendo conto che sarebbe una follia pensare di poter cancellare con le armi il 40% almeno della popolazione palestinese...».
Agire sulle contraddizioni di Hamas. Ma come?
«Non ponendo come condizione per sancire la fine dell'isolamento internazionale dell'Anp, e con esso lo sblocco dei finanziamenti, il riconoscimento esplicito di Israele da parte di Hamas e di un ipotetico governo di unità nazionale. Sono altri e più concreti e immediati gli impegni che Hamas dovrebbe assumersi: la fine degli attacchi in territorio israeliano, il riconoscimento che l'obiettivo strategico a cui tendere è la costituzione di uno Stato di Palestina sui territori occupati da Israele nel 1967. All’Europa chiedo di essere pragmatica e lungimirante: la guerra civile nei Territori può essere evitata solo se si opera da subito per ristabilire la legalità internazionale in Palestina, cominciando dal porre fine all'assedio di Gaza da parte israeliana».
C’è un leader che a suo avviso può tentare di riunificate ciò che oggi si contrappone armi in pugno?
«Quel leader esiste. Ed è oggi in carcere in Israele. Il suo nome è Marwan Barghuti. Liberarlo è un investimento sul futuro. Anche per Israele».
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